25 settembre 2025

Dove un uomo non ha attorno a sé nessuno, se non dei cani, lì c'è Dio - 28/9/2025 - XXVI Domenica tempo ordinario

 
Parabola dell'uomo ricco e Lazzaro
Da un manoscritto di origine francese della fine del XIII secolo
British Library (Londra)

 
Per molti, troppi, secoli questa parabola è stata usata dai potenti, e anche da tanti uomini di chiesa, per tenere 'rassegnati' e sottomessi i poveri e gli indigenti: i poveri devono solo lasciare che i ricchi finiscano in pace il loro banchetto e abbiano la loro sepoltura, così poi, in Paradiso, avranno la loro rivincita.
Niente di più lontano dal senso biblico di 'rassegnazione'. Mai nella Bibbia si invita a rimandare all'aldilà la soluzione alle ingiustizie del presente. La fede è anche indignazione, denuncia delle disuguaglianze, lotta contro le ingiustizie. Il giudizio di Dio non è rimandato all'ultimo giorno, ma inizia e va proclamato nel presente, oggi.
Cerchiamo quindi di capire meglio cosa ci vuole comunicare questa parabola.
 
Innanzi tutto c'è una particolarità: in tutto il vangelo di Luca questa è l'unica parabola in cui uno dei protagonisti ha un nome. "Lazzaro" è un nome peraltro comune nell'ebraismo (significa "Dio aiuta", "Yahweh viene in soccorso"). Ma soprattutto è il nome di un amico carissimo di Gesù (Gv 11, 5). È un nome che sa di affetto e vicinanza, che ha il sapore di cene condivise nella gioia e nella semplicità (Lc 10, 38), un nome che sa di resurrezione (Gv 11, 38-44).
Se Gesù dà al povero il nome del suo amico Lazzaro, ogni povero dovrebbe avere, anche per me, un nome d'amico.
 
Il ricco invece non ha nome. Per i semiti il nome esprime la realtà della persona, la sua storia e la sua missione. Il ricco non ha nome perché non ha realtà, non ha storia, non ha missione. Ha costruito la sua vita sul vuoto, sulle cose e alla fine è divenuto 'cosa'. Ha perso il vero senso della vita, perché non si può vivere per «fare lauti banchetti» tutti i giorni.
Lui si è isolato, separato dalla vita. La ricchezza l'ha imprigionato nell'egoismo. La sua sarà anche, all'apparenza, una prigione dorata, ma sempre prigione è. Impegnato a guardare nel suo piatto ricolmo non vede il povero che sta alla sua porta. I cani vedono meglio di lui!
La sua è una vita apparentemente piena. Ma in realtà è vuota. Piena di cose, ma a ben guardare sono cose inutili. Se queste facciate posticce, queste maschere, cadessero non rimarrebbe niente, se non un'estrema solitudine e mancanza di senso. Una disperazione. Cioè un inferno, e non nell'aldilà, ma già qui sulla terra.
 
La morte non è un ribaltamento di quello che succede qua adesso, ma è il presente che viene 'fissato' nell'eternità.
Il ricco si accorge che ha bisogno degli altri (Abramo e anche Lazzaro) quando è dall'altra parte, quando ormai non è più in tempo. Lui si preoccupa degli altri (i suoi cinque fratelli) in ritardo.
Ma questa impossibilità non è dovuta ad una 'punizione' da parte di Dio. Anche se all'inferno il ricco rimane sempre un «figlio» (è così che lo chiama Abramo). Il fatto è che non sono i miracoli né la morte a convertire, ma è la Vita che converte!
 
«Hanno Mosè e i profeti», cioè hanno il grido dei poveri, che sono la parola e la carne di Dio («tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» Mt 25, 40). Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato. Non c'è miracolo che valga il grido dei poveri: "Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa". (San Vincenzo de' Paoli).
 
 

 
Letture:
Amos 6,1.4-7
Salmo 145
1Timoteo 6,11-16
Luca 16,19-31
 
 
 

 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».
 
