27 dicembre 2014

Polpettone di tonno

Una tradizione della cena della vigilia di Natale nella famiglia di mia moglie era il 'polpettone di tonno'. E da quando siamo sposati è diventata anche una nostra tradizione.

Ecco la ricetta per 4 persone:

3 scatole di tonno da 120 gr.
3 uova
abbondante grana (o parmigiano reggiano) grattugiato
noce moscata.

Sgocciolare le tre scatolette di tonno e mettere il contenuto in una terrina. Unirvi 2 uova intere e 1 tuorlo. Con una forchetta iniziare ad amalgamare il tutto, aggiungendo il formaggio grattugiato in quantità tale da ottenere un impasto sodo ma morbido. Un spolveratina di noce moscata da un gusto più marcato, ma se non piace di può anche farne a meno.

Quando l'impasto è pronto, prendere della carta da forno e mettervi sopra l'impasto e dopo avergli dato la forma di un polpettone, avvolgerlo nella carta. Chiudere le estremità con dello spago da cucina in modo da fare una specie di caramella. Immergere il tutto in acqua bollente e lasciarlo a cuocere per 20 minuti dalla ripresa del bollore.

Scaduto il tempo estrarre la 'caramella' dall'acqua, togliere la carta e lasciare raffreddare. Quando il polpettone è a temperatura ambiente tagliarlo a fatte di circa un dito (se si sbriciola significa che l'impasto era troppo morbido, la prossima volta mettere più grana o 1 uovo+2 tuorli). Guarnire con un po' di maionese e, se piacciono, capperi o olive.

Da mangiare a temperatura ambiente.

Non ho potuto fare foto perché intanto che sono andato a prendere la macchina fotografica, l'hanno mangiato tutto.

24 dicembre 2014

Buon Natale!!!!!

Nel 2004 gli ascoltatori della BBC l'hanno votata come più bella canzone di Natale.

La dedico a tutte quelle persone per cui il Natale non è uno svolazzare di angioletti paffuti e un ridere di pastori appena usciti dalla lavatrice, ma immersione nel mistero pasquale di Cristo, cioè Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione. A tutte quelle persone, e sono sempre di più, che in questi giorni sentono aumentare la loro sofferenza

Che colui che è nato nella "casa del pane" (Betlemme) e che subito si è fatto pane spezzato per noi (lo hanno deposto in una mangiatoia, cioè dove si mette il cibo, avvolto in fasce, come lo deporranno avvolto in fasce in un sepolcro) raccolga le vostre preziose lacrime, vi abbracci e vi doni la sua pace.

Buon Natale



20 dicembre 2014

Quarta domenica Avvento 2014

Nell'Incarnazione, in Gesù, l'umano e il divino si riuniscono. Dio si dona all'uomo, si fa uomo per ricostruire l'uomo, per farlo tornare a quella grandezza, a quella gloria che il Creatore vuole per lui. E c'è un solo modo per ricostruire un essere umano: il perdono.

Con l'Incarnazione Dio ci dice:
"Accetta il mio perdono. È il mio regalo per te. 
Ti perdono tutto. 
Ti perdono tutte le volte che nei tuoi fratelli hai visto dei nemici, tutte le volte che li hai sfruttati, umiliati, schiacciati per il tuo interesse. 
Ti perdono tutte le cose che anche tu fai fatica a perdonarti, tutte le cose che neanche tu ti perdoni. 
Ti perdono tutte le volte che mi hai usato per il tuo egoismo, tutte le volte che hai usato il mio nome per uccidere, tutte le volte che ti sei fatto scudo di me per andare contro gli altri uomini. 
Ti perdono tutte le volte che hai rovinato, deturpato, distrutto quel gioiello che è la Terra e che ti avevo affidato perché tu la rendessi ancora più bella. 
Ti perdono tutto, ma proprio tutto. 
Accogli il mio perdono, per piacere.
E dopo cerca anche tu di perdonare. 
Perdona i tuoi fratelli, perdona gli altri esseri umani, sono deboli e impauriti come te. 
Perdona te stesso. Perdonati di non riuscire ad essere dappertutto, perdonati di non riuscire a fare tutto, perdonati di non riuscire a prevedere tutto, perdonati di fare scelte che poi si rivelano sbagliate. Perdonati, te ne prego!  
E alla fine perdona anche me. Perdonami per tutte le volte che ti sei sentito abbandonato da me, perdonami per tutte le volte ti sei sentito condannato da me, perdonami per tutte le volte che non ti sei sentito amato da me."

