Ogni uccello ha il suo modo di volare.
Ogni persona ha il suo modo di incarnare il Cristo.
25 dicembre 2013
Buon Natale
Che nella vostra vita, ogni notte, e specialmente quelle interiori, possa diventare come una notte di Natale: una notte illuminata da un gesto d'amore e da un annuncio di pace.
22 dicembre 2013
Quarta dom. Avvento 2013
Rimaniamo sull'intervista di papa Francesco a Civiltà Cattolica. Ad un certo punto lui dice: "Dio è sempre una sorpresa".
Noi vorremmo sempre tutto chiaro e sicuro, tutto o bianco o nero. Di qua il giusto, il bene, la verità; e di là l’errore, il male, la falsità. E così oltre a incatenare le persone, finiamo per voler dire a Dio cosa deve fare. E invece di essere noi a cercare di seguire Dio, di mettersi dalla sua parte, finiamo per proclamare che Dio è dalla nostra parte, che "Dio è con noi". E dimentichiamo che nella storia i delitti più efferati sono stati fatti proprio sotto la bandiera di “Dio è con noi”!
Se Dio non mi spiazza, non rovescia il mio modo di pensare, di agire, se non mi smentisce soprattutto su quello che penso di Lui, allora significa che non lo sto seguendo; che al posto del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, del Padre di Gesù, io ho messo un idolo costruito da me.
Sono certo di adorare il vero Dio quando sono più le volte in cui mi da torto di quelle in cui mi da ragione, sono più le volte in cui è in disaccordo di quelle in cui è d’accordo con me. Però nonostante tutta la mia incapacità, tutti i guai e le stupidaggini che combino, non smette di amarmi, non smette di incoraggiarmi, non smette di aver fiducia in me.
E mi fa la sorpresa più grande: invece di rinchiudersi in cielo, scende qui sulla terra, si fa uomo, si fa neonato, si fa mio fratello. Non c’è sorpresa più grande di un Dio che fa tutto questo, di un Dio che si lascia anche ammazzare da me.
Che il Natale che viene possa essere la riscoperta della sorpresa di Dio, che possa aprire il nostro cuore alla meraviglia. Quella meraviglia che ci porta ad incontrare Dio nelle piccole cose della vita, che ci porta a gioire perché anche oggi è sorto il sole, a gioire perché anche oggi una persona ci ha sorriso o è stata gentile con noi, a gioire perché anche oggi possiamo donare qualcosa agli altri. E allora dal nostro cuore sgorga un "Grazie Signore, grazie di tutto!"
Noi vorremmo sempre tutto chiaro e sicuro, tutto o bianco o nero. Di qua il giusto, il bene, la verità; e di là l’errore, il male, la falsità. E così oltre a incatenare le persone, finiamo per voler dire a Dio cosa deve fare. E invece di essere noi a cercare di seguire Dio, di mettersi dalla sua parte, finiamo per proclamare che Dio è dalla nostra parte, che "Dio è con noi". E dimentichiamo che nella storia i delitti più efferati sono stati fatti proprio sotto la bandiera di “Dio è con noi”!
Se Dio non mi spiazza, non rovescia il mio modo di pensare, di agire, se non mi smentisce soprattutto su quello che penso di Lui, allora significa che non lo sto seguendo; che al posto del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, del Padre di Gesù, io ho messo un idolo costruito da me.
Sono certo di adorare il vero Dio quando sono più le volte in cui mi da torto di quelle in cui mi da ragione, sono più le volte in cui è in disaccordo di quelle in cui è d’accordo con me. Però nonostante tutta la mia incapacità, tutti i guai e le stupidaggini che combino, non smette di amarmi, non smette di incoraggiarmi, non smette di aver fiducia in me.
E mi fa la sorpresa più grande: invece di rinchiudersi in cielo, scende qui sulla terra, si fa uomo, si fa neonato, si fa mio fratello. Non c’è sorpresa più grande di un Dio che fa tutto questo, di un Dio che si lascia anche ammazzare da me.
Che il Natale che viene possa essere la riscoperta della sorpresa di Dio, che possa aprire il nostro cuore alla meraviglia. Quella meraviglia che ci porta ad incontrare Dio nelle piccole cose della vita, che ci porta a gioire perché anche oggi è sorto il sole, a gioire perché anche oggi una persona ci ha sorriso o è stata gentile con noi, a gioire perché anche oggi possiamo donare qualcosa agli altri. E allora dal nostro cuore sgorga un "Grazie Signore, grazie di tutto!"
08 dicembre 2013
2 dom. Avvento 2013 - Immacolata
Sempre in quell'intervista di cui parlavo la volta scorsa, papa Francesco dice: “Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell'andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Chiesa”.
Inconsciamente tutti noi associamo la santità a miracoli appariscenti, a visioni, apparizioni, a tutta una serie più o meno grande di ‘effetti speciali’. Ma così finiamo per dimenticarci che la vera santità è quella di Dio, un dio che si fa bambino, che si dona a noi nella quotidianità e nella piccolezza di un boccone di pane e di un sorso di vino, di un incontro, di un sorriso, di una carezza.
Ma soprattutto ci allontaniamo dalla nostra di santità: “siccome non riusciamo a fare miracoli non siamo santi”. È spesso questo il ragionamento, sbagliato, che facciamo.
La santità dei piccoli gesti quotidiani! Di tutti quei gesti che facciamo ogni giorno, che magari a volte ci pesano, che ormai spesse volte facciamo senza neanche pensarci su, in maniera automatica! Eppure quei gesti, quelle azioni così banali, possono essere occasioni di incontro con Gesù, sono la via della nostra santità.
Ma un’altra cosa difficilmente associamo alla santità: la pazienza. Viviamo in una società per cui la pazienza non è una virtù, ma una cosa superata, da perdenti. Vogliamo tutto e lo vogliamo subito. Dimentichiamo che l’uomo, la natura, l’universo hanno i propri tempi. Ma soprattutto Dio ha i suoi tempi. E dimentichiamo che nella Bibbia, a partire da Adamo ed Eva, la mancanza di pazienza ha portato sempre a peccare, ad uscire dalla relazione con Dio per affidarsi a un qualche idolo, come nell'episodio del vitello d’oro nel corso dell’Esodo (Es. 32,1).
