29 agosto 2024

Il cuore felice della vita - 1/9/2024 - XXII Domenica Tempo Ordinario

... col cuore in mano
(foto di Tim Marshall su Unsplash)



Gesù viveva per le strade, incontrava le persone là dov'erano e con loro attraversava i momenti della festa e della gioia, ma soprattutto quelli della malattia e della sofferenza: quando arrivava gli portavano i malati, i ciechi lo chiamavano, donne sofferenti cercavano di toccargli almeno l'orlo del mantello, molti speravano che almeno la sua ombra passasse, come una carezza, sulla loro umanità sofferente. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56).
Gesù veniva da tutto questo, portando negli occhi e nel cuore il dolore dei corpi e delle anime, insieme all'esultanza dei guariti, alla gioia dei perdonati. Ora farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: tradizioni, mani lavate, lavaggio di stoviglie, formalismi vuoti! Si capisce come la replica di Gesù sia decisa e insieme piena di sofferenza: "Ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall'uomo".

È questa la sofferenza di Dio: il cuore dei figli lontano, assente, altrove. È il lamento di Dio. Nella prima lettura, aveva lanciato la sua sfida per bocca di Mosè: «Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi?» Ad un Dio vicino, sta di fronte un cuore lontano. Ecco il dramma della storia sacra. Mentre il Padre si fa vicino, i figli si allontanano da casa.
Il cuore lontano porta alla falsa religione: emozionarsi per le folle oceaniche ai raduni religiosi, ma non saper pregare; amare la liturgia con la sua musica, i fiori, l'incenso, i marmi antichi, ma non "soccorrere il dolore di orfani e vedove" (vedi la seconda lettura di oggi); volere segni esterni e citazioni verbali del cristianesimo, ma neanche pensarsi di viverlo.

Più di novecento volte nella Bibbia compare il termine 'cuore'. Ma non come semplice simbolo dei sentimenti o dell'affettività, bensì come il centro della persona, il luogo dove nascono le azioni e i sogni, dove si sceglie la vita o la morte, dove si distingue tra vero e falso, dove Dio seduce ancora e fa ardere il suo fuoco come a Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?» (Lc 24, 32).

Ma il ritorno al cuore non basta. Ci guardiamo dentro e vi troviamo di tutto, cose stupende ma anche cose delle quali ci vergogniamo: dal cuore vengono le intenzioni cattive, prostituzioni, omicidi, adulteri, malvagità... un elenco impressionante di dodici cose cattive, che rendono impura la vita. C'è bisogno di purificare la sorgente, di evangelizzare le nostre zone di durezza e di egoismo, lasciarci raggiungere dallo sguardo di Gesù: il suo sguardo di perdono sulla donna adultera, su Maria Maddalena, su Pietro pentito. Sentire su di noi il suo sguardo che trasforma, che ci fa abbandonare il peccato passato e ci apre a un futuro nuovo, migliore. Non sono le pratiche esteriori che purificano: lavare le mani o le stoviglie è facilissimo, molto più difficile è lavare le intenzioni!

"Tutta la vita è un pellegrinaggio verso il luogo del cuore" (Olivier Clément).
Per fare questo pellegrinaggio occorre andare a scuola dalla donna del cuore, cioè Maria, la madre di Gesù, che, come sottolinea Luca, custodisce, conserva e medita nel cuore le parole, gli eventi e i silenzi di Dio. È necessario molto cuore per ascoltare i silenzi di Dio.
Occorre lo sguardo di Gesù. Allora cadono le sovrastrutture, le esteriorità, le disquisizioni vuote, tutto ciò che è cascame culturale, "tradizione di uomini". Che aria di libertà con Gesù! Apri il Vangelo e il soffio dello Spirito è ombra di una perenne freschezza, è vento creatore che ti rigenera, che ti apre a sempre nuovi cammini. Perché con Cristo torni al cuore felice della vita.