Dopo l'Incarnazione, in quel bambino deposto in una mangiatoia, noi possiamo stringere la mano a Dio, dirci a vicenda "Mi dispiace". Possiamo parlarGli liberamente, senza né acrimonia né timore, senza tremore. 
Siamo amici! 
E come i veri amici, ci siamo perdonati a vicenda. Come veri amici andiamo a festeggiare insieme, a gioire insieme.


Buon Natale!

14 dicembre 2014

Non tutti i Crocifissi sono uguali

Crocifisso di Furelos (Galizia)
A noi cristiani viene spesso rivolto l'invito a "guardare al crocifisso", di trarre da quel Dio inchiodato la forza, la spinta a vivere fino in fondo il difficile compito di essere cristiani, di essere uomini.
E anche nella vita dei santi c'è, quasi una costante, il sostare davanti al Crocifisso come momento importante, vitale. Un caso noto è il Crocifisso che ha parlato a san Francesco. 

Ma c'è crocifisso e crocifisso, i crocifissi non sono tutti uguali e quello che piace a una persona, ad un'altra non dice niente. 
Ho visto molti crocifissi, alcuni inguardabili, altri belli, alcuni mi hanno attirato, pochi mi hanno veramente scaldato il cuore, ma solo uno mi ha "parlato" e spesso mi "parla".

A Furelos, un paesino una cinquantina di km prima di Santiago, lungo il cammino francese c'è un Crocifisso molto particolare. Lo potete vedere nella foto. Alcuni lo chiamano il 'crocifisso del pellegrino' perché, essendo solo a 2-3 giorni di cammino da Santiago, quella mano protesa in basso sembra voglia detergere il sudore dalla fronte del pellegrino.

Quando ho visto la prima volta anch'io ho pensato lo stesso. Ma poi man mano che lo guardavo sentivo che c'era altro, molto altro.
A volte quel gesto, quel braccio mi diceva "tu che ti lamenti tanto, vieni un po' qui con me". Altre volte invece diceva "visto che non ce la fai più, passami un po' la tua croce, che tanto la mia è un po' più leggera". O ancora "lascia che ti accarezzi, non aver paura". Oppure "dammi il 5". E anche "qualche volta di meriteresti proprio un ceffone!"
Ogni volta che guardo quel Crocifisso sento dentro me qualcosa. Non è sempre ciò che vorrei sentire. Ma è sempre ciò di cui ho bisogno.

P.S.: Una leggenda spagnola racconta che un penitente andava sempre a confessare lo stesso peccato dallo stesso sacerdote. Il sacerdote, alla fine, gli dava l'assoluzione, raccomandandogli però di emendarsi. All'ennesima confessione, si spazientì e non volle più dargli l'assoluzione. Si sentì allora una voce proveniente dal Crocifisso posto dietro il confessionale "Non sei mica morto tu in Croce per lui..." e Cristo abbassò il braccio dalla Croce per dare lui stesso l'assoluzione al penitente.
Non so, né sono riuscito a scoprire, se questa leggenda sia collegata o meno con quel Crocifisso. E nel caso lo fosse, se il Crocifisso nasce dalla leggenda o se la leggenda nasce dal Crocifisso. Comunque sia, questa non toglie niente a quanto detto sopra. Anzi. Aggiunge anche il fatto che la verità di Dio è il perdono. Dio è sé stesso solo nel perdono. E anche se tutto il mondo ci condanna, Lui non vuole far altro che perdonarci.

