La prima coppia è fatta da "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?" (Atti) e "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Vangelo). Una prima cosa da notare è che Gesù, nel lasciare la terra, non dice che "sarà" con noi, ma che "È" con noi. Con l'Ascensione Gesù non ci ha abbandonato, ma continua ad essere con noi qui ed ora. Solo che lo è in maniera differente. E se vogliamo incontrarlo, se vogliamo vederlo, non dobbiamo alzare gli occhi al cielo. Dobbiamo invece abbassarli alla terra. Ricordando le sue parole (quello che avete fatto al più piccolo degli uomini, l'avete fatto a me - Mt 25,35-46 ), per vedere Gesù dobbiamo abbassare lo sguardo fino ad incontrare gli ultimi, i più schiacciati. In ogni essere umano sfruttato, violentato, perseguitato, sofferente, bastonato dalla vita o dagli uomini, c'è Gesù. Dovremmo accostarci a questi uomini con la stessa devozione con cui ci accostiamo all'Eucarestia: è lo stesso Gesù sotto diversi aspetti. E dovremmo considerare ogni offesa ad un essere umano come un'offesa a Gesù. Ogni volta che calpestiamo la dignità, l'umanità delle persone, è come se calpestassimo le ostie consacrate.
La seconda coppia è costituita da "ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme" (Atti) e "Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli" (Vangelo). Due frasi in apparente contraddizione: una dice di stare fermi in città e l'altra di andare in tutto il mondo. La chiave per capire si trova in quella specificazione alla prima frase: rimanere fino a quando non siate investiti di forza dall'alto. Senza la forza dall'alto, senza lo Spirito, il messaggio suona falso, poco credibile. Andate, ma prima di tutto rimanete. Rimanere nella preghiera, nella contemplazione. Altrimenti il nostro è un annunciare noi stessi, un chiassoso girare a vuoto come ci ricorda san Paolo nella lettura delle lodi del lunedì della prima settimana T.O. "L'uomo che si agita, fa scoppiare di risate gli angeli" diceva Shakespeare.
Non solo come persone, ma anche come comunità dobbiamo vivere queste due cose: pregare e meditare per poter andare e predicare (con le parole se necessario, con la vita sempre).
La vita del cristiano, come quella della Chiesa, deve essere comunitaria e comunicativa.
Senza comunicazione, senza uscita verso gli altri, non facciamo altro che girare intorno a noi stessi. Il nostro non è altro che un rimirarsi l'ombelico.
Ma se manca il centro, il nostro agire finisce per diventare un girare a vuoto, un agitarsi, magari facendo molto baccano, per nascondere (anche a noi stessi) la nostra debolezza spirituale.
Sono questi i due rischi per la vita personale ma anche comunitaria, della Chiesa. Rischi che vengono superati solo in una visione unitaria e completa della vita personale e della Chiesa. "Stare" (il centro) è in funzione di una precisa responsabilità verso gli altri. E "andare", l'uscire, diventa una manifestazione, obbligatoria, di ciò che si è ricevuto in profondità. Bisogna non solo "essere", ma anche "essere per".
Come diceva fr. Roger, fondatore e priore della comunità monastica ecumenica di Taizé: "Se i cristiani cercano di essere visibilmente in comunione, ciò non è fine a sé stesso, non è per stare meglio insieme o per essere più forti, ma è per essere veri di fronte agli uomini, per offrire a tutti gli uomini un luogo di comunione... La nostra comunione, un fuoco acceso su tutta la terra: ci ardiamo dentro"
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