Letture:
Deuteronomio 4,1-2.6-8
Salmo 14
Giacomo 1,17-18.21-22.27
Marco 7,1-8.14-15.21-23


22 agosto 2024

Da chi andremo? - 25/8/2024 - XXI Domenica Tempo Ordinario




«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?»
Non sempre il Vangelo è un balsamo sulle nostre ferite della vita, una carezza che ci dona gioia, un abbraccio che ci ridona forza. A volte è parola dura, pugno nello stomaco, sgambetto che fa crollare le nostre certezze.
È quello che capita ai discepoli in questo brano. Loro, come noi, hanno capito benissimo il discorso di Gesù. L'hanno compreso talmente bene che ... non vorrebbero sentirlo. È un discorso difficile, insopportabile, inaccettabile, perché troppo lontano dalla loro/nostra mentalità, dalla loro/nostra idea di Dio e di Messia. Quindi la crisi serpeggia anche nella cerchia dei discepoli, e tra quei discepoli ci siamo tante volte anche noi.

Gesù offre la chiave per superare lo scandalo. Una chiave che è fatta di tre elementi:
1 - Ricorda la sua origine divina. Lui è il Maestro che è disceso dal cielo, ed è colui che risalirà da dove è venuto.
2 - «È lo Spirito che dà vita, la carne non giova a nulla». È soltanto nello Spirito e non attraverso gli strumenti dell'intelligenza umana che si possono capire le parole di Gesù. E lo Spirito viene dato, offerto, non conquistato o comprato.
3 - La vera causa dell'incomprensione è la mancanza di fede. «Ci sono tra voi alcuni che non credono».
Ci si può illudere di credere, possiamo 'credere di credere'. È una cosa che può capitare a tutti, nessuno escluso.
Gesù ci rivela, impietosamente, la nostra povertà di fede.
Il paradosso sta proprio qui: prima di tutto si tratta di credere, solo allora si capisce meglio. Invece noi abbiamo la pretesa di veder chiaro per poter credere.
È vero l'opposto: prima si crede, ci si abbandona totalmente a Lui, ci si fida, ci si decide, ci si compromette per Lui, e poi si comincia a veder chiaro. Con Dio è sempre così: già nel deserto, prima gli ebrei hanno detto «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» e 'dopo' Dio ha donato, sul Sinai, la Legge e il Decalogo (cfr Es 19).

«Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui»
Di fronte all'abbandono di molti, Gesù non fa nulla per trattenerli. Non riduce le sue pretese. Non minimizza le sue richieste. Non li rassicura, non gli dice 'Non avete capito bene ... Non volevo dire questo ...'. Sembra quasi che faccia di tutto per scoraggiarli.
Con le sue parole, Gesù ci costringe a prendere posizione, a fare una scelta precisa. Con lui non si possono adottare posizioni intermedie o di compromesso. Non esistono le mezze misure. O stare con Lui o separarsi da Lui: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12, 30; Lc 11, 23)

«Volete andarvene anche voi?» In tempo di crisi, Gesù non procede alla svendita del prodotto. Niente saldi di fine stagione, niente 'notti bianche' (anzi, con Lui ci sarà la notte nera del Getsemani).
Gioca al rialzo, preferisce rimanere solo piuttosto che mercanteggiare sulle cose essenziali.

Ed è a questo punto che Pietro fa la sua confessione di fede a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Non dice "dove andremo?", ma "da chi andremo?". Perché il grosso problema non è andarsene, il grosso problema è da 'chi' andare.
La fedeltà non è una questione di andare o restare, la vera fedeltà è una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme, per andare nella stessa direzione. È sapere che non posso vivere e svilupparmi se non con quel rapporto che mi impegna con quella persona.
E quella persona è Cristo.
Credere non significa sottoscrivere una lista di verità. Credere significa aderire a una Persona, fare di questa Persona il centro, il senso della propria vita. Cristo non è un elemento accessorio della nostra esistenza. È il «pane vivo», il nutrimento indispensabile.
La fedeltà a Lui non va subita, ma vissuta gioiosamente, perché legarsi a Lui in un rapporto di fede e di amore non significa rimanere incatenati, ma significa essere sovranamente liberi, sempre in cammino, stupendamente aperti a tutte le sorprese e novità.
La libertà che Cristo mi offre fa si che io interiorizzi le mie scelte e le ripulisca dalle incrostazioni delle convenienze, delle paure, delle abitudini.
La libertà che Cristo mi offre fa si che nel mezzo della nera notte del Getsemani io sappia sempre che sorgerà il sole splendente dell'infinito giorno della Risurrezione.