Ma c’è una persona che non ha mai dimenticato tutto questo: Maria. La donna della pazienza che ha fatto crescere il proprio figlio Gesù nella quotidianità di Nazareth, pazientemente, giorno per giorno, affidandosi ai tempi di Dio e meditando tutto nel proprio cuore.
Inconsciamente tutti noi associamo la santità a miracoli appariscenti, a visioni, apparizioni, a tutta una serie più o meno grande di ‘effetti speciali’. Ma così finiamo per dimenticarci che la vera santità è quella di Dio, un dio che si fa bambino, che si dona a noi nella quotidianità e nella piccolezza di un boccone di pane e di un sorso di vino, di un incontro, di un sorriso, di una carezza.
Ma soprattutto ci allontaniamo dalla nostra di santità: “siccome non riusciamo a fare miracoli non siamo santi”. È spesso questo il ragionamento, sbagliato, che facciamo.
La santità dei piccoli gesti quotidiani! Di tutti quei gesti che facciamo ogni giorno, che magari a volte ci pesano, che ormai spesse volte facciamo senza neanche pensarci su, in maniera automatica! Eppure quei gesti, quelle azioni così banali, possono essere occasioni di incontro con Gesù, sono la via della nostra santità.
Ma un’altra cosa difficilmente associamo alla santità: la pazienza. Viviamo in una società per cui la pazienza non è una virtù, ma una cosa superata, da perdenti. Vogliamo tutto e lo vogliamo subito. Dimentichiamo che l’uomo, la natura, l’universo hanno i propri tempi. Ma soprattutto Dio ha i suoi tempi. E dimentichiamo che nella Bibbia, a partire da Adamo ed Eva, la mancanza di pazienza ha portato sempre a peccare, ad uscire dalla relazione con Dio per affidarsi a un qualche idolo, come nell'episodio del vitello d’oro nel corso dell’Esodo (Es. 32,1).
Ma c’è una persona che non ha mai dimenticato tutto questo: Maria. La donna della pazienza che ha fatto crescere il proprio figlio Gesù nella quotidianità di Nazareth, pazientemente, giorno per giorno, affidandosi ai tempi di Dio e meditando tutto nel proprio cuore.
01 dicembre 2013
Prima dom. Avvento 2013
In una recente e famosa intervista, papa Francesco dice di sé: “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato... Io sono uno che è guardato dal Signore”.
Lo sguardo di un altro su di sé è il primo segno che io per l’altro esisto, ci sono e sono degno di attenzione. Però c’è sguardo e sguardo. Si può guardare un’altra persona con freddezza, con rimprovero, con astio quando non con odio. Ma si può guardare con misericordia, con amore.
Ed è proprio questo sguardo, misericordioso e amorevole, che il Papa ha sentito su di sé. Ed è proprio con questo sguardo che Dio guarda ogni essere umano.
Essere guardati con amore! Cogliere negli occhi che ti guardano amore, solo amore, nient’altro che amore!
Sapersi guardati così, sentirsi guardati così, ti fa sentire capace di qualsiasi cosa, ti fa sentire la persona più importante del mondo, ti fa sentire così bene come non ti sei mai sentito in vita tua. I tuoi errori, i tuoi limiti, le tue mancanze non esistono più: esiste solo l’amore con cui sei amato. Perché la realtà è questa: sei amato e sei degno d’amore.
La coscienza di questo però non si deve esaurire in un sentirsi bene, ma deve essere pungolo a porci una domanda: “e io come guardo il mondo?”
Il mio sguardo sul mondo, sugli uomini, sulle persone che incontro ogni giorno, è uno sguardo di giudizio e di condanna? oppure è uno sguardo misericordioso, pieno d’amore e di accoglienza?
È qui che si misura la mia adesione a Cristo, il mio cercare di seguire Colui che non è “venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 47)
Lo sguardo di un altro su di sé è il primo segno che io per l’altro esisto, ci sono e sono degno di attenzione. Però c’è sguardo e sguardo. Si può guardare un’altra persona con freddezza, con rimprovero, con astio quando non con odio. Ma si può guardare con misericordia, con amore.
Ed è proprio questo sguardo, misericordioso e amorevole, che il Papa ha sentito su di sé. Ed è proprio con questo sguardo che Dio guarda ogni essere umano.
Essere guardati con amore! Cogliere negli occhi che ti guardano amore, solo amore, nient’altro che amore!
Sapersi guardati così, sentirsi guardati così, ti fa sentire capace di qualsiasi cosa, ti fa sentire la persona più importante del mondo, ti fa sentire così bene come non ti sei mai sentito in vita tua. I tuoi errori, i tuoi limiti, le tue mancanze non esistono più: esiste solo l’amore con cui sei amato. Perché la realtà è questa: sei amato e sei degno d’amore.
La coscienza di questo però non si deve esaurire in un sentirsi bene, ma deve essere pungolo a porci una domanda: “e io come guardo il mondo?”
Il mio sguardo sul mondo, sugli uomini, sulle persone che incontro ogni giorno, è uno sguardo di giudizio e di condanna? oppure è uno sguardo misericordioso, pieno d’amore e di accoglienza?
È qui che si misura la mia adesione a Cristo, il mio cercare di seguire Colui che non è “venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 47)
04 ottobre 2013
Devi vivere in un paese che non è il tuo
Sai cosa significa essere un' estranea?
Sai come ci si sente in una classe dove tutti sono biondi e tu invece hai i capelli neri?
Sai cosa vuol dire quando l'insegnante chiede “Chi non è nato qui, alzi la mano!” e tu sei l'unica a farlo?
E poi, quando l'hai alzata, vedi che gli altri ti guardano e ridono?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa quando l'insegnante ti tratta come se anche tu fossi stata lì per tutta la tua vita?
Quando parla così veloce che non riesci a capire niente e gli chiedi per favore di andare più piano?
E quando lo chiedi, gli altri ti dicono “Se non riesci a capire, è meglio per te se provi in una classe più bassa”.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa stare dall'altra parte?
