23 ottobre 2025

Sentire la necessità di Dio - 26/10/2025 - XXX Domenica tempo ordinario

 
Il fariseo e il pubblicano
Julius Schnorr von Carolsfeld

 
Il brano del Vangelo di oggi viene immediatamente dopo quello di domenica scorsa, e se prima Gesù parlava della necessità di una preghiera fiduciosa e insistente, adesso ci dice qual è l'atteggiamento da tenere nella preghiera. E lo fa con una storia 'esemplare' che si svolge nella cornice sacra del tempio, cioè nella casa di Dio, e usa la tecnica del contrasto tra i due personaggi.
 
Da una parte, in prima fila, abbiamo il fariseo, la persona pia per antonomasia, il fedele con la 'F' maiuscola. Difatti prega nella posizione giusta secondo le norme giudaiche: in piedi, a testa alta, le braccia sollevate al cielo. Anche il suo inizio è perfetto, difatti attacca con la preghiera più bella, quella di ringraziamento e di lode.
Ma subito dopo tutto il teatrino che ha messo in piedi crolla miseramente. Anche se i suoi occhi sono rivolti al cielo, il suo sguardo è concentrato solo su sé stesso.
La sua è una preghiera atea, perché il fariseo è talmente pieno di sé che nel suo animo non c'è il minimo spazio per Dio. Come fa notare Rinaldo Fabris "Dio è la copertura di un io ricco che strumentalizza il rapporto religioso per la propria esaltazione. L'uomo che si nasconde dietro questa preghiera non aspetta nulla da Dio, non ha nulla da chiedere, egli fa solo mostra di sé, dei suoi diritti, del suo credito davanti a Dio".
Il fariseo si è messo davanti ad uno specchio e ha chiamato 'dio' l'immagine che ha visto. Difatti in tutto il suo discorso ha usato sempre e soltanto la prima persona singolare. Per lui non c'è altra persona che non sia egli stesso.
 
E dall'altra parte, in fondo al tempio, c'è il pubblicano. Per i devoti è il peccatore per definizione, fa un mestiere infamante, è sinonimo di ladro, truffatore, collaborazionista con l'occupante romano.
Lui se ne sta in disparte. Non alza gli occhi al cielo, non alza le mani verso l'alto. Invece le usa per battersi il petto.
Ma il suo discorso è tutto alla seconda persona singolare. Anche se ha gli occhi bassi, il suo sguardo è rivolto al 'tu' di Dio. Lui si aspetta tutto dal Signore, riconosce di essere peccatore, di non avere neanche scusanti. Ma sa anche che per non esserlo più ha necessità dalla misericordia di Dio. Non ha niente da offrire, e quindi si aspetta tutto da Dio. Non critica gli altri per sentirsi, almeno un po', meno peccatore. Lui conta unicamente sulla grazia del Signore.
 
La differenza tra i due è che il fariseo si serve di Dio per essere ammirato. Il pubblicano ha necessità di Dio per ripartire, per ricominciare.
Il pubblicano è tornato a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo (Dio non si merita, neanche con l'umiltà), ma perché si apre ad un Dio più grande del suo peccato. Si apre alla misericordia («anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» cfr. 1Gv 3,20), a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.
 
 

 
Letture:
Siracide 35,15-17.20-22
Salmo 33
2Timoteo 4,6-8.16-18
Luca 18,9-14
 
 
 

 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore".
Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
 
 

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