Letture:
Giosuè 24,1-2.15-17.18
Salmo 33
Efesini 5,21-32
Giovanni 6,60-69


15 agosto 2024

Dio si dona a me - 18/8/2024 - XX Domenica Tempo Ordinario

pane e vino, carne e sangue



In questo breve Vangelo di solo otto versetti, Gesù per otto volte ci parla di un Dio che si dona: "Prendete la mia carne e mangiate". Per otto volte, Gesù insiste sul perché mangiare la sua carne: per vivere, ma vivere davvero. Una cosa è vivere, altro è solo sopravvivere. È incalzante Gesù nella sua certezza di possedere il segreto che cambia la direzione, il senso, il sapore della vita.

"Chi mangia la mia carne ha la vita eterna". Con il verbo al presente: "ha", non "avrà". La vita eterna è una vita libera e autentica, che si rialza dalle cadute, che non si arrende alle difficoltà, ma soprattutto che fa cose che meritano di non morire. Una vita come quella di Gesù, capace di amare come nessuno.
Sangue e carne sono parole che indicano la piena umanità di Gesù, la sua carne e il suo sangue, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, la sua storia e le sue lacrime, le sue passioni e i suoi abbracci, i piedi intrisi di nardo, la casa che si riempie di profumo e di amicizia. E qui c'è una sorpresa, una cosa inimmaginabile: Gesù non dice 'prendete su di voi la mia sapienza, mangiate la mia santità, il sublime che è in me'. Dice: 'prendete la mia umanità, il mio modo di abitare la terra e di vivere le relazioni come lievito delle vostre relazioni. Nutritevi del mio modo di essere umano, come un bimbo che è ancora nel grembo della madre si nutre del suo sangue'.

Gesù sta parlando del sacramento della sua esistenza: mangiate e bevete ogni goccia e ogni fibra di me. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso della sua vita, che nel nostro cuore metta radici il suo coraggio perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui. Per questo si è fatto uomo, perché l'uomo si faccia come Dio (Ireneo di Lione). Allora mangiare e bere Cristo significa prenderlo come misura. Non 'andare a fare la Comunione' ma 'farci noi sacramento di comunione'. Il movimento fondamentale non è il nostro andare fino a lui, ma è Lui che viene fino a noi. Lui felice di vedermi arrivare, che mi dice: 'sono contento che tu sia qui'. Io posso solo accoglierlo stupito.
Prima che io abbia fame, Lui ha detto 'Prendi e mangia', mi ha cercato, mi ha atteso e infine si dona a me.

Qui emerge il genio del cristianesimo: non un Dio che chiede offerte, doni, sacrifici, ma un Dio che si offre, sacrifica, dona, si perde dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo. Mangiare e bere Cristo significa diventare luce da luce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza.

Gesù ha scelto il pane come simbolo dell'intera sua vita perché per arrivare ad essere pane c'è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono nascosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco dentro la spiga, farina dentro il chicco.
Il percorso del pane è quello di coloro che amano senza badare alle fatiche. Semini il grano nella terra, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. A gennaio le foglioline tremano mentre si alzano sopra la neve. Ma per diventare pane devono salire. A giugno la spiga gonfia si piega verso la terra, viene la mietitura. Poi la battitura, la macina, il fuoco, tutti passaggi duri per il chicco. A cosa serve tutto questo? Serve a purificarci il cuore. Dio sa che dentro di noi c'è del buono, vuole soffiare via la pula perché appaia il chicco, togliere la crusca perché appaia la farina. Vuole portare alla luce il buono di ciascuno di noi.
Cristo si fa pane perché ognuno di noi, prima di morire, possa diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama.
Cristo si fa vino perché ognuno di noi possa diventare goccia di sangue, che è il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono, di caldo e di vivo, e che offriamo a chi amiamo, e ancor di più a chi ha bisogno di essere amato.
Dio è pane in cammino verso la mia fame, è vino in cammino vero la mia sete.