13 dicembre 2014

Terza domenica Avvento 2014

Avvento, cioè l’attesa dell'Emmanuel, del "Dio con noi".

Sinceramente questa frase, Dio con noi, mi fa un po’ di paura. Quanti orrendi delitti, quante stragi sono state commesse con questa frase sulle labbra e sulle bandiere. Era il motto delle SS che hanno sterminato milioni di ebrei, di zingari, di malati. Penso che quando noi diciamo "Dio con noi" dovremmo sempre mettere alla fine di questa frase un punto interrogativo (Dio con noi?). Perché non dobbiamo preoccuparci se Dio è con noi, ma se noi siamo con Dio!

Ma a volte penso che neanche quando ce lo dice Dio stesso siamo sempre d'accordo. Perché un Dio con noi ci fa comodo quando abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano. Però un Dio con noi è un Dio sempre presente. E a volte Dio, se presente, potrebbe ricordarci che con certe operazioni Lui non è per niente d'accordo (anche se noi millantiamo di farle in suo nome), potrebbe farci notare che non è molto d'accordo sul fatto che noi si abbia il problema di mangiare troppo quando ci sono milioni di nostri fratelli che muoiono di fame, potrebbe farci notare che una società in cui le differenze tra chi sta bene e chi sta male invece di diminuire aumentano non ha nulla di cristiano, potrebbe farci notare che far finta di non vedere non è proprio l'atteggiamento del buon samaritano (e neanche del semplice cristiano).

Dio è con noi per consolarci, per gioire e soffrire con noi. Ma se abbiamo bisogno di una sgridata Lui c'è sempre. E allora in questo Avvento prepariamoci ad accoglierlo col cuore, ma anche con le orecchie ben spalancate.

06 dicembre 2014

Seconda domenica Avvento 2014

La parola 'Avvento' richiama un'altra parola: avventura. Gli adulti, quando sentono parlare di "avventura", la prima cosa a cui pensano è a una trasgressione sessuale. Per i bambini invece "avventura" è sinonimo di una cosa inusuale, inaspettata, di un avvenimento singolare e straordinario. E l'Avvento è un'avventura nel secondo significato, è letteralmente il Nuovo che ti viene incontro e che ti sconvolge per sempre.

Perché quando Dio viene nella tua vita e tu l'accogli, è l'inizio di un'avventura che cambia tutta la tua vita. Dopo niente è più lo stesso.
Puoi ritrovarti come Zaccheo, che da truffatore (perché tali erano anche allora gli esattori delle tasse) diventa benefattore, una persona che continua a non rispettare la legge, ma perché fa più di quanto la legge richiede.
Oppure come il ladrone, che da una vita di furti e rapine si trova ad essere il primo santo, e l'unico canonizzato da Gesù stesso.
Ma il più delle volte te la cambia come a Marta, Maria e il loro fratello Lazzaro, come tutte le innumerevoli persone che in questi 2000 anni hanno continuato la loro vita apparentemente, esteriormente, sempre nella stessa maniera. Ma quello che era cambiato era il loro cuore, che adesso aperto all'amore verso tutti, e il loro sguardo, che adesso vedeva tutti.


E quando arriverai verso il termine della tua presenza su questa terra, quando ti accorgerai che realmente anche a te sarà capitato quanto annunciato a Pietro, cioè che un altro ti aveva portato dove tu non saresti mai arrivato, dove tu non avresti mai voluto andare, allora ti renderai conto che non vorresti essere da nessun'altra parte, e per l'ultima volta protenderai le tue braccia verso di Lui e lo abbraccerai dicendo “Grazie Signore, mi hai dato più di quanto sperassi, più di quanto meritassi

03 dicembre 2014

Salvarsi l'anima? No grazie, sono cristiano!

Una volta molto spesso, ora per fortuna meno, si sentiva in chiesa e ambienti limitrofi una frase che proprio non sopporto. Nella sua forma più generale è "salvarsi l'anima". In solo due parole tutta una visione che non ha niente di cristiano per due motivi.

