Gesù di fronte alla nostra sofferenza prova compassione. Ma la sua compassione non è un vago sentimento che passa appena girato lo sguardo. È viscere in fiamme, è sofferenza di madre tutta presa dal patire del figlio, è gesto di pronto soccorso.
È dimostrazione che Dio non è indifferente al nostro star male. A Lui non interessano le nostre categorie di meritevole o non meritevole, di puro o impuro, di degno o indegno. Per Lui noi siamo tutti, ma proprio tutti, figli amati e perdonati.
Colpisce che Gesù alcune volte non abbia compiuto miracoli. A causa dell'incredulità di alcuni non ha compiuto miracoli (Mt 13,58), di fronte alla ricerca del miracolo fine a sé stesso, al miracolo per stupire, non ha compito miracoli (Lc 23,8-9), neanche per la sua salvezza ha compiuto miracoli!
Ma di fronte al rimettersi alla sua volontà, alla ricerca di poter vedere in prima persona il venire del Regno che Lui sta annunciando, Gesù dice «Lo voglio, sii purificato!» Gesù non riesce a resistere all'umiltà di chi si rimette totalmente alla sua volontà, di chi accetta da Lui anche la possibilità di una non risposta.
Ma a Gesù non basta vederlo, lo tocca. Infinita tenerezza di una carezza. Dio guarisce con una carezza. Proprio in questi tempi di distanziamento sociale, di persone isolate senza nessun contatto umano, sentiamo la mancanza, l'importanza vitale di carezze, di abbracci. Come dice Papa Francesco "il tatto è il senso più religioso dei cinque". Però la Carità ci obbliga a limitare al massimo l'uso di questo senso. Allora, sempre secondo le parole del Papa, possiamo "guardare gli occhi: anche questo è contatto". Imparare ad accarezzare con lo sguardo, imparare ad abbracciare con gli occhi, è questa la missione che ci è affidata in questo periodo.
Dobbiamo far si che i nostri occhi diventino la mano con cui Dio accarezza gli esseri umani per guarirli dalla solitudine, dalla povertà, dalla mancanza di accoglienza, dall'emarginazione sociale e religiosa, dal giudizio.
(Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45)
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