 

18 settembre 2025

Dio ama le "irregolarità" che vanno a vantaggio del prossimo - 21/9/2025 - XXV Domenica tempo ordinario

Parabola dell'amministratore scaltro (1540)
Marinus van Reymerswaele
Kunsthistorisches Museum (Vienna)

 
 
Se leggiamo questa parabola (L'amministratore disonesto) in maniera distratta ci sembra che Gesù lodi la disonestà di questo personaggio. Ma se andiamo al centro, al tema dominante, possiamo fare delle scoperte interessanti.
 
Gesù loda la capacità di tirarsi fuori da una situazione difficile. Dio ci ha donato un cervello ed è contento se lo usiamo. Usare la propria capacità di ragionare, la propria fantasia, ragionare con la propria testa è già un rendere grazie al Signore.
Il Signore ama le persone che di fronte a situazioni nuove non si chiudono dietro ad un 'si è sempre fatto così', ma usano le proprie capacità per leggere i segni dei tempi, per capirli, per dare nuove risposte e scoprire nuove strade.
 
L'amministratore ha fatto una scoperta decisiva: ha scoperto gli altri. Fino a quel momento aveva pensato esclusivamente a sé stesso, ai propri interessi. E adesso scopre la realtà dei rapporti personali, dell'amicizia oserei dire. Continua ad usare ingiustamente della proprietà altrui, ma adesso non lo fa più a suo vantaggio, ma a vantaggio degli altri.
Ha scoperto che la propria salvezza passa attraverso l'apertura agli altri.
 
Questa è una lezione essenziale per la Chiesa. Che non è padrona, bensì semplice amministratrice e dispensatrice dei tesori del suo Signore.
La Chiesa non può vivere pensando a sé stessa, alla propria sicurezza, ai propri diritti, al proprio prestigio, al proprio potere. Deve 'mettere in circolazione' i beni del suo Padrone. Deve scoprire la propria identità nel suo 'essere per' gli uomini.
I beni del Signore vengono 'dissipati' quando sono tenuti per sé, chiusi, protetti, difesi. La vera, grossa infedeltà consiste nel non largheggiare, nel non distribuire a piene mani.
Ed è giusto che la Chiesa - come l'amministratore che si dichiara incapace di maneggiare la zappa - non faccia altri mestieri che non siano il suo: perdonare, usare misericordia, compatire (nel senso di patire insieme), comprendere, aprire, liberare. E lo faccia nel modo più ampio possibile.
 
Ma la lezione riguarda anche ciascuno di noi. La parabola ci insegna a compiere 'irregolarità' in altra maniera. Dio ama le 'irregolarità' che vanno a vantaggio del prossimo.
Si tratta di minimizzare le colpe degli altri (e non di aumentarle, come facciamo abitualmente), ridurre i loro difetti, cancellare le offese, tirare una riga sopra i torti, non ragionare in termini di diritti o di ragione/torto ma in termini di amore.
Invece di chiudere le nostre mani per arraffare, dobbiamo spalancarle per donare, dobbiamo 'dissipare' per regalare gioia, luce, speranza.
Allora il Signore tornerà a fidarsi di noi.
 
Certo, alla fine, nei nostri conti mancherà sempre qualcosa. Lui però sarà soddisfatto egualmente della nostra 'cattiva amministrazione' se quello che manca potrà trovarlo 'altrove', e non nel nostro portafoglio.
E noi ci saremo fatti degli amici che parleranno bene di noi presso l'Amico.
 
 

 
Letture:
Amos 8,4-7
Salmo 112
1Timoteo 2,1-8
Luca 16,1-13
 
 
 

 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,1-13)

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".
L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
 
 

11 settembre 2025

Amare non è un'emozione, ma un'azione - 14/9/2025 - Esaltazione della Santa Croce

 
Miniatura della Crocifissione
inizio dell'XI secolo (particolare)
(Codex Uta, Bayerische Staatsbibliothek - Monaco)

 
La festa della Esaltazione della Croce ha la sua origine in vicende storiche. La croce ritrovata e riconquistata nel VII secolo dall'imperatore Eraclio è il motivo storico della festa. Ma il motivo spirituale è molto più profondo e importante: la croce è lo svelamento supremo di Dio.
Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi è di essere con l'amato. Gesù è in croce solo per essere con me e come me. Perché io possa essere con Lui e come Lui.
 