"salvarsi". Il verbo riflessivo indica che io sono sia il soggetto che l'oggetto dell'azione. In questo caso io sono sia il salvato che il salvatore. E questo per un cristiano è un'eresia: c'è un unico Salvatore, Gesù Cristo.
Questa è l'interpretazione limite. Ma c'è l'interpretazione comune. Cioè la salvezza dipende dal mio comportamento, dalle mie azioni, dal mio rispettare le regole. Ma in tutto questo cosa c'entra Dio? a cosa serve l'Incarnazione-Passione-Morte e Risurrezione di Gesù se la mia salvezza dipende unicamente dal mio comportamento? E poi se io, in un qualche modo in base alle mie azioni, posso pensare di 'meritare' la salvezza, non finisco per instaurare con Dio un rapporto di tipo commerciale, un rapporto di dare-avere?
In questo concetto, salvarsi, c'è la completa negazione di un rapporto Padre-figlio, di un rapporto basato solo sull'amore. Siamo come il figlio maggiore della parabola del Padre misericordioso (figlio prodigo) che, badiamo bene, non viene detto che partecipa al banchetto, come gli operai della prima ora che se la prendono col Padrone.
La salvezza ci è offerta gratuitamente, ci è donata. Non dobbiamo fare il bene per meritarla. Ma facciamo il bene perché abbiamo accettato il dono.
In tante persone cosiddette pie si ha proprio la forte impressione che se non fosse per la faccenda dell'inferno si comporterebbero in tutt'altra maniera. Non si rendono conto che la gioia è qui e adesso e non solo in un domani, dopo la morte. La gioia vera non è nel non fare il male per paura dell'inferno, la vera gioia è nel fare il bene per il bene e non per il paradiso. Amare, ma amare veramente, è il nostro anticipo di paradiso, è vivere il Regno di Dio che è già presente oggi.
La salvezza non è una meta da conquistare, ma un dono da accettare adesso e iniziare ad assaporare adesso. Non occorre aspettare di essere morti.

"l'anima". La visione dualistica corpo-anima non è biblica, deriva dal platonismo greco. Per gli ebrei l'uomo è costituito dall'intima unione di corpo, anima e spirito (s. Paolo: "tutto ciò che è vostro, corpo, anima e spirito"). E io sono l'intima e unica unione di queste tre entità, non sono solo la mia anima. E sono tutto 'io' che vengo salvato, non solo la mia anima. E difatti nel Credo che recitiamo ad ogni messa domenicale diciamo di credere alla risurrezione della carne (non alla salvezza dell'anima). Noi crediamo in un Dio incarnato, un Dio fattosi uomo e risorto col suo corpo.
Nel cristianesimo non c'è la dualità, tipicamente greca, corpo-anima come entità contrapposte. C'è l'armoniosa crescita e sviluppo dell'uomo, cioè della triade corpo-anima-spirito. Volere la salvezza della sola anima è sminuire il grande dono dell'Incarnazione, e non volere la propria salvezza.

29 novembre 2014

Prima domenica Avvento 2014

Oggi inizia il tempo di Avvento.
Avvento viene  da "Ad-ventus", che letteralmente vuol dire "qualcosa che ti viene incontro, che sta venendo verso di te". La Vita, Dio, ci vuole fare un regalo, ci sta mandando qualcosa, ci invia un dono. Lo accoglieremo?

Un giorno un amico mi dice: "Passo da te domani pomeriggio verso le 5". "Sì, ok, d'accordo", gli ho detto. Solo che il giorno dopo sono andato da un'altra parte. Lui è venuto, ma io non c'ero. Non ci siamo incontrati!
Natale è questo: Lui viene. Io ci sarò? Io lo accoglierò?
Per noi l'Avvento è qualcosa di indolore (e per questo anche di insapore), di tranquillo, da vivere al calduccio con le nostre pantofole, sul divano, con un po' di vinello e una buona fetta di panettone. Sì buono, piacevole, ma non è l'avvento del Vangelo.
Oppure è una frenetica corsa alla caccia di regali. Tutto molto 'pieno', ma non è l'avvento del Vangelo.

