Il centro del discorso del Vangelo di oggi, 3/5, è il rapporto tra le pecore e il pastore. Per capirlo meglio occorre sapere quali erano gli usi in Palestina al tempo di Gesù.
Nel recinto sono alloggiati diversi greggi appartenenti a svariati padroni che, per la notte, affidano le proprie pecore alla sorveglianza di un guardiano. Al mattino si presentano i vari pastori. E ciascuno chiama le proprie pecore che, così, escono fuori e lo seguono. Pur confuse, mescolate insieme, le pecore rispondono unicamente all'appello del proprio padrone. Non vanno dietro a un altro pastore, che per loro risulta «estraneo». È la voce che permette il riconoscimento. «Un estraneo ... non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Questo particolare, è la chiave di tutta la similitudine. Le pecore, nel recinto, durante la notte, possono provare l'impressione di aver perduto il pastore, di essere state abbandonate da lui. Lo ritrovano al mattino, non quando lo vedono, ma quando «ascoltano la sua voce».
Allora avviene l'incontro, il riconoscimento reciproco, grazie a una specie di «liturgia della voce». È la voce che permette di distinguere il pastore dagli estranei. È la voce che restituisce ciò che è stato sottratto agli occhi. Pure Maria di Magdala, il mattino di Pasqua, allorché si affida al «vedere», si sente autorizzata a piangere perché avverte ciò che le è stato tolto: «Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro e non so dove l'hanno posto» (Gv 20, 13).
Lo ritrova al suono della voce:
- Maria!
- Rabbunì!
Gli occhi non sono stati affidabili, difatti l'ha scambiato per il giardiniere. Ma la voce non tradisce. Quel timbro, quel tono, ma soprattutto il nome pronunciato in quella maniera, fanno scoccare la scintilla del «riconoscimento ». Anche lei, come le pecore, riconosce il Pastore quando lo sente pronunciare il proprio nome. Come mi faceva notare un’amica, i neonati riconoscono la madre dalla voce.
«Chiama le sue pecore una per una ... » Ciascuna, oltre a riconoscere quella voce unica, inconfondibile, riconosce il proprio nome. Si tratta di un pastore che si occupa, non di un gregge, di una massa, ma delle singole pecore. E proprio questo rapporto personale, intimo, all'insegna dell'unicità, è quello che si stabilisce tra noi e il vero Pastore, e lo caratterizza rispetto a tutti gli altri « abusivi ».
Ognuno di noi non è uno fra i tanti. È unico. Non è un numero, confuso nella quantità, una pedina che può essere sostituita da tante altre, esse pure intercambiabili, nel vasto scacchiere del mondo .
Ogni individuo è una scoperta, un esemplare esclusivo. L'uomo medio, ordinario, standard esiste soltanto nelle statistiche.
Dio non lavora in serie. L'uomo non esce da una colossale catena di montaggio celeste, che sforna prodotti pressocché uguali. Ogni uomo è un modello originale, con delle caratteristiche peculiari, che possiede in esclusiva.
Dio concede a ciascuna creatura l'esclusiva della Sua immagine. Ognuno di noi è un qualcosa che non può essere ripetuto, e di cui non esiste copia o sostituto.
Ogni uomo che nasce ha un compito « unico» da svolgere nel mondo.
Ogni uomo che viene al mondo è necessario. Dal momento che è stato creato, è necessario alla vita, è necessario all'amore, è importante di Amore.
Ogni uomo è insostituibile nella vita. Io sono chiamato a produrre una nota originale, insostituibile, nel concerto dell'universo. Se non mi realizzo, se non sono me stesso, privo il mondo, la Chiesa, di qualche cosa che soltanto io sono in grado di produrre. Se io non vivo in pienezza, lascio mancare la mia nota, necessaria alla sinfonia generale. Una nota che nessun altro può produrre al mio posto.
Posso farmi sostituire in un lavoro. Ma non posso farmi sostituire nella vita.
Per qualunque «padrone del vapore» si può trovare facilmente un sostituto (anche se lui ne dubita). Ma nessuno può sostituire la più piccola creatura che rifiuta il proprio posto nella vita.
Per ciò che fai, puoi anche essere inutile (anzi, è igienico possedere questo senso di inutilità), ma per ciò che sei, per ciò che sei chiamato a essere, risulti addirittura indispensabile.
La vita non può fare a meno di te.
Ma torniamo alla voce. Quell'essere chiamato per nome, non è soltanto un fatto di «riconoscimento». Quella voce è un appello. Quando mi sento interpellato personalmente, avverto una sollecitazione a muovermi, a mettermi in cammino, a tener dietro al Pastore.
Quella non è una voce semplicemente consolante.
Il mio nome non viene pronunciato per cullarmi nel sonno
È un perentorio segnale di risveglio.
La risposta a quella voce la si dà ... lungo la strada della vita
Ogni uccello ha il suo modo di volare.
Ogni persona ha il suo modo di incarnare il Cristo.
14 maggio 2020
Quarta Domenica di Pasqua 2020
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