25 luglio 2024

La divisione dei pani - 28/7/2024 - XVII Domenica Tempo Ordinario

(con)dividere il pane



La moltiplicazione dei pani è l'unico miracolo presente in tutti e quattro i Vangeli, e questo è un segno dell'importanza di questo fatto, di come questo sia un evento decisivo per la comprensione di Gesù: Lui è colui che moltiplica la vita, colui che nutre la nostra vita, che placa la nostra fame d'amore, di consolazione, di comunione fraterna.

In Giovanni tutto avviene in un clima primaverile (la Pasqua è vicina) di attesa (su di un monte, che è il luogo dell'incontro con Dio) e di bisogno (hanno fame).
Come nella prima lettura, anche qui vengono presentate delle 'primizie': i pani d'orzo. L'orzo è il primo dei cereali che matura, è il pane nuovo. Ma questi pani vengono portati da un ragazzo, non un adulto, cioè una primizia d'uomo, un segno di freschezza, un segno di novità. Veramente Dio è un Dio che fa nuove tutte le cose, che proietta il mio sguardo verso il futuro. Non verso ciò che è stato, ma verso ciò che sta venendo.

Un particolare mi colpisce: la generosità. A Gesù nessuno chiede niente, è lui che per primo si preoccupa, si accorge e dice: «Dove potremo comprare il pane per loro?». Alla generosità di Dio corrisponde la generosità del ragazzo. Neanche a lui nessuno chiede niente: ha cinque pani e due pesci e li mette a disposizione. È poca cosa, ma è tutto ciò che ha. Dà tutto quello che ha, senza pensare se sia molto o se sia poco. È tutto!

E accade il miracolo. Perché il miracolo accade nel momenti un cui il 'mio' pane diventa il 'nostro' pane. Perché la fame incomincia quando tengo stretto solo per me il mio pane, e più stringo a me quello che ho, più la mia fame aumenta. La fame non finisce quando mangio a sazietà il mio pane, ma quando condivido il poco che ho.
Tutti abbiamo qualcosa da dare, anche se poco; e il nostro dono non è mai insignificante, perché il nostro compito è 'far circolare il bene nelle vene del mondo' (Ermes Ronchi).
Il Vangelo oggi non parla di moltiplicazione, ma di divisione. Parla di un pane che non finisce, parla di beni ridistribuiti e condivisi. Mentre lo distribuivano, il pane non veniva a mancare, e mentre passava di mano in mano restava in ogni mano.

Giovanni non ha il racconto dell'ultima cena. Lui racconta l'istituzione dell'Eucaristia in questo sesto capitolo, difatti riassume l'agire di Gesù in tre verbi: "prese il pane, rese grazie e distribuì". Tre verbi eucaristici, consacratori: Cristo mentre sazia in noi la fame di pane, si fa pane per accendere in noi la fame di Dio.
Questi stessi tre verbi fanno della nostra vita un vangelo, un sacramento: accogliere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose. Se ci consideriamo tali, le profaniamo: profaniamo l'aria, la terra, l'acqua, i fiori, il pane. Tutto ciò che incontriamo non è nostro, è vita che viene da prima di noi e che va oltre noi, che ci è donata perché ne facciamo dono a chi ci circonda e a chi verrà dopo di noi.

«Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» La cura per i pezzi avanzati, la sacralità delle cose, perché niente va perduto, perché c'è una santità nella materia, perfino nelle briciole.
Non saremo mai felici se non impariamo ad accogliere e a benedire i fratelli, il pane, Dio, la vita, la bellezza; e poi a condividere. Accoglienza, benedizione e condivisione, e dentro di noi tre sorgenti di felicità zampilleranno copiose.




Letture:
2 libro dei Re 4,42-44
Salmo 144
Efesini 4,1-6
Giovanni 6,1-15


18 luglio 2024

Dio ha compassione di noi - 21/7/2024 - XVI Domenica Tempo Ordinario

dalla copertina del libro Compassione di Erminio Gius (Ed. EDB)



«Ebbe compassione di loro». Questo potrebbe essere il titolo del Vangelo di oggi. Tutto il Vangelo ci parla della misericordia di Dio, ma il brano di oggi ci mostra lo sguardo di Gesù che vede la nostra stanchezza, i nostri smarrimenti, la fatica della nostra vita. Gesù vede tutto questo e si lascia toccare il cuore da tutto questo. Il suo non è uno sguardo indifferente, ma è uno sguardo che lo coinvolge, gli fa fremere la viscere.
Gesù si commuove per i discepoli, prova per loro una tenerezza come di madre. Non chiede di andare a pregare o di fare chissà che cosa. Semplicemente li esorta a prendere un po' di tempo tutto per loro. È un gesto d'amore.