Il Vangelo di oggi inizia dicendo: "State attenti... vegliate... vigilate". Tre verbi che dicono la stessa cosa.
"State attenti" cioè vedere, guardare: non avere gli occhi chiusi.
"Vegliate" cioè  avere l'atteggiamento del cacciatore che nella notte nel buio attende al varco la preda o del ladro che entra nella note nelle case.
"Vigilate" cioè siate svegli, desti. Siate dei risorti!

Il fatto è che a noi non piace essere svegliati. È così: se svegli uno che sta dormendo, lui non ne sarà contento. Perché quando ti svegli scopri che la realtà non è quella che pensavi, o quella che ti eri faticosamente costruito o nascosto.
Il maestro di Gandhi un giorno gli disse: "Non essere felice di aiutare gli altri perché te la faranno pagare. Chi dorme, l'ultima cosa che vuole è essere svegliato. E quando lo farai se la prenderà proprio con te". La gente non vuole verità o essere svegliata; la gente vuole dormire.

03 settembre 2014

Tarkovskij e la terra

Una scena del film
Il regista Tarkovskij, nel suo film “Andrej Rublëv”racconta la storia di un ragazzo orfano di padre, che era fonditore di campane, che riesce da solo a fonderne una senza che il padre gli abbia mai insegnato come fare. Il padre gli aveva solo comunicato la passione, e il figlio, avendo visto che per fare una campana bisognava colare il metallo fuso nella forma scavata nella terra, segue l'intuizione che sarà la terra stessa a rivelargli il mistero stesso di come fondere la campana.

C'è una sapienza che ha penetrato tutto il creato, come dice sant'Atanasio. Tutto il creato porta in sé, nascosto, il codice del Logos nel quale e per mezzo del quale è stato creato (cfr. Col 1,16). Questo codice dice che nel creato è incisa la direzione, l'orientamento, verso cui il creato vive il suo vero senso e significato.

La terra ricorda, e ti dona il suo ricordo. Sarà per questo che camminare su cammini antichi ti fa sentire una parte della Storia? ti da la sensazione che il tuo andare rimarrà anche quando tu sarai passato?

Sarà anche per questo, al di là di ogni altra considerazione e alla base di ogni preferenza, che chi va a piedi preferisce camminare sulla nuda terra?

Camminare nella natura, per quanto addomesticata come la nostra in Europa, ti aiuta a cogliere meglio e più in profondità il tuo mistero, il tuo senso nel cosmo e nella storia. 

13 aprile 2014

domenica delle Palme

Si sente spesso lamentarsi che non c’è più il senso del sacro, neanche nella chiesa, che ciò che riguarda Dio viene banalizzato, reso terra-terra, che non c’è più trascendenza dicono quelli che vogliono far vedere che hanno studiato.

Ma cosa vuol dire “sacro”? Stando al vocabolario ‘sacro’ è ciò che è connesso, collegato, riservato alla divinità, e quindi per estensione ciò che è separato dall’uso normale, quotidiano.

Il senso del sacro giustamente vissuto ci ricorda che Dio è l’Altro per eccellenza, che non possiamo e non dobbiamo rinchiuderlo nei nostri schemi, che ‘le sue idee non sono le nostre idee’. Ci dice che se Dio ci da sempre ragione, se non ci sorprende mai, se ogni tanto non ribalta le nostre idee su di Lui, forse non stiamo più seguendo Dio ma qualcos’altro.

E il ribaltamento più grande lo ha portato Gesù: non è più l’uomo che deve salire fino a Dio, ma è Dio che scende a cercare l’uomo. Lui è vero Dio, e anche vero uomo. E come tale ha dovuto anche Lui imparare a camminare pagando lo scotto di cadute e sbucciature di ginocchia e mani, anche Lui ha dovuto imparare ad usare il vasino. E alla fine della sua vita ha scelto il suo trono: una croce. L’abito regale lo ha voluto fatto dal suo sangue e dai nostri sputi. Per valletti ha scelto due ladroni. Con Gesù, per trovare Dio non dobbiamo salire, ma scendere, non dobbiamo guardare allo sfarzo, alla potenza, ma all'umiltà, alla debolezza.

