21 settembre 2023

Non scandalizzarsi della generosità di Dio - 24/09/2023 - XXV Domenica Tempo Ordinario

Vigna dopo la vendemmia
(foto J.C.)



Questo è un brano ricco di significati, proviamo a vederne alcuni.

- Essere chiamati a lavorare dal Signore è grazia, è dono. Al Signore, poi, non importa quanto e come abbiamo lavorato. Per Lui conta solo che noi abbiamo accettato di lavorare nella sua vigna.

- Il dono principale non è il denaro che viene pagato. Il Signore dona molto di più: restituisce la dignità! A persone che provavano la vergogna di apparire scansafatiche anche se non volevano esserlo proprio per niente, che vivevano l'umiliazione di essere padri senza stipendio, che erano spolpati della pur minima dignità, il Signore ha donato la dignità di poter tornare a casa a testa alta, l'orgoglio di poter dire ai figli che quel giorno c'era da mangiare per tutti.

- Dio è un padrone "insolito". La sua priorità non è dare lavoro a tutti, ma aprire a tutti la sua vigna. Più che lavoratori cerca partecipanti alla festa del raccolto. Per questo va per le strade ad ogni ora del giorno a chiamare tutti. L'unica condizione che pone è che dicano di sì.

- Proprio per questo non conta 'l'anzianità di servizio'. Non è questione di quanto si è lavorato, ma di intensità, disinteresse, modo di essere, disponibilità a rispondere alla voce del Signore quando si fa sentire. Gli piacciono gli 'operai' che si fidano di Lui, quelli che evitano, perché non gli passa neanche per la testa, di mercanteggiare.

Per questo può sembrare un padrone ingiusto. E umanamente parlando lo è. Perché la giustizia umana è dare a ciascuno quello che si merita. Ma la giustizia di Dio è dare a ciascuno il meglio. E questa apparente ingiustizia ci porta al punto centrale della parabola, a quella constatazione un po' amara del padrone: «sei invidioso perché io sono buono?»
'Invidioso' è la traduzione di un termine che letteralmente significa 'avere occhio cattivo'. In fondo la parabola ci dice che possiamo essere buoni lavoratori, ma essere malati di 'occhio cattivo'. Troppo spesso è più facile accettare la severità di Dio che la sua misericordia. La prova principale è proprio questa: sei capace di accettare la bontà del Signore, di non brontolare quando perdona, quando dimentica le offese, quando è paziente, quando è generoso con chi ha sbagliato? Sei capace di perdonare a Dio la sua 'ingiustizia'?
Siamo capaci di partecipare alla festa del Signore, o anche noi, come il fratello 'obbediente' del figliol prodigo, ci rifiutiamo di entrare?
Il nostro guaio è l'invidia, l'occhio cattivo, la nostra incapacità di gioire quando Dio fa festa per chi, secondo noi, non se lo merita. Dimentichiamo che il primo santo, l'unico canonizzato direttamente da Gesù, era il ladrone appeso alla croce accanto.
L'infinita misericordia di Dio ha un solo nemico: l'occhio cattivo.



Concedimi, Signore, di essere
lavoratore contento della vigna,
di aver servito il Vangelo,
operaio di non so quale ora
ma che non si aspetta ricompensa alcuna.

Lieto solo di aver lavorato alla tua vigna,
per grappoli profumati,
per un vino nuovo,
per una terra più bella.
Contento di essere primo al lavoro
e contento per il denaro degli ultimi.

Ti prego, Signore,
concedimi uno sguardo buono
e poi di imparare a godere della tua bontà.
Tu sei la mia vita,
la mia ricompensa,
il mio frammento d'oro.

Ti dispiace che io sia buono?
mi domandi.
No, Signore, non mi dispiace
perché sono l'ultimo della fila
e tutto è grazia.
Ermes Ronchi
(il grassetto è mio)



(Letture:
Isaia 55,6-9; Salmo 144; Filippesi 1,20-24.27; Matteo 20,1-16)


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