Quando indossi gli abiti che portavi nel tuo paese e tu li trovi carini, mentre gli altri pensano che tu sia pazza?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Cosa significa essere una sfigata.
Cosa vuol dire quando qualcuno di da' noia, senza che tu gli abbia fatto niente?
Quando gli dici di smetterla e lui risponde che non ti ha fatto niente.
E poi, visto che non la smette, ti alzi e lo dici all'insegnante.
E lui nega.
E l'insegnante domanda al tuo vicino di banco.
E lui risponde “E' vero, non gli stava facendo niente”.
Così ti prendono per bugiarda anche i professori.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai com'è quando provi a parlare e non pronunci bene le parole?
Quando dicono di non capirti.
E ti ridono dietro, ma siccome non capisci, ti metti a ridere con loro.
E allora ti chiedono “Ma sei scema a prenderti per i fondelli da sola?”
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa camminare per strada e avere gli occhi di tutti puntati addosso, solo che non te ne accorgi?
E quando lo capisci provi a nasconderti, ma non sai dove perché gli altri sono dappertutto?
Devi vivere in un paese che non è il tuo per capirlo.
Poesia scritta nel 1984 da Noy Chou.
A quel tempo, Noy si era trasferita dalla Cambogia a Boston e frequentava il liceo.
Sai come ci si sente in una classe dove tutti sono biondi e tu invece hai i capelli neri?
Sai cosa vuol dire quando l'insegnante chiede “Chi non è nato qui, alzi la mano!” e tu sei l'unica a farlo?
E poi, quando l'hai alzata, vedi che gli altri ti guardano e ridono?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa quando l'insegnante ti tratta come se anche tu fossi stata lì per tutta la tua vita?
Quando parla così veloce che non riesci a capire niente e gli chiedi per favore di andare più piano?
E quando lo chiedi, gli altri ti dicono “Se non riesci a capire, è meglio per te se provi in una classe più bassa”.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa stare dall'altra parte?
Quando indossi gli abiti che portavi nel tuo paese e tu li trovi carini, mentre gli altri pensano che tu sia pazza?
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Cosa significa essere una sfigata.
Cosa vuol dire quando qualcuno di da' noia, senza che tu gli abbia fatto niente?
Quando gli dici di smetterla e lui risponde che non ti ha fatto niente.
E poi, visto che non la smette, ti alzi e lo dici all'insegnante.
E lui nega.
E l'insegnante domanda al tuo vicino di banco.
E lui risponde “E' vero, non gli stava facendo niente”.
Così ti prendono per bugiarda anche i professori.
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai com'è quando provi a parlare e non pronunci bene le parole?
Quando dicono di non capirti.
E ti ridono dietro, ma siccome non capisci, ti metti a ridere con loro.
E allora ti chiedono “Ma sei scema a prenderti per i fondelli da sola?”
Devi vivere in un paese che non è il tuo, per capirlo.
Sai cosa significa camminare per strada e avere gli occhi di tutti puntati addosso, solo che non te ne accorgi?
E quando lo capisci provi a nasconderti, ma non sai dove perché gli altri sono dappertutto?
Devi vivere in un paese che non è il tuo per capirlo.
Poesia scritta nel 1984 da Noy Chou.
A quel tempo, Noy si era trasferita dalla Cambogia a Boston e frequentava il liceo.
25 maggio 2013
Anticonformismo-Conformismo
Non c'è niente di più beceramente conformista dell'attuale anticonformismo
08 maggio 2013
Dalla teoria alla pratica - Terza parte: Alcune considereazioni
Un po' di numeri
Stando al tracciato studiato a tavolino avrei dovuto fare 13,8 km. Ma in realtà, tra deviazione forzata e errori miei alla fine ho camminato per 18,9 km. Rimanendo sulle statistiche, ho camminato per 4 ore e 22 minuti, ho fatto 337 metri in salita e 418 in discesa, l'altitudine massima era di 368 metri e l'ho raggiunto a 4,8 km dall'arrivo e l'altitudine minima era di 192 metri ed era l'arrivo.
L'interruzione era di 935 metri, mentre la mia deviazione è stata di 4,94 km. Quindi alla fine, facendo qualche calcolo, i miei errori di percorso mi hanno fatto camminare giusto un chilometro in più.
La chiusura del sentiero
Il Carso triestino è sempre stato pieno di sentieri che lo attraversavano in lungo e in largo. Ma negli ultimi anni sempre più zone vengono recintate e di conseguenza i sentieri che vi passavano vengono chiusi al transito. Questa è la conseguenza spiacevole della politica degli incentivi all'agricoltura: io, proprietario di un terreno, lo chiudo con fili elettrificato, ci metto dentro una mucca (quando va bene) e mi becco gli incentivi regionali ed europei. E dei sentieri che eventualmente lo attraversavano, visto che da un punto di vista legale non esistono servitù di passaggio, non mi interessa proprio niente. Mi sa che ci vorrebbe un padre Blampied, il parroco anglicano che nel romanzo "Prigioneri del passato" di James Hilton lotta contro la chiusura dei sentieri della campagna inglese.
Il guaio di queste chiusure è che non se ne sa niente prima. Le scopri solo quando ci vai a sbattere contro. E questo perché riguardano sentieri 'secondari'.
Lo stato dei sentieri
Una volta, quando i vari sentieri erano usati quotidianamente o quasi, questi venivano curati, il semplice passaggio li teneva puliti. Da quando sono usato solo da qualche escursionista, se non ci sono dei volontari che provvedono alla manutenzione, un po' alla volta vengono cancellati dalla vegetazione. Un paio di volte mi è capitato che dove le carte (ma anche le foto dei satelliti di qualche anno fa) indicavano la presenza di un sentiero, abbia trovato un bel prato costellato di arbusti e cespugli. Chiaro segno che da anni il sentiero non veniva usato da nessuno e nemmeno curato.
Le carte
Questo porta al discorso carte. È sempre meglio consultare varie carte. Anche le più aggiornate (come quelle di OpenStreetMap che vengono aggiornate settimanalmente) sono sempre 'indietro' rispetto alla realtà. Le foto satellitari tipo GoogleMap o BingoMap sono un valido aiuto e un'integrazione importante. Ma non bisogna dimenticare che anche queste non sono aggiornate (anzi, a volte sono proprio vecchie).