Gesù, e soprattutto Gesù risorto, spiazzano la nostra ricerca di Dio. La mattina di Pasqua è tutto un correre, corrono le donne, corrono Pietro e Giovanni, corrono le guardie. Ma Gesù non c’è, non è li dove tutti lo cercano, dove tutti vorrebbero che fosse. E gli angeli lo fanno notare: “Non è qui”. Lui stesso ci ha detto che quello che faremo al più piccolo lo faremo a Lui e ci ha promesso che sarà sempre con noi. Per questo se lo vogliamo trovare dobbiamo piegare la schiena per aiutare chi soffre, dobbiamo piegare le ginocchia per rialzare chi non ce la fa più. Ma soprattutto non dobbiamo farci venire il torcicollo a furia di guardare in alto. Che non capiti anche a noi, come agli Apostoli, di sentirci rimproverare dagli angeli: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?

06 aprile 2014

quinta domenica di Quaresima

C’è, in questi giorni, una pubblicità in cui un’attrice famosa entra in un locale e vede che tutti sono legati con dei fili di argento e brillanti, quando si accorge che anche lei ha questi fili, li rompe e se ne va. Il messaggio è chiaro: siamo tutti dei burattini, degli schiavi, ma se usi il prodotto reclamizzato potrai rendertene conto e liberarti.

A parte il fatto che sostituire una dipendenza con un’altra non è mai liberante, che nessun oggetto è mai liberante, però questo spot è in fondo molto reale: tutti noi abbiamo dei ‘fili di brillanti’, dei fili d’oro preferisco chiamarli, che ci legano, ci frenano. Alcuni sono molto subdoli: sembra che ci aiutino, ci liberino, ci salvino, ma in realtà ci rendono schiavi. La bibbia li chiama ‘idoli’.

Una canzone degli anni 60 diceva che ‘il denaro ed il potere sono trappole mortali’ e in effetti questi sono i due idoli più forti e più comuni, ma non sono i soli. Ogni volta che un oggetto, un’idea, diventano assoluti, che prendono la totalità dei nostri pensieri e desideri, allora stanno diventando idoli.

La libertà non è facile. Richiede attenzione, vigilanza. Più su sé stessi che sugli altri. Cadere nell’idolatria e nella schiavitù è la cosa più facile di tutte.

Lo sa molto bene il Signore. Difatti il primo dono che fa a Israele dopo averlo liberato è il Decalogo. Dio ci ha creato liberi e ci vuole liberi. È per questo che fa di tutto, anche farsi mettere in croce, per liberarci. Ma sa anche molto bene che siamo deboli, che alla minima difficoltà iniziamo, come gli ebrei nel deserto,  a rimpiangere le cipolle d’Egitto e a detestare la libertà. E allora ci dona questi cartelli indicatori che ci avvertono quando stiamo per cedere la nostra libertà per un piatto di cipolle: i 10 comandamenti! Questi ci dicono che ogni volta che iniziamo a pensare che la nostra felicità sta in un oggetto, iniziamo ad esserne schiavi; ogni volta che iniziamo a odiare una persona, l’odio ci fa suoi schiavi; ogni volta che vogliamo usare una persona noi la violentiamo, e diventiamo schiavi del nostro desiderio, e così via.

Il decalogo non è una catena che vuole limitare i nostri movimenti e la nostra libertà. Tutt’altro. È il GPS che Dio ci dona per indicarci la strada per la libertà e quindi verso di Lui.

30 marzo 2014

quarta domenica di Quaresima

Nei Fioretti leggiamo: un giorno Francesco dice al suo compagno: “Vieni, fratello, andiamo a predicare”. Risponde il fraticello: “Ma, Padre, come posso predicare io che sono tanto ignorante?”.
“Non ci pensare - sussurra Francesco - andiamo, andiamo a predicare”.
Vanno girando per la città e pregano insieme camminando, salutano tutti in pace ed umiltà, aiutano insieme i bisognosi.
Dice infine Francesco al compagno: “Vieni, fratello, torniamo al convento”. “Ma, Padre mio, la nostra predica?”.
Sorridendo gli replica Francesco:
“Ma è già finita, fratello mio. La più bella predica è l’esempio: noi oggi l’abbiamo fatta così”
.

