Alcuni secoli prima di Cristo, un uomo giusto e molto pio, Giobbe, così lanciava il suo grido a Dio: “Ma io all'Onnipotente voglio parlare, con Dio desidero contendere.” (Gb 13,3) Aveva un po’ di rimostranze da rivolgere a Dio.
Anch’io, seppur non sia né giusto né molto pio, ho delle domande da porre a Dio: perché i terremoti dell'Aquila e di Haiti; perché i bambini sfruttati, violentati, uccisi; perché la solitudine dei vecchi; perché la disperazione dei disoccupati; perché gli affamati, gli emarginati, i derelitti?
E Dio deve rispondermi, deve darmi delle spiegazioni. Deve giustificarsi.
E la risposta arriva per bocca di Pilato: “Ecco l’uomo” (Gv. 19,5). Ecco il tuo fratello di sventura, il tuo compagno di dolore.
Dio non è venuto per eliminare il dolore umano, non è venuto a presentarci un trattato sulla sofferenza molto erudito. Non ci ha fornito delle spiegazioni, Invece ha fatto qualcosa di più: è venuto a condividere, a partecipare, a prendere su di sé il dolore degli uomini, di tutti gli uomini che soffrono.
Ecco cos'è la croce. È il sacramento della sofferenza degli uomini che Dio riceve, che Dio mette sulle proprie spalle. È l’urto tremendo del dolore umano che va a schiantare il cuore di Dio.
Sulla Croce niente viene dimenticato, niente viene lasciato fuori: ci sono le vittime dei terremoti; i bambini derubati dell’innocenza, della speranza e della vita; la solitudine della vecchiaia; la disperazione dei disoccupati; ci sono gli affamati, gli emarginati, i derelitti di ogni tipo. C’è l’urlo strozzato di chi non ce la fa più, ci sono tutte le angosce morali, psicologiche e fisiche.
Adesso niente va perduto. È venuto a cercare il tuo dolore ‘inutile’. L’ha scoperto e se ne è impossessato. E adesso avanza barcollante sotto il peso della croce.
Ecco l’uomo!
Ecco Colui che “porta, sopporta, porta via la nostra angoscia” (K. Barth)
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