GPS
Può essere utile in caso si abbiano tracce di chi ha già fatto il cammino. Però a mio avviso toglie un po' di 'avventura', non si corre più il rischio di perdersi. E qualche volta perdersi è bello, fa scoprire cose che altrimenti non vedremmo né scopriremmo mai. A volte perdersi è molto istruttivo.
Io lo uso per studiare dopo il cammino fatto.
Chi volesse, trova qui il tracciato gps
Considerazione finale
C'è molta differenza tra fare un cammino, un pellegrinaggio o fare trekking, hiking o una camminata. Queste ultime hanno nell'atto il loro fine, si esauriscono nel mettere un piede davanti all'altro.
Fare un cammino, un pellegrinaggio invece immette nella storia, ti ci fa entrare. Se fai un cammino 'storico', documentato, hai la sensazione, la percezione di far parte di uno stuolo di persone che prima di te hanno calpestato il terreno che stai calpestando, hanno visto il panorama che vedi. Facendo un cammino senti che sei entrato a far parte di una famiglia.
Se invece fai qualcosa di 'nuovo' senti che stai facendo qualcosa per gli altri, e non importa quanti saranno. Fosse anche uno solo, che lo sappia o meno, sarà una parte di te e tu sarai una parte di lui.
26 aprile 2013
Dalla teoria alla pratica - Seconda parte: La pratica (prima tappa)
Giovedì 18/4 sono riuscito a ritagliarmi la mattina. E ho pensato di verificare sul campo. Primo bus della mattina fino a Opicina. Un caffè e una brioche (fatta mettere in un sacchetto per dopo) nel bar Vatta. E scopro con piacere che a quest'ora il tutto costa solo 1 euro!
Da qui, zaino in spalla e via, sentiero verso Monrupino in modo da andare a incrociare il mio tracciato e poi seguirlo.
Imbocco via degli alpini (e da ex alpino è sempre un piacere) e qui proprio nel primo giardino vedo uno splendido pirus in fiore. E poco più avanti un altro giardino pieno di tulipani. Quando la via si allontana dai binari della ferrovia si prosegue per il sentiero che li costeggia, e dopo aver attraversato la provinciale si continua sul sentiero verso la foiba 149, o 'Foiba di Opicina Campagna', monumento nazionale. Prima della foiba ci si inoltra nel bosco. Mi meraviglia sempre quando attraverso un bosco all'alba sentire quanti tipi di uccelli ci sono, è tutto un cinguettare con innumerevoli voci, infiniti toni. L'aria fresca, il canto degli uccelli, il sole che si intravede tra le fronde, ma soprattutto il fatto di essere in cammino mi fanno sentire leggero e felice. Mi viene in mente il Benedictus "verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge". Trovo che l'alba sia sempre un momento magico, poetico, al contrario del tramonto che è un momento spettacolare.
Intanto, passo dopo passo arrivo alla foiba. Subito dopo incrocio il sentiero che arriva da Monrupino, e qui devo svoltare a destra per prendere il largo cammino che corre parallelo all'autostrada. Ma dopo poche decine di metri trovo tutto sbarrato, cartelli di divieto di accesso e fili elettrificati. Vedo se è possibile aggirare il tutto ma la palizzata va dalla rete dell'autostrada a quella della ferrovia.
L'unica possibilità è andare verso Monrupino, subito dopo i due sottopassaggi sotto i binari, prendere il sentiero a destra per andare a Monrupino percorrerlo fino all'incrocio con quello che porta a Fernetti, e quindi andare verso questa località.
Ma nella rabbia, e col fatto che non mi porto dietro le carte, mi dimentico che è il secondo sentiero a destra quello che devo prendere, e imbocco il primo. Mi accorgo quasi subito dell'errore e visto che comunque il sentiero va nella direzione giusta faccio il secondo errore: non torno indietro. E difatti, quando ormai è troppo tardi per rimediare, il sentiero di colpo finisce nel nulla del bosco. Individuo nel sottobosco una pista degli animali che va circa verso dove vorrei andare e inizio a seguirla. Il bosco diventa sempre più pieno di arbusti (ma anche di violette in fiore). E anche la pista degli animali scompare. Per fortuna anche se le carte le lascio a casa, la bussola la porto sempre dietro. So che devo puntare a nord perché così incontrerò o il sentiero giusto o mal che vada la provinciale per Fernetti. Farsi strada del fitto sottobosco, facendo attenzione a dove si va (non vorrei cadere in una foiba o in un abisso) e evitare doline varie, è stata una faticaccia, ma alla fine sono arrivato al
sentiero. Questo mi ha portato all'autoporto e alla strada che dal confine di Fernetti porta verso Opicina.
Adesso mi aspetta un po' di asfalto e di traffico. Si deve seguire la strada fino a dopo il cavalcavia sulla ferrovia. Dopo la discesa si vede sulla destra uno slargo in cui arriva una strada in terra battuta e sulla sinistra un'interruzione del guard-rail in corrispondenza di un sottopassaggio che passa sotto l'autostrada. Si gira a sinistra e finalmente si lascia l'asfalto e si torna sulla terra battuta. Dall'interruzione a qui senza la deviazione avrei dovuto metterci 10 minuti, invece ci ho messo più di un'ora. Una chiusura di un tratto di circa 600 metri mi ha costretto a una deviazione di 6 km, di cui metà circa su asfalto con l'autostrada a pochi metri di distanza.
Ma per fortuna poco dopo aver imboccato la strada in terra battuta tutti i rumori scompaiono, rimangono solo i suoni della natura e il ticchettio dei miei bastoncini. Le varie zone di fango lasciate dalle numerose piogge di quest'anno sono piene di impronte: mountain-bike, scarpe, cani, ma anche cinghiali. E quest'ultime sono le più fresche. Mi colpiscono due: una grossa e a fianco quella del cucciolo. E dopo poco ecco tra il canto degli uccelli si sente proprio il grufolare dei cinghiali. Ma solo li sento, non riesco a vederli. E per fortuna, penso.