«Dio ha tanto amato». È questo il cuore profondo del cristianesimo. "Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama" (Paul Xardel). La salvezza è Lui che ama me, proprio me e così come sono, e non io che amo Lui.
«Amare tanto» è cosa da Dio, e da veri figli di Dio. Ogni volta che una creatura ama tanto, in quel momento sta facendo una cosa divina, in quel momento è pienamente figlia di Dio, incarnazione del progetto del Padre.
«Ha tanto amato il mondo da dare»: amare non è una emozione, ma un'azione. Comporta un dare, generosamente, illogicamente, dissennatamente dare. E "Dio non può dare nulla di meno di se stesso" (Meister Eckart).
 
«Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Il mondo è salvato, non condannato.
Ogni volta che temiamo condanne per le ombre che ci portiamo dietro, siamo pagani, non abbiamo capito niente della croce.
Ogni volta che siamo noi a lanciare condanne, siamo pagani, scivoliamo fuori dalla salvezza di Dio.
Salvare vuol dire anche conservare, e per questo nessun gesto d'amore, nessun coraggio, nessuna forte perseveranza, nessun volto andrà perduto o dimenticato. Neppure il più piccolo filo d'erba. Perché è tutta la creazione che brama, che geme nelle doglie della salvezza (Rm 8,18-22).
 
 

 
Letture:
Numeri 21,4-9
Salmo 77
Filippesi 2,6-11
Giovanni 3,13-17
 
 
 

 
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,13-17)

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
 
 

04 settembre 2025

Dio non è capace di fare le sottrazioni - 7/9/2025 - XXIII Domenica tempo ordinario


 
 
A noi, che sentiamo sempre le parole del serpente che ci invita a diffidare di Dio, sembra quasi che Dio si metta in concorrenza con i nostri cari, che ci chieda di rinunciare a loro per poter accogliere Lui. Siamo portati a pensare che l'amore per Dio ci debba portare ad una 'sottrazione' nei nostri amori umani. Ma Gesù usa una parola precisa: 'più'. Dio non fa sottrazioni, Lui fa solo addizioni!
 
L'accento delle parole di Gesù non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. Non indicano un punto di partenza, indicano una meta da raggiungere. In pratica Gesù ci dice: "Tu sai quant'è bello amare tuo padre, tua madre, il tuo coniuge, i tuoi figli; quanto ti fa bene e ti rende felice. Ecco, io ti dono qualcosa di più, qualcosa che rende il tuo amore ancora più bello, qualcosa che ti fa stare ancora più bene, che ti rende ancora più felice",
Dio non toglie niente, anzi, aggiunge. Lui aggiunge il suo amore al nostro amore, accoglie, e fa suo, il nostro amore per amare ancora di più le persone, il mondo.
 
«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». 'Portare la croce' non significa 'sopportare' le sofferenze e le difficoltà della vita. Non è un sopportare passivo, ma un 'prendere' attivo.
Perché la croce è il riassunto della vita di Gesù, quindi 'portare' la croce significa vivere una vita come la sua, che sapeva amare come nessun altro.
Prendere la croce vuol dire prendere l'amore, perché senza amore non sei vivo, e prendere anche la parte di dolore che ogni amore porta con sé, perché sennò non ami.
Perché Dio non ci salva dalla croce, ma nella croce, non protegge dal dolore ma nel dolore, non dalla tempesta ma nelle tempeste della vita.
 
Essere figli di Dio non vuol dire essere figli di una sottrazione, ma di un'addizione. I credenti non sono uomini e donne diminuiti, ma sono uomini e donne che hanno più amore, più libertà, più consapevolezza. "Il cristiano è un essere umano finalmente promosso a uomo" diceva don Primo Mazzolari.
Il cristiano è uno che ha scoperto che il vivere il Vangelo rende più belle le esperienze belle che facciamo nella vita.
 
 

 
Letture:
Sapienza 9,13-18
Salmo 89
Filèmone 1,9-10.12-17
Luca 14,25-33
 
 
 

 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,25-33)

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro".
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».