Sapermi cercato nonostante tutte le mie distrazioni,
nonostante questa mia vita superficiale,
nonostante le risposte che non riesco a dare,
sapere che io sono il desiderio di Dio, è tutta la mia forza, tutta la mia pace.




Letture:
Proverbi 9,1-6
Salmo 33
Efesini 5,15-20
Giovanni 6,51-58


08 agosto 2024

Profumo di pane, profumo di Dio - 11/8/2024 - XIX Domenica Tempo Ordinario




Domenica scorsa abbiamo visto come i 'ricercatori' di Gesù, dinanzi alla promessa di un pane «che dura per la vita eterna», non trovano di meglio che riferirsi a Mosè e alla manna. Gesù accetta il paragone, come punto di partenza. Ma ne rivela anche l'insufficienza. La manna è soltanto immagine e profezia del "pane del cielo", quello vero. L'aggettivo "vero", nel linguaggio di Giovanni, serve a indicare la verità definitiva, ultima, il dono completo di cui i doni e le realtà dell'Antica Alleanza erano soltanto pallidi annunci.
Già il Deuteronomio (Dt 8, 2-3) e il libro della Sapienza (Sap 16,20.26) spiegano in prospettiva futura l'episodio della manna nell'Esodo. Il miracolo dell'Esodo serve a introdurre al vero, grande miracolo che si realizza ora. Il vero pane del cielo non l'ha dato Mosè, lo dona Dio ora: «Io sono il pane disceso dal cielo».
Teniamo presente che la manna sta a indicare il cibo primordiale, ossia tutto ciò di cui l'uomo ha bisogno. Di fatto Dio, nel deserto, ha offerto al suo popolo non soltanto il cibo materiale, ma anche la sua Parola, la Legge, l'Alleanza.
Ora è arrivato il dono definitivo, completo: «lo sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia».
Gesù è il dono ultimo, definitivo, del Padre.
È il dono del "pane".
Gesù è tutto ciò di cui l'uomo ha bisogno. Nel dono che è Gesù si colmano le esigenze più profonde dell'uomo.
Cristo è la Parola definitiva di Dio. Tutto ciò che Dio aveva da dire all'uomo, l'ha detto in Cristo. All'infuori di Lui e dopo di Lui non c'è da aspettarsi nessun'altra rivelazione. Gesù, la Parola fatta carne, è in grado di saziare la fame di infinito che sta nel nostro cuore.

A questo punto, c'è da fare un'osservazione.
Il grande e lungo discorso del pane di vita abitualmente viene letto esclusivamente in chiave eucaristica. In realtà, l'Eucarestia non costituisce il tema principale, almeno della prima parte del discorso.
Soltanto a partire dal v. 51 (l'ultimo del brano di oggi) l'Eucarestia diventa il nucleo essenziale delle parole di Gesù. Prima il "pane della vita" è la persona stessa di Gesù. Lui, infatti, è la Parola che si è fatta carne.
Semplificando possiamo dire che prima Gesù si presenta come pane della vita attraverso la sua Parola, poi, nella seconda sezione, Gesù è il pane della vita attraverso la sua carne.
Quindi abbiamo dapprima la mensa della Parola, poi la mensa eucaristica propriamente detta, ma il tutto ad un'unica tavola: quella del pane.