E, come ci ha ricordato papa Francesco nel corso della sua visita ad Assisi, il santo esortava i suoi frati dicendo: “dobbiamo predicare sempre e senza sosta il Vangelo. Se serve anche con le parole”.

Gesù ci ricorda che non è su ciò che diciamo che verremo giudicati, ma su cosa abbiamo fatto (Mt 7,21). E negli Atti leggiamo che molte persone si convertivano ‘vedendo come si amavano’ i cristiani. 

Viviamo in una società che non capisce più le nostre parole, che non sa che farsene dei nostri innumerevoli documenti. La gente trova maestri, spesso anche più attraenti, dappertutto. Ne ha talmente tanti che non ci bada neanche più. 

Le persone non hanno bisogno di maestri, ma hanno una fame straziante di testimoni. Non sanno cosa farsene di uno che gli dice che devono amare, ma hanno un disperato bisogno di due braccia protese ad abbracciare, di due labbra che si aprono non per parlare, ma per sorridere. Hanno l’esigenza di vedere, di toccare con mano che un altro modo di vivere è possibile.

Soprattutto cercano persone che prima fanno  e poi, a volte, dicono, persone che più che con le parole, gli parlino con la loro vita, persone che non gli indichino solamente la strada, ma che le accompagnino, che siano coinvolte nei loro problemi, nelle loro paure ma anche nelle loro gioie in modo anche da festeggiare insieme.

Il cristiano più che bocca parlante (spesso a sproposito) è chiamato ad essere cuore palpitante d’amore.

23 marzo 2014

terza domenica di Quaresima

Di circa il 90% della vita di Gesù non sappiamo assolutamente niente: è il mistero della vita nascosta. Noi ci dimentichiamo molto facilmente di quei 30 anni, ma sono egualmente salvifici degli ultimi 3 anni; ai fini della nostra salvezza hanno la stessa importanza e la stessa efficacia degli ultimi giorni. Gli ultimi 3 giorni, gli ultimi 3 anni, la vita pubblica di Gesù, ci sono proprio perché prima ci sono stati 30 anni di vita nascosta.

L’unica cosa che sappiamo è che in questi anni Gesù era sottomesso ai suoi genitori e “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52). Una vita normale, come tutti gli esseri umani, senza apparente grandezza, vita di lavoro manuale, vita religiosa, vita nella comunità.

E qui abbiamo una prima indicazione: la nostra via alla santità, alla salvezza, non la dobbiamo percorrere nonostante la famiglia, nonostante il lavoro, nonostante le centinaia di impegni quotidiani, ma attraverso, per mezzo: famiglia, lavoro, impegni non sono un impedimento, un freno alla nostra salvezza, anzi. Sono proprio gli strumenti, i mezzi che Dio ci dona per la nostra salvezza! Non è con i gesti clamorosi, eroici, che diventiamo santi, ma con i piccoli gesti di ogni giorno fatti per amore e per il Signore.

E così ricaviamo la seconda indicazione: non è mettendoci in mostra, mettendoci sempre in prima fila, che facciamo la volontà di Dio. Facciamo la volontà di Dio quando siamo ciò che siamo, quando siamo semplicemente moglie, marito, figlio, padre, madre, lavoratore e così via. Semplicemente ma fino in fondo, seriamente. La vita nascosta di Gesù è la celebrazione divina del lavoro quotidiano.

Ma la lezione forse più difficile in questa società, è che la vita nascosta ci insegna il silenzio. Dobbiamo riscoprire, dobbiamo imparare a stimare il silenzio. Senza il silenzio le nostre parole sono un semplice usare le corde vocali. Le parole più vere e più efficaci nascono solo dal silenzio. Solo il silenzio ci apre alla Parola che ci pone nel cuore le parole.