Il sentiero è uno spettacolo, pieno di fiori, anche dei peschi selvatici lo colorano di rosa. Dappertutto è pieno di violette. E intanto il sole si alza sempre di più, e quindi anche la temperatura. E siccome il camminare scalda rimango con solo la maglietta tecnica MC. Arrivo al paese di Trebiciano e seguo la strada più esterna (non si entra in paese). Proprio alla fine del paese scopro che c'è un 'laghetto' della cui esistenza non sapevo nulla. È molto piccolo e d'estate è quasi sicuramente asciutto. Il sentiero prosegue verso sud-sud-est fino ad arrivare a Padriciano. Subito prima di arrivare in paese mi imbatto in una macchia di primule in fiore. E tra le primule ci sono anche delle onnipresenti violette.
Qui bisogna attraversare il paese e visto che c'è l'unico bar fino a Bagnoli, mi fermo per un caffè e per riempire una delle cue bottiglie d'acqua che ormai ho svuotato. La sosta fa bene anche al fisico perché così ho modo di riposare un po' gambe e spalle. Lasciato il bar si prosegue lungo la provinciale 1 per circa 100 metri fino a che si vede di fronte una chiesetta. Prima di arrivare a questa chiesa si prende, a destra della provinciale, una stradina perpendicolare che all'inizio è asfaltata ma che quasi subito diventa in terra battuta. Iniziano ad esserci molti ciliegi in fiore, che fanno un bel accompagnamento ai cespugli gialli di forsizie. Si prosegue dritti per il largo sentiero fino a che si vede in lontananza sulla destra il complesso di edifici dell'Area di Ricerca. Qui bisogna girare di circa 120 gradi a sinistra, lasciando alla nostra destra tutta un'area in cui sono state piantati alberelli per il rimboschimento.
Nel terreno ci sono tante impronte. Non ci sono, e da un pezzo, quelle dei cinghiali. Ma oltre alle sempre presenti di biciclette, di scarpe e di cani, ce ne sono molte di cavalli. Ma ce n'è una che attira la mia attenzione, vecchia di un paio di giorni, ma molto chiara e nitida. Forma molto simile a quelle dei cani ma grossa il doppio e con delle unghie molto nette, molto lunghe e grosse. Quest'inverno in questa zona sono stati avvistati dei lupi e penso che questa sia un'impronta di lupo. A casa, controllando, ne avrò conferma. Evidentemente sono ancora da queste parti, o almeno ce n'è uno.
Da qui in avanti la strada è un piacevolissimo su e giù molto leggero, immersi in un bel prato verde che taglia il bosco. Tutto questo perché camminiamo sopra l'oleodotto che va verso la Germania È il posto ideale per una sosta. Prima o poi i dovrebbe iniziare a vedere il mare, e quando arrivo in cima ad un dosso mi aspetto sempre di vederlo. Ma ogni volta vedo solo il dosso successivo. Quando poi finalmente vedo il mare mi viene in mente l'Anabasi di Senofonte, con il grido dell'avanguardia greca "MareMareMare". Mi viene da ridere perché la mia situazione non è neanche minimamente paragonabile a quella dell'armata greca.
Arrivati al parcheggio sotto i campi di golf, si attraversa la strada asfaltata e si prosegue verso sud-est. Dopo aver attraversato il sentiero 1 del CAI si prosegue verso la statale 14 (strada per Basovizza). Quando si arriva a questa strada fare attenzione nell'attraversarla. Appena attraversata prendere subito il sentiero a sinistra. Dopo una cinquantina di metri il primo problema: il sentiero non si vede più, c'è solo un bel prato. Bisogna attraversarlo e dall'altra parte si troveranno altre tracce. Dopo una brevissima salita il sentiero ritorna perfettamente visibile. Inizia però anche una discesa piuttosto ripida che termina nella "Scala delle vacche", che ci porta fino alla provinciale 11 all'altezza dello svincolo per Cattinara e per l'autostrada.
Proprio dall'altra parte della strada, in corrispondenza di quello che sembra un 'cruzeiro' (ma che in realtà è una vecchia colonna che indicava il confine del comune di Trieste) continua il sentiero. Questo è quasi in piano per un centinaio di metri, ma dopo 'precipita' in una ripida discesa.
E qui il secondo problema: tutte le carte indicavano che dopo un po' sulla sinistra ci sarebbe stata una deviazione che risparmia un po' di strada. Ma si vede che non è molto frequentata perché ho fatto veramente fatica a vedere una cosa che con un po' di fantasia e molta speranza poteva sembrare un ricordo di un sentiero. Comunque sia l'ho imboccato. Ogni tanto si vedeva che una volta di qui passava gente, ma per la maggior parte era tutto da inventare al momento. Giunto alla fine ho capito perché non era più usato: l'ultima decina di metri era quasi verticale! La prossima volta conviene continuare per il sentiero principale, si allunga un po' ma si va più tranquilli.
Comunque si arriva ad una strada bianca, girando a sinistra si va verso la ciclabile Trieste-Draga Sant'Elia, che si raggiunge quando questa sbuca da una galleria. Si va per la ciclabile allontanandosi da Trieste. È un tratto piacevole, e il cammino, fino ad ora solitario, inizia a popolarsi, soprattutto di ciclisti, ma anche di runner.
E qui l'ultimo problema: le carte indicavano un sentiero che dalla vecchia stazione di Sant'Antonio-Moccò andava verso il paese di Sant'Antonio in Bosco. Questo sentiero non c'è più. Bisogna proseguire sulla ciclabile per un centinaio di metri e subito dopo un ponticello sulla destra c'è un'uscita. Arrivati sulla sottostante strada si svolta a destra fino ad arrivare nuovamente alla provinciale 11, dove si gira a sinistra.
Poco dopo si arriva alla fermata del bus di Sant'Antonio in Bosco. Qui il cammino prosegue proprio di fronte, ma io ero troppo stanco, soprattutto mentalmente, e dovevo essere a casa max per le 13, per cui mi sono seduto ad aspettare il bus.
Le considerazioni alla prossima.
