24 dicembre 2008

È Natale!!!

Sarà perché è il primo Natale senza uno dei figli (è in Marocco), sarà perché oggi ho finalmente sentito la mia nipote preferita (anche perché è l'unica, gli altri sono maschi, ma soprattutto perché è stata la prima e l'ho fatta saltare tante volte sulle ginocchia...) che è in ospedale da più di un mese e il Natale non potrà vedere i figli perché immunodepressa. Sarà per questo o per altro, ma oggi mi è tornato in mente il Natale del 1959, l'unico della mia infanzia che ricordo molto vivamente.
Avevo cinque anni, e quaranta giorni prima mi ero rotto una caviglia. Siccome ero scarnificato fino all'osso non era stato possibile ingessare e così dovetti stare tutto quel tempo a letto immobile. Il primo giorno che avrei potuto finalmente alzarmi era proprio il giorno di Natale. Lo aspettavo con un'ansia che non avevo mai provato: i regali di Natale e potersi alzare, camminare, correre, saltare, non essere più obbligato a letto!!!
Quella mattina però quando arrivò il momento di alzarsi per andare a scartare i regali... non riuscivo a stare in piedi. Ricordo ancora il pianto disperato, non mi fregava niente dei regali. Ricordo che uno dei doni era un fortino per giocare con i cowboy e gli indiani. Al pomeriggio, dopo che mi ero un po' calmato, giravo per casa a quattro zampe trascinandolo. Solo alla sera, con molta fatica riuscivo a tirarmi in piedi sorreggendomi al muro, ma con le gambe che tremavano e che dopo pochi secondi si piegavano.
Nonostante tutte le mie paure dopo pochi giorni correvo e saltavo quasi come prima.

Ma bando alla tristezza. Tra poco uscirò per andare alla Veglia e alla Messa di mezzanotte. Vedrò i parrocchiani, persone che nel corso degli anni mi sono state vicine nelle gioie e nei dolori. Persone che mi danno forza e sostegno. Persone che mi sono care come e forse più di parenti.
Rideremo, ci faremo gli auguri e festeggeremo il Natale prima con la Messa e poi con una bicchierata in piazza con spumante e vin-brulè per combattere il freddo. Ma l'amore scalda più di ogni altra cosa.

A tutti auguro un Natale pieno di affetti e di amore, quello vero.

Pace e benedizione

22 dicembre 2008

C'era una volta Natale

Orologi e catenine
Cellulari e telecamere dalle vetrine
Occasioni di vacanze che non hanno fine
E la vittima sei tu..

E regali obbligatori
Sulle macchine pulite parcheggiate fuori
Ma non rimettiamo niente ai debitori
Non si torna indietro più..

Frasi fatte e bigliettini
Una favola elettronica per i bambini
Il presepe grande più di quello dei vicini
Con i fari su Gesù..

Tanta roba da mangiare
E riempirsi fino a stare pigramente male
E vedere la famiglia festeggiare
Senza mai guardare su..

C’era una volta un giorno, il giorno di Natale
C’è stato un tempo in cui vivevano il Natale
Ci hanno lasciato soli, tra milioni di altri cuori soli
Tra milioni di regali e di colori di Natale

Ora con i messaggini
Lungo il vuoto di parole che non han confine
Qualche frase che hanno detto le televisioni perché le ripeta tu
Qualche gesto solidale fa tacere la coscienza quando gira male
Per non rovinare questo festeggiare, ma che non si ripeta più..

C’era una volta un giorno, il giorno di Natale
C’è stato un tempo in cui capivano il Natale
Ci hanno lasciato soli tra milioni di altri cuori soli
Tra milioni di regali e di colori di Natale

C’era una volta un giorno, il giorno di Natale
C’è stato un tempo in cui sentivano il Natale
Ci hanno lasciato soli tra milioni di altri cuori soli
Tra milioni di regali e di colori di Natale
Tra milioni di regali e di colori di Natale
Tra milioni di regali e di colori di Natale

(testo di Enrico Ruggeri - dall'album "Il Regalo di Natale (2007))

21 dicembre 2008

Quarta domenica di Avvento - Il presepe 4


Nel corso di questi anni nel nostro presepe ormai abbiamo messo tutte le statuine necessarie: le pecore, i pastori, il bue, l’asino, Maria e Giu­seppe, e infine il Bambino. A questo punto mi pare che manchino solo i Magi.
Belle figure queste. Vengono, portano dei doni, e poi se ne tornano a casa (ma non sono belle per questo).
Innanzi tutto mi pare che siano proprio loro ad iniziare l’abitudine di scambiarsi regali per Natale. Il fatto che sia narrata nel vangelo ci dice che è una bella abitudine. Siamo noi che, in questi anni di consumismo sfrenato, l’abbiamo portata a degenerare. Abbiamo ridotto tutto ad un fatto di denaro. Sappiamo il prezzo delle cose, ma non riusciamo a sapere quanto valgono.
E ci lasciamo talmente prendere da questa ansia di “dover fare” i regali, che dimentichiamo che il regalo più grande è quello che ci viene fatto. Anche se, come i Magi, riuscissimo a regalare “oro, incenso e mirra”, doni degni di un re, i nostri doni sarebbero ben miseri di fronte al dono che ci viene dato: Dio che si fa uomo, Dio stesso si fa dono per noi.
Forse almeno per una volta, davanti al presepe, davanti a Dio, dovremmo presentarci non con le mani piene, ma vuote, disposte solo all’accoglienza.
Ma anche il ritorno è indicativo. Matteo ci dice che “un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. E questo è molto indicativo. Quando si incontra il Signore, si cambia strada. L’incontro con Dio ti cambia dentro. E quando sei cambiato dentro non hai più voglia di percorrere le solite strade, compiere le solite azioni.
Ma ci dice anche un’altra cosa. La conversione è un ritorno a casa. Alla vera casa, quella che il Signore ha preparato per noi.

Pace e benedizione

15 dicembre 2008

Terza domenica di Avvento - Il presepe 3


Dopo i pastori e Maria, un’altra statuina immancabile è quella di s. Giuseppe. Immancabile anche se la mettiamo sempre in un angolino della grotta, un po’ in fondo e un po’ in disparte, dove avanza un posticino. Ma non penso che questo gli dispiaccia. In fondo tutta la sua vita è stata all’insegna del nascondimento. La sua azione è poco appariscente, e anche la sua paternità è all’insegna della discrezione e del riserbo.

Di fronte all’annuncio dell’angelo, che non fornisce spiegazioni esaurienti, lui ubbidisce, accetta una realtà misteriosa (e anche tormentosa) nella propria vita, non rifiuta il mistero. Noi vorremmo sempre tutto chiaro, avere una soluzione convincente a qualsiasi problema, una risposta sempre chiara a ogni dubbio. Ragioniamo, discutiamo, chiariamo, e solo poi facciamo (ma tante volte ci accontentiamo di dire). Proprio l’opposto di Giuseppe. Lui prima fa e poi, eventualmente capisce. Noi invece volgiamo prima capire e poi eventualmente fare.

Anche il suo mestiere, falegname dice la