16 marzo 2014

seconda domenica di Quaresima

La carità è la scala verso il paradiso. Ma non è una scala lunga o impervia. È una scala piccola, con solo 3 gradini, ma per arrivare in cima bisogna farli tutti. E questi sono:
1 - Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te;
2 - Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te;
3 - Fai all’altro ciò che di cui lui ha realmente bisogno.

Il primo gradino, cioè non fare il male, non far soffrire, non è un livello trascurabile, però non basta. Dire “io non faccio del male a nessuno” non basta per farci ritenere a posto. Può addirittura essere un atteggiamento egoistico, volto a semplice tutela della nostra tranquillità, a giustificare la nostra indifferenza. Non si deve confondere l’amore con l’amore del quieto vivere.

Il secondo gradino rappresenta la novità evangelica. Siamo decisamente ad un livello superiore. Difatti qui si tratta di fare del bene, non solo di evitare di fare il male. Però c’è il rischio di rifilare all’altro il nostro bene, cioè quello che noi abbiamo in testa, quello che decidiamo noi, e che non è detto che sia il suo bene. C’è il pericolo di trapiantare nell'altro i nostri desideri e le nostre esigenze.

Bisogna arrivare al terzo gradino. E questo richiede attenzione, delicatezza, rispetto. Occorre scoprire ciò che l’altro cerca realmente da me, in questo momento, in questa situazione particolare, evitando di appioppargli il prodotto che abbiamo stabilito noi, che abbiamo scelto in partenza. Bisogna “ascoltare” veramente l’altro (anche quando non riesce a parlare, anche in quello che non riesce a esprimere), e non interpretare a modo nostro le sue richieste. Bisogna ascoltarlo fino al fondo del suo cuore, anche nella sua voce silenziosa, facendo tacere tutte le altre voci (le voci chiassose dei nostri impegni improrogabili, della comodità, degli interessi, delle nostre risposte stereotipate e preconfezionata, della preoccupazione di non aver fastidi e di non cercare guai...)

09 marzo 2014

prima domenica di Quaresima

Una leggenda spagnola racconta che un penitente andava sempre a confessare lo stesso peccato dallo stesso sacerdote. Il sacerdote, alla fine, gli dava l’assoluzione, raccomandandogli però di emendarsi. All’ennesima confessione, si spazientì e non volle più dargli l’assoluzione. Si sentì allora una voce proveniente dal Crocifisso posto dietro il confessionale “Non sei mica morto tu in Croce per lui...” e Cristo abbassò il braccio dalla Croce per dare lui stesso l’assoluzione al penitente.

In genere dire “leggenda” equivale a dire “cosa non vera, cosa inventata”. E stando al vocabolario questo è proprio uno dei significati di questa parola. Ma c’è un altro significato: spiegazione, ausilio alla lettura (pensiamo alla leggenda alle figure, cioè la spiegazione di un’immagine o di un disegno).
Ed è con questo significato che vorrei usare questa leggenda.

La prima cosa che mi sembra ci illustri questa leggenda è che Dio non si stanca mai di perdonare. Anzi, per Lui è sempre il momento buono per perdonare. Basta solo che glieLo chiediamo. In fondo si è fatto uomo, ha vissuto in mezzo a noi, si è fatto mettere in croce solo per questo: perdonarci. Possiamo dire che ci perdona perché così ci può donare le gioia vera: perdona per donare.

E la seconda che ci racconta è che non importa se gli altri, se la società ci condannano. Non importa neanche se il nostro cuore ci condanna, perché Dio è più grande del nostro cuore (1Gv 3,20). Lui non chiede altro che di perdonarci. Come col figliol prodigo, non chiede neanche il nostro pentimento, non gli interessa se andiamo da Lui per calcolo, interesse o abitudine: gli basta che decidiamo di tornare da Lui. Non dimentichiamo mai che il contrario del peccato non è la virtù, ma la grazia di Dio.