E intanto qui un po' di foto
24 aprile 2013
Dalla teoria alla pratica - Prima parte: La teoria
Sono molto affezionato al santuario di Monrupino (qui e qui), tanto che vi sono andato a piedi da casa seguendo (e inventando) varie strade: la più lunga passava per Miramare per poi salire a Prosecco.
Da Roiano a Monrupino per Miramare |
Da Roiano a Monrupino per via Scala Santa |
Profilo altimetrico (il picco iniziale è la Scala Santa) |
(maggiori info qui e qui).
Ci sono andato in estate e in inverno, col bello e col brutto tempo.
E poi l'anno scorso alla radio ho sentito che a Strugnano (qui e qui), in Slovenia, venivano celebrati i 500 anni dell'apparizione della Madonna. Mi colpì subito un fatto: Monrupino è un santuario mariano sloveno in Italia, Strugnano è un santuario mariano italiano in Slovenia. Sono questi i frutti di tutti gli spostamenti dei confini che in meno di un secolo sono avvenuti in queste zone. Subito mi è venuto in mente: che bello sarebbe un pellegrinaggio che unisca questi due santuari, quale occasione per creare un ponte, o meglio un cammino di amicizia tra i due popoli!
Ho lasciato che questa idea covasse, quasi un seme messo nella terra che dovesse schiudersi. E intanto una notizia qua, una la, mantenevano accesa la brace. All'inizio pensavo che la parte più difficile sarebbe stato il percorso in Slovenia, mentre per il tratto italiano, visti i numerosi sentieri della zona, non ci sarebbero stati problemi.
Poi qualche mese fa ho scoperto l'esistenza della Parenzana, una pista ciclabile che dal confine italiano arriva fino a Parenzo in Istria e ricavata dalla vecchia ferrovia austro-ungarica. Una delle fermate di questa ferrovia era proprio Strugnano. Il più è fatto, ho pensato, anche perché giorni dopo ho parlato con un collega che l'aveva fatta in bici più volte e mi ha assicurato essere veramente ben fatta.
E così una sera ho tirato fuori la carta Tabacco e ho iniziato a buttar giù qualche percorso. Prima difficoltà: tra Monrupino e la meta c'è da attraversare una ferrovia e un'autostrada. Se si vuole rimanere su sentieri c'è, stando alle carte, un solo passaggio. Passando su asfalto un paio di più. Facendo un paio di misurazioni scopro che il passaggio su sentiero è anche il più corto!
Più avanti i problemi, stando alle carte, sono solo di imboccare le deviazioni giuste, ma riesco a disegnare un percorso che riesce a ridurre al minimo indispensabile l'asfalto, abbastanza piacevole e interessante paesaggisticamente parlando e con pochissime difficoltà, salvo un paio di discese un po' ripide.
In totale poco più di 50 km, circa 25 in territorio italiano e circa 27 in quello sloveno. In linea teorica si potrebbe fare in due giorni. Il problema è dove dormire a metà. All'arrivo i frati del convento che gestisce il santuario a volte fanno accoglienza e la mattina c'è una corriera che arriva a Trieste.
È stato un progetto che mi ha divertito fare e che alla fine mi ha lasciato soddisfatto. E che pensavo rimanesse a livello teorico, uno dei tanti progetti che riempiono i miei cassetti.
Il mio progetto: da Monrupino a Strugnano (il più possibile per sentieri) |
26 marzo 2013
Pasqua? Sembra più Natale!
Foto fatta ieri mattina alle 7
Video girato alle 13.30 dalla finestra dell'ufficio:
Foto fatte questa mattina:
24 marzo 2013
Domenica delle Palme
Abbiamo iniziato queste meditazioni quaresimali partendo dal Credo per arrivare, la volta scorsa, al sacramento della Riconciliazione. Questo ci riporta al Credo, a una delle affermazioni che recitandolo facciamo verso la fine: “credo la Chiesa”.
In uno dei centri di ascolto si commentava il passo in cui gli amici del paralitico, per portarlo davanti a Gesù non riescono a far nient’altro che un buco nel tetto e così calarlo nella casa. Una signora molto giustamente commentava che questi amici sono la Chiesa!
In effetti anche noi quando pensiamo alla Chiesa pensiamo soprattutto al Papa, ai vescovi e ai preti. Dimentichiamo che queste persone non sono tutta la Chiesa, ne sono solo una parte, e non la più numerosa. Ma è Chiesa tutta la schiera di cristiani che ci ha preceduto, sono Chiesa i nostri genitori e tutte quelle persone che ci hanno portato a Gesù, alla fede. Noi siamo Chiesa quando ci facciamo carico delle persone, quando ci carichiamo in spalla chi soffre, quando usiamo la nostra intelligenza e il nostro cuore per cercare almeno di donare sollievo a chi soffre.
Ma soprattutto noi siamo Chiesa quando tutta la nostra vita è segno, è freccia che indica la meta: Gesù. Mi colpisce che nel brano evangelico queste persone non dicono niente, solo agiscono. Ed è sulla base delle loro azioni, della loro vita, della loro fede proclamata nel concreto dei gesti (e non solo a parole) che Gesù guarisce nel corpo e nello spirito il paralitico.
Gesù, la Chiesa, gli uomini, non hanno bisogno delle nostre parole, ma hanno bisogno delle nostre azioni e della nostra vita.
22 marzo 2013
ancora piccoli segni
17 marzo 2013
Quinta domenica di Quaresima (Riconciliazione)
Domenica scorsa abbiamo visto come è il senso del peccato e non il senso di colpa che ci apre al rapporto con Dio e con gli altri. E questa apertura trae nuovo slancio e nuova forza dal sacramento della Riconciliazione, la Confessione come si diceva una volta.
La Confessione non è un evento penoso, doveroso, formale, ma ci aiuta ad appropriarci della nostra vita senza rinnegare niente; ci aiuta a inglobare i sentimenti tristi, che cerchiamo di emarginare, esprimendoli a Dio. Direi che la confessione è un vero cammino di liberazione, assolutamente necessario.