I Giudei tuttavia, non si arrendono: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?»
Ecco ancora una volta l'incapacità radicale a riconoscere che il pane della vita, quello vero, che rappresenta il nutrimento eterno e che scende dal cielo, ci viene offerto 'nascosto' nell'apparente banalità del quotidiano.
È l'Incarnazione che ci fa scandalo.
L'uomo prova una difficoltà quasi insormontabile nel riconoscere un Dio che si manifesta nelle cose ordinarie, nelle realtà comuni, che si 'fa segno' attraverso il quotidiano.
Facciamo molta fatica a ricordarci che con l'Incarnazione del Cristo, il quotidiano diventa sacramento della presenza di Dio e sacramento della nostra presenza a Dio.
Gli avvenimenti di cui Dio si serve per rivelarsi sono i piccoli fatti della vita ordinaria. Le solite cose, le solite occupazioni, il solito orario ci portano il Dio che vuole incontrarci là dove siamo, in quello che facciamo, nel contesto della nostra esistenza di tutti i giorni.
Non dobbiamo andare a cercare Dio altrove. Lui si fa trovare nelle occasioni più comuni, in uno stile dimesso, secondo il cerimoniale dei nostri gesti ordinari, nel sapore di un boccone di pane condiviso.
Perché è da dentro di noi che Dio viene a salvarci, e non è una notizia da poco per l'uomo che "ha trovato un Dio che si cala nell'abisso del nulla dell'uomo. E che da lì lo fa risalire" (Charles Péguy).
La forza è tutta di Dio: si chiama Grazia. E, come dice il suo nome, è gratuita: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato». Non si diventa cristiani per una somma di dottrine imparate a memoria, per una somma smisurata di sforzi di volontà. Si diventa cristiani per attrazione.
Dio sceglie l'attrazione, non la forza, le catene, l'imposizione.
L'attrazione ha un'unica necessità: che la libertà dell'uomo vada incontro alla Grazia di Dio. È necessario che la libertà dell'uomo accetti di lasciarsi incontrare dall'amore di Dio. Un Dio buono come il pane, sottomesso alla libertà delle sue creature.
È (di)sceso dal cielo, Lui che non era per nulla obbligato a farlo, per regalare all'uomo la sua eterna giovinezza.
E cerca di attrarci col profumo del pane fresco, appena sfornato, col Suo profumo.




Il profumo del pane e il viandante

Farina, acqua, lievito e sale;
sale il profumo del pane nell'aria;
aria che respiro dal forno infuocato;
infuocato è il mio pensiero;
pensiero rivolto a te viandante;
viandante della vita che passa;
passa da me amico triste;
triste è il giorno e felice sarà;
sarà ora della tua figura;
figura da vivere senza paura.


Sergio Camellini



Letture:
1 Re 19,4-8
Salmo 33
Efesini 4,30-5,2
Giovanni 6,41-51


01 agosto 2024

Pane di vita - 4/8/2024 - XVIII Domenica Tempo Ordinario

"Io sono il pane della vita"



«Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati»
Il verbo "cercare" è un verbo chiave nel vangelo di Giovanni:
- c'è il Padre che cerca i veri adoratori, in spirito e verità;
- c'è Gesù che cerca non la propria gloria né la propria volontà, ma la gloria e la volontà di Colui che l'ha mandato;
- ci sono i giudei che cercano Gesù per ucciderlo;
- ci sono i discepoli che cercano Gesù per stare con lui: «Gesù si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cosa cercate?"» (Gv 1, 38) (Da notare che queste sono le prime parole di Gesù registrate dal vangelo di Giovanni. Ed è la prima, fondamentale domanda che viene posta a chi intende seguirlo);
- c'è la domanda che ritroviamo al termine del vangelo, quando il Risorto si rivolge in questi termini a Maria di Magdala: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20, 15).
Dunque. Il Maestro "obbliga chi si è messo in cammino verso di lui a interrogarsi: cosa si aspetta da Gesù? Perché lo cerca? E, in realtà, chi cerca?" (Bruno Maggioni).
Non basta cercare, bisogna avere coscienza delle motivazioni reali della propria ricerca. E Gesù pone a tutti noi la domanda provocatoria: cosa cerchi? cosa ti aspetti da me? Ci interroga non perché ha bisogno di sapere (Lui legge nei nostri cuori), ma per aiutarci a prendere coscienza delle vere motivazioni e dei veri obiettivi della nostra ricerca.