Per Gesù prima di qualsiasi altra cosa, viene sempre la persona. Più dei tuoi successi, dei risultati del tuo lavoro, gli importa come stai. Più di ciò che fai, gli interessa, e per davvero, ciò che sei. Lui non vuole spremere come dei limoni i suoi discepoli. Lui semplicemente li ama, e li vuole felici.
Non dobbiamo sentirci in colpa se a volte abbiamo bisogno di attenzioni, di coccole, di riposo. C'è un tempo per agire, per fare, e un tempo per riposare, per riprendere le forze. Diceva sant'Ambrogio: "Si vis omnia bene facere, aliquando ne feceris", che vuol dire "se vuoi far bene tutte le cose, ogni tanto smetti di farle". Non siamo dei supereroi, le nostre vite sono fragili, le nostre energie limitate. Abbiamo bisogno di fare, ma anche di riposare. Anche Dio, dopo sei giorni di lavoro, il settimo ha riposato.

«Venite in disparte [con me]», dice Gesù. Stare con Dio per imparare il cuore di Dio, per rabboccare il nostro amore attingendo all'amore di Dio. E poi ritornare nella folla, portando quel carico strabordante di tenerezza che solo Dio sa donare.

Ma qualcosa cambia i programmi del gruppo: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro ... e si mise a insegnare loro molte cose». Gesù cambia i suoi programmi, non quelli dei suoi amici. Rinuncia al suo riposo, non al loro.
La prima cosa che Gesù offre alla folla è la compassione, il provare dolore per il dolore dell'altro. Gesù sa bene che non è il dolore che annulla la speranza, non è il morire, ma l'essere senza conforto.
Ed è questo ciò che Gesù insegna ai Dodici. Insegna per prima cosa come guardare le persone, insegna uno sguardo che abbia commozione e tenerezza. Le parole verranno da sé, da un cuore toccato dal dolore.

Questo vale per ognuno di noi. Quando ritrovi la compassione, quando impari di nuovo a commuoverti, il mondo si innesta nella tua anima. Finché ci sarà sulla terra chi sa ancora commuoversi per l'ultimo degli esseri umani, allora c'è speranza per il mondo.




Letture:
Geremia 23,1-6
Salmo 22
Efesini 2,13-18
Marco 6,30-34


11 luglio 2024

Testimoni di un Dio che è comunione - 14/7/2024 - XV Domenica Tempo Ordinario

li mandò a due a due



Una prima cosa mi colpisce, e riguarda l'equipaggiamento degli inviati. Rispetto a Luca e Matteo, Marco si dimostra meno rigoroso, concedendo il bastone e i sandali. Ma questo elenco non è un manuale del missionario, un elenco di cosa si può avere e cosa invece non è concesso. Le singole prescrizioni sono così poco importanti che i tre vangeli sinottici riportano elenchi diversi e contraddittori.
Cristo non si addentra nella casistica della povertà, ma vuole sottolineare la necessità della leggerezza, della libertà, della disponibilità. Gli inviati non devono cercare altri 'appoggi' ad di fuori del comando di Gesù.
La forza, la potenza, la sicurezza non sta nell'equipaggiamento, ma nel messaggio affidato. La potenza è nel Vangelo, non nei mezzi utilizzati. "Il vangelo non ha bisogno di aiuti. Ha bisogno di ... Vangelo" (d. Alessandro Pronzato).

«prese a mandarli a due a due» A due a due perché il due non è semplicemente la somma di uno più uno, è l'inizio del noi, la prima cellula della comunità.
Il primo e più importante messaggio è che si è portatori di fratellanza, di unità. Nella comunione dovranno essere testimoni di un Dio che è Comunione. La prima, e spesso più difficile, conversione è proprio questa: passare dal pensare a me stesso, al pensare al noi; smettere di  pensare usando la prima persona singolare e iniziare a pensare usando la prima persona plurale.

«Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì» La meta è questa: la casa. Casa, dove la vita è più vera, dove si è felici, dove ci si scalda il cuore, dove si condividono il pane, le gioie e i dolori. Il Vangelo acquista pieno significato nella casa, nel luogo dove può parlare e guarire nei giorni di festa e in quelli delle lacrime.

«Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene» Gesù ci prepara anche all'insuccesso e al coraggio di non arrendersi. Al rifiuto non bisogna opporre risentimento, soprattutto non si deve assolutamente impugnare il bastone che ci era stato concesso per sostenerci e utilizzarlo per menare colpi. Al rifiuto si risponde con solo un po' di polvere scossa dai sandali.
Non ci deve deprimere il rifiuto, il non essere accolti e ascoltati. C'è sempre un altro villaggio, un'altra casa un po' più avanti, un altro cuore che aspetta solo di essere toccato.

I Dodici vanno, piccoli tra i piccoli; sulla strada che è libera, che è di tutti; profeti del sogno di Dio: un mondo totalmente guarito dalle malattie e dall'egoismo, un mondo in cui si pensa secondo un 'noi' che abbraccia tutto il creato. "Un mondo dove buongiorno voglia davvero dire buongiorno" (cit. da 'Miracolo a Milano' regia Vittorio De Sica)




Noi non arriveremo alla meta
a uno a uno,
ma a due a due.
Se noi ci ameremo
a due a due,
noi ci ameremo tutti.
E i figli rideranno
della leggenda nera
dove un uomo piangeva
in solitudine

Paul Éluard



Letture:
Amos 7,12-15
Salmo 84
Efesini 1,3-14
Marco 6,7-13


04 luglio 2024

Dio non è stanco di noi, è solo stupito - 7/7/2024 - XIV Domenica Tempo Ordinario

impose le mani a pochi malati e li guarì



Vangelo racchiuso tra due 'stupori'. Si apre con lo stupore dei nazaretani allo sentire la dottrina di Gesù, e si chiude con lo stupore di Gesù di fronte alla loro incredulità.

Lo stupore dei concittadini di Gesù non è lo stupore di chi si trova di fronte a qualcosa di estremamente bello. È più una Sindrome di Parigi che una Sindrome di Stendhal. È lo stupore di chi si trova di fronte a una cosa che ribalta completamente ogni nostra visione precedente. È lo stupore di fronte a dei fatti, a delle parole, che scandalizzano.
Sono scandalizzati perché loro, come noi, pensano a un Dio in alto, pastore nell'infinito dei cieli, avvolto da fumi di incenso così densi da impedire di vederlo. Per loro, come per noi, il Figlio di Dio non può venire inginocchiato a terra con mani callose da carpentiere nel catino per lavarci i piedi, non può avere i problemi di Ioses, di Simone suoi fratelli, i problemi di tutti noi. Non c'è niente, non ci può essere niente di divino in tutto questo! Se Gesù usa questi mezzi poveri, non è Dio!

Ci scandalizza l'umanità di Gesù, la sua prossimità a noi, la familiarità di un Dio che abbandona il tempio e si fa nostro vicino di casa, l'inquilino del piano di sopra, diventando il "God domestic", il Dio di casa come diceva la beata Giuliana di Norwich .
Gesù, maestro senza titoli e con i calli alle mani, che racconta Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione, ci scandalizza.
Ci scandalizza l'umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov'è la gloria e lo splendore dell'Altissimo?
Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: Dio si incarna, entra dentro l'ordinarietà di ogni vita, abbraccia l'imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.

La risposta di Gesù al rifiuto dei compaesani non è la condanna, la recriminazione. Lui non si deprime, si meraviglia. E il suo meravigliarsi ci mostra il suo candore, in suo immenso cuore bambino. La sua è una meraviglia che rivela come Dio ha un cuore di luce: «lì non poteva compiere nessun prodigio». Ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì».
Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche se di pochi, fosse anche di uno solo.
L'innamorato respinto continua ad amare, anche senza ritorno.
Dio non è stanco di noi, è solo stupito.




Letture:
Ezechiele 2,2-5
Salmo 122
Seconda Corinzi 12,7-10
Marco 6,1-6