Dovremmo accostarci alla Riconciliazione partendo dall’esperienza del salmista, mettendo al primo posto la lode di Dio, l’affermazione della sua bontà e tenerezza, le meraviglie da lui compiute nella vostra vita. Allora il cuore si apre, facendoci confessare quello che siamo, dicendo a Dio i sentimenti di fondo – i nervosismi, le inquietudini, le amarezze e le inimicizie - che ci pesano e che sono la radice di tante mancanze.
A questo punto comincia la confessione di fede, cioè la nostra dichiarazione di fiducia in Dio, la richiesta di essere liberati, purificati da ciò che non vogliamo essere, di essere cambiati: “Crea in me, o Dio, un cuore nuovo, donami la gioia della tua salvezza, non privarmi del tuo santo spirito, perché non è la grandezza del mio pentimento, bensì il tuo amore, che trasforma la mia vita!”. È la preghiera che ci immette pacificamente nella misericordia di Cristo, quella misericordia che scende su di noi nel sacramento della penitenza.
13 marzo 2013
Primi segni di primavera
E adesso mancano solo:
- il sole
- il caldo
- le rondini!!!
(foto fatte questa mattina andando al lavoro)
- il sole
- il caldo
- le rondini!!!
(foto fatte questa mattina andando al lavoro)
10 marzo 2013
Quarta domenica di Quaresima (senso di colpa e senso del peccato)
L’altra volta abbiamo visto come la conversione e il pentimento siano un dono dello Spirito, un distogliere lo sguardo dal nostro io per posarlo su Dio.
È passare dal senso di colpa al senso del peccato.
Il senso di colpa è un ripiegarsi su sé stessi; è un guardarsi dentro; produce amarezza, rabbia, frustrazione; è legato alla paura perché nasce dalla consapevolezza di aver trasgredito ad una regola; non ci fa crescere, perché ci porta a fissarci solo su alcune trasgressioni e ci porta ad accorgersi solo di quello che ci fa “sentire” in colpa.
Il senso del peccato invece è un aprirsi al dialogo con Dio, al sentirsi amati dal Signore; è liberante perché ci fa vedere il male come qualcosa da cui la potenza di Dio può trarre il bene e quindi ci convince a “consegnare” il male fatto alla misericordia del Signore, che sa scrivere dritto anche sulle righe storte della nostra esistenza; è legato all’amore perché nasce dalla coscienza di aver interrotto il nostro rapporto con Dio, di averlo fatto soffrire; ci fa maturare perché ci fa crescere nel desiderio di amare il Signore e, prima ancora, di lasciarci amare da Lui, ci fa cercare ogni cosa che faccia aumentare la nostra amicizia con Lui, che faccia approfondire il nostro rapporto.
Il senso di colpa ci lega alla legge e, come i farisei, ci chiude all’incontro con gli altri e con Dio.
Il senso del peccato ci libera dalla paura e dagli scrupoli umani, ci apre al rapporto con gli altri ma soprattutto a quello con Dio e ci rende pienamente disponibili alla sua azione salvifica.
03 marzo 2013
Terza domenica di Quaresima
Abbiamo visto come noi non crediamo in un Dio qualunque, ma nel Dio rivelatoci da Gesù. E Gesù ci rivela un Dio che è prima di ogni altra cosa un Padre. Ma è un Padre che non è giudizio ma misericordia, non è privazione ma pienezza di vita, non è punizione ma comprensione e incoraggiamento, non è condanna ma festa perché “questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,11-32).
È un padre che non costringe ma libera, non pretende ma attende con infinita pazienza, non si offende ma corre incontro, non punisce ma abbraccia e bacia, restituisce la bellezza dell’abito nuovo, dona l’anello della signoria, fa festa. Non condanna ma salva, non rinfaccia ma attende, ascolta e accoglie.
La conversione non è tanto questione di volontà o un atto psicologico interiore che porta all'autocritica e al desiderio di cambiare. La conversione è soprattutto fare l’esperienza di chi sia veramente Dio; è smettere di pensare a “Dio” e iniziare a pensare al “Padre”. È iniziare a vivere questo Padre che abbraccia, che bacia e fa festa sempre per il figlio, per tutti i suoi figli, che è come una madre sempre disponibile perché completamente vulnerabile di fronte al figlio delle proprie viscere.
La conversione non deve partire né dal tormento per il proprio peccato né dall’essere smascherati nella propria pseudo-giutizia cioè dal proprio io, ma può essere solamente il frutto dello Spirito nell’esperienza donata dal Figlio Gesù dell’amore misericordioso del Padre. Conversione non è guardare il proprio peccato, ma avere occhi solo per l’amore di Dio.
25 febbraio 2013
Scoperte commoventi.
Progettare, ma anche solo sognare un viaggio a piedi è una cosa molto diversa dal farlo se il viaggio avverrà in modo 'normale'.
In quest'ultimo caso ci si preoccupa non tanto del viaggio in sé (se non per quanto riguarda eventuali orari di treni/aerei/traghetti) quanto di come arrivare all'albergo, di cosa vedere una volta arrivati a destinazione.
In un viaggio a piedi invece la maggior parte dello studio va al viaggio in sé. E questo anche perché un viaggio a piedi non è fatto tanto per andare in un posto (anche se questo ha la sua importanza) quanto per il gusto e il piacere del viaggio in sé stesso. Inoltre quando si va a piedi ogni chilometro viene sudato (e in media significa circa un quarto d'ora) e il tipo di strada è molto importante: lo sterrato è molto piacevole (sempre che non sia fango) mentre l'asfalto, specie se assolato, è un vero e proprio inferno. Quindi un buon studio preparatorio è una conditio-sine-qua-non per poter godere del viaggio.
Ed è uno studio che è già un viaggiare, è già divertimento, ma è anche scoperta e istruzione. Si inizia cercando diari e testimonianze di chi quel viaggio l'ha già fatto. Si studiano, prendendo nota di ogni indicazione, di ogni nome di paese o di punti caratteristici. Poi punti si riportano su di una mappa, e si cerca la strada migliore per collagarli. E migliore non sempre significa più breve. Se l'indicazione è un nome di un paese o di una città la cosa è semplice. Ma se è l'indicazione di un monumento, di un palazzo, la cosa diventa più complessa. Si tratta di fare ricerche in rete, sui libri, in ogni posto. E qui si possono fare scoperte che colpiscono.