Infatti c'è ricerca e ricerca, non tutte le ricerche sono uguali:
- chi cerca Gesù e chi se stesso;
- chi lo cerca per motivi utilitaristici e chi invece per farne il centro della propria vita;
- chi lo cerca in chiave intellettuale (per 'sapere') e chi in chiave esistenziale (perché non potrebbero vivere senza di Lui);
- c'è chi cerca Cristo per "dimorare" con lui, e chi per annetterselo, strumentalizzarlo.
C'è una ricerca che sfocia inevitabilmente nell'insuccesso e una ricerca che porta invece 'a trovare'.
Qui la folla va da Gesù non per Lui, ma per il vantaggio materiale che spera di ricavarne. La loro è una ricerca interessata, riduttiva.

Il Maestro, allora, accusa i suoi 'ricercatori' di non saper leggere i segni. Per Giovanni ci possono essere tre reazioni diverse dinanzi ai 'segni' compiuti da Gesù:
- Accecamento volontario. È l'atteggiamento di chi rifiuta di vederli, di prenderne atto. Ad esempio, i farisei in occasione della guarigione del cieco nato, o della risurrezione di Lazzaro;
- Miopia. Consiste nel fermarsi alla materialità del segno. È l'errore della folla che si ferma al segno in se stesso, e non sa guardare oltre, nella direzione suggerita dal segnale;
- Penetrazione. Si tratta del dinamismo proprio del credente che, stimolato dal segno, va oltre il segno per coglierne il significato profondo, il segreto nascosto, l'identità personale di Gesù. Esempio tipico la conclusione del miracolo di Cana: «manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2, 11).
Gesù, di fronte alla massa che pretenderebbe imprigionarlo nelle proprie attese, presenta due tipi di cibo:
- «quello che non dura »
- «quello che rimane per la vita eterna ».
Quegli individui rimangono ostinatamente e pesantemente attaccati al pane materiale. Non riescono a sollevarsi oltre l'orizzonte terrestre.
Certo, Gesù non rifiuta questo pane, non ne sminuisce l'importanza (ha compiuto il miracolo proprio per sfamare la folla), ma rifiuta di fermarsi a questo. Sa che «non di solo pane vive l'uomo» (Mt 4, 4). E lui è venuto per offrire qualcos'altro. Un altro pane. Il suo messaggio passa attraverso il problema economico, ma va oltre il piatto di minestra.

E qui c'è un'altra caratteristica del vangelo di Giovanni: l'equivoco. Gesù scongiura i suoi 'ricercatori' a procurarsi «il cibo che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà », ma loro non riescono a sradicarsi dal ricordo dei pani con cui si sono rimpinzati lo stomaco nel deserto.

Subito dopo, spunta un altro equivoco:
- «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» Pensano immediatamente a qualcosa da fare, a delle opere onerose da compiere per meritarsi l'approvazione e la simpatia di Dio, cioè ad 'appropriarsi di Dio'.
- «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» Cristo replica che l'opera fondamentale è la fede. Si tratta di credere, cioè a diventare 'proprietà di Dio'.
Perché la fede è prima di tutto dono, poi libera risposta dell'uomo.
La fede è qualcosa che si riceve, non qualcosa che si conquista, quindi "c'è una sola cosa da fare. Lasciarsi fare" (card. Jacques Perron), cioè lasciarsi conquistare dall'amore incondizionato di Dio, perdersi nel suo abbraccio materno.





Tra le tue braccia

C'è un posto nel mondo
dove il cuore batte forte,
dove rimani senza fiato,
per quanta emozione provi,
dove il tempo si ferma
e non hai più l'età;
quel posto è tra le tue braccia
in cui non invecchia il cuore,
mentre la mente non smette mai di sognare...
Da lì fuggir non potrò
poiché la fantasia d'incanto
risente il nostro calore e no...
non permetterò mai
ch'io possa rinunciar a chi
d'amor mi sa far volar.

Alda Merini


Letture:
Esodo 16,2-4.12-15
Salmo 77
Efesini 4,17.20-24
Giovanni 6,24-35