Più che la mite e tenera colomba oggi, lo Spirito Santo, è uno di quei robusti refoli di bora "ke fa tuto un remitur". È il caso di dire che fa fuoco e fiamme, proprio in senso letterale.
E sbatte tutti fuori di casa, dove se ne stavano tappati e sprangati per paura. Lo Spirito Santo quando arriva non lascia mai le cose come stanno, ti butta fuori. Fuori dalle tue paure, dalle tue false sicurezze, da tutte quelle difese che ti sei costruito e che un po' alla volta ti stanno isolando, ti stanno soffocando.
È proprio una boccata d'aria pura, pulita, frizzante. Che ti alleggerisce il cuore e ti mette nei piedi la voglia di muoverti, di andare.
Ma quando esci dai tuoi timori, dalle tue abitudini, incontri gli altri. E qui, agli Apostoli, avviene quello che a me pare il miracolo più grosso: non il parlare varie lingue, ma il fatto che gli altri capiscano!
Quante volte è capitato che pur parlando la stessa lingua alla fine, dopo ore di discussioni, non ci si sia capiti. Penso a certe riunioni di lavoro, a certe sedute parlamentari, ma anche a certi consigli pastorali o certi incontri ecclesiali. Ore, giorni di discorsi, ma alla fine non ci si è capiti.
Perché l'importante non è parlare varie lingue, ma parlare bene, in vari modi. Parlare non per imporre la propria idea, ma per proporre un cammino da fare insieme; parlare non per dimostrare la propria cultura, la propria supposta superiorità, ma perché l'altro capisca; parlare non per vincere, ma per abbracciarsi. Non si può parlare allo stesso modo ai bambini come agli adulti, a tante persone come ad una singola persona, a Tizio come a Caio. Non si deve parlare per mostrare sé stessi, ma per farsi capire. E per farsi capire dobbiamo spostare la nostra attenzione, il centro dei nostri pensieri, da noi a chi ci sta di fronte. Dobbiamo, anche qui, uscire da noi stessi, spostare il nostro sguardo dal nostro ombelico agli occhi e al cuore dell'altro.
Ma anche per ascoltare dobbiamo uscire da noi stessi, dalle nostre idee preconcette. Dobbiamo innanzi tutto dare all'altro la possibilità di stupirci, di dirci qualcosa che tocchi il nostro cuore. Dobbiamo ascoltare per capire, non per controbattere, aprire il nostro cuore a ciò che l'altro ci vuole comunicare, non a quello che noi vogliamo dire. Perché ascoltare realmente è fare comunione, è spezzare insieme lo stesso pane.
A me pare che più si moltiplicano i mezzi di comunicazione, meno si comunichi. Questo perché il più delle volte usiamo questi mezzi non per incontrare gli altri, ma per mostrare noi stessi, per imporci agli altri. È questa una tentazione, un rischio che tutti corriamo e non solo con facebook, twitter, ecc., ma nella vita di tutti i giorni, nel nostro ambiente di lavoro come nella famiglia o con gli amici. Se cerchiamo di non lasciarci prendere con le nostre sole forze, con la sola nostra volontà, è molto difficile, ma se invece domandiamo l'aiuto, il soccorso, dello Spirito Santo allora non saremo più soli, ma, come agli Apostoli, ci verrà donata la capacità di parlare e di ascoltare. Cioè di fare Comunione.
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