Una di queste è relativa alla cittadina bretone di Morlaix, la cui più famosa 'attrattiva' è un maestoso viadotto ferroviario (costruito tra il 1861 e il 1863) che sovrasta tutta la città. In un diario ho letto che hanno incontrato degli amici presso la 'Cappella degli angeli' (il vero nome è "Cappella di Nostra Signora degli angeli"). Una ricerca in rete mi ha portato ad una scoperta molto commovente: gli angeli a cui è dedicata la cappella non sono i cherubini o i serafini, ma hanno tutti un nome e un cognome. Durante la guerra, il 29 gennaio 1943 alle 14,15 due bombardieri sganciarono 46 bombe per abbattere il viadotto. Solo tre di queste lo colpirono, facendogli lievi danni, ma 150 edifici furono distrutti e 74 persone persero la vita. Uno di questi edifici era l'asilo-scuola elementare. Tra i morti c'erano 19 bambini e la loro maestra. Sono loro gli angeli, e una targa li ricorda tutti.
Finita la guerra gli abitanti vollero costruire questa cappella proprio sul posto dove c'era la scuola e nel 1957 venne consacrata.
24 febbraio 2013
Seconda domenica di Quaresima (Dio Padre e Madre)
L’altra volta abbiamo visto che la nostra fede è solo nel Dio rivelatoci da Gesù.
Occorre ripartire proprio e solo da questo Dio. Non da un dio senza un nome e senza una vita, ma dal Padre di Gesù che dona il proprio Spirito per entrare in rapporto vivo con noi, con ciascuno di noi, e portarci alla salvezza. Questa è la buona e lieta notizia, questa è la fede da riscoprire, vivere e annunciare a tutti.
Ed è questa fede vissuta come relazione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito che realizza pienamente l’essere umano, gli conferisce un’identità forte e dona un senso chiaro alla sua vita.
Questa fede come relazione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito genera l’uomo nuovo che rende nuove tutte le cose, che si apre alla speranza sul futuro, che lo libera dall’angoscia. È questa fede che ci rende uomini di speranza e testimoni capaci di rendere ragione della speranza che è in noi.
Il salmo 131 dice che “io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”.
È solo questo rapporto d’amore con Dio che ci può donare questa serenità. È questa fede che ci fa riscoprire che Dio non è solo il Padre che ci prende per mano e ci guida per le strade della vita, ma è anche la madre che ci culla e ci abbraccia, che ci consola e ci accarezza, che ci bacia e accarezza.
È solo in questa relazione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito che scopriamo che Dio è il genitore, il padre e la madre, che sacrifica tutta la sua vita per noi e per la nostra felicità e la nostra gioia.
23 febbraio 2013
Leggenda/leggende
Etimologicamente parlando "leggenda" significa "che deve essere letto". Basti pensare alla leggenda di un'illustrazione: è ciò che ci permette di capire, di decifrare, di dare un senso e un significato all'illustrazione medesima.
E allora perché abbiamo questa fobia per le leggende? perché di fronte ad un fatto insolito ci domandiamo "ma è leggenda o relatà" dando alla prima parola una connotazione negativa?
Non sarà invece che le leggende ci aiutano a capire, a decifrare la nostra storia e noi stessi?
17 febbraio 2013
Prima domenica di Quaresima
Ogni domenica durante la Messa noi diciamo: “Credo in Dio”. E lo diciamo e pensiamo anche altre volte nel corso delle giornate.
Ma la sofferenza, e quella dei piccoli e degli innocenti in particolare, ci fa scandalo, e tante volte mette in crisi la nostra idea di Dio. Ma Dio non esiste in modo astratto. Se Dio rimane solo un nome (per quanto bellissimo), un’idea (per quanto sublime), un principio morale (per quanto elevato e nobile), allora rimane muto e impotente di fronte alla sofferenza e alla morte. Ma un dio così non ha niente da dire all'uomo, un dio così è realmente l’oppio dei popoli, è realmente una costruzione umana. Ma un Dio così non esiste. Dobbiamo avere la forza di ammetterlo a noi stessi per primi e il coraggio di proclamarlo al mondo: un Dio così non esiste.
È Gesù di Nazareth, vivo per sempre, che mi svela il vero volto di Dio, che mi fa conoscere chi è veramente Dio: Dio è il Padre, è suo Padre, è il Padre che lo ha generato come Figlio prediletto attraverso il dono di tutto il suo Spirito di amore e di vita.
Solo così esiste Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo; una relazione d’amore fra tre persone vive così forte e totalizzante che ne fa una sola identità, una sola volontà.
Gesù, lungo tutta la sua vita, ha chiamato Dio proprio così: Abbà. Cioè papà, il termine affettuoso, intimo, con cui un figlio di rivolge al proprio genitore. E Dio era il suo vero Papà, ed è per questo che era ed è il Papà vero di tutti, il Papà che ama il suo Figlio e attraverso Lui tutti i figli, donando loro il suo Spirito di amore e di vita.
11 febbraio 2013
Esempio (ovvero: coerenza, questa sconosciuta)
Coerenza, questa sconosciuta!
Tutti i politici italiani lodano e apprezzano la decisione di Benedetto 16° di dimettersi.
Perché però nessuno ne segue l'esempio?
Tutti i politici italiani lodano e apprezzano la decisione di Benedetto 16° di dimettersi.
Perché però nessuno ne segue l'esempio?
18 gennaio 2013
Senza parole ...
Di fronte a certe cose le parole sono superflue, bisogna solo alzarsi in piedi in segno di rispetto:
01 gennaio 2013
Pagina 69
A me piace, e anche tanto, leggere. Tempo fa ho sentito parlare della regola di pagina 69.
Questa regola dice: "se vuoi sapere se un libro che non conosci ti piacerà, leggi la pagina 69. Se ti piace allora ti piacerà anche il libro, se non ti piace non ti piacerà neanche il libro".
Devo ammettere che però quando sono in libreria me ne dimentico. Però ho verificato (a posteriori) sui libri a casa e devo dire che pare funzioni.
Ve la passo e sappiatemi dire.
Buon Anno a tutti
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