La carità è la scala verso il paradiso. Ma non è una scala lunga o impervia. È una scala piccola, con solo 3 gradini, ma per arrivare in cima bisogna farli tutti. E questi sono:
1 - Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te;
2 - Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te;
3 - Fai all’altro ciò che di cui lui ha realmente bisogno.
Il primo gradino, cioè non fare il male, non far soffrire, non è un livello trascurabile, però non basta. Dire “io non faccio del male a nessuno” non basta per farci ritenere a posto. Può addirittura essere un atteggiamento egoistico, volto a semplice tutela della nostra tranquillità, a giustificare la nostra indifferenza. Non si deve confondere l’amore con l’amore del quieto vivere.
Il secondo gradino rappresenta la novità evangelica. Siamo decisamente ad un livello superiore. Difatti qui si tratta di fare del bene, non solo di evitare di fare il male. Però c’è il rischio di rifilare all’altro il nostro bene, cioè quello che noi abbiamo in testa, quello che decidiamo noi, e che non è detto che sia il suo bene. C’è il pericolo di trapiantare nell'altro i nostri desideri e le nostre esigenze.
Bisogna arrivare al terzo gradino. E questo richiede attenzione, delicatezza, rispetto. Occorre scoprire ciò che l’altro cerca realmente da me, in questo momento, in questa situazione particolare, evitando di appioppargli il prodotto che abbiamo stabilito noi, che abbiamo scelto in partenza. Bisogna “ascoltare” veramente l’altro (anche quando non riesce a parlare, anche in quello che non riesce a esprimere), e non interpretare a modo nostro le sue richieste. Bisogna ascoltarlo fino al fondo del suo cuore, anche nella sua voce silenziosa, facendo tacere tutte le altre voci (le voci chiassose dei nostri impegni improrogabili, della comodità, degli interessi, delle nostre risposte stereotipate e preconfezionata, della preoccupazione di non aver fastidi e di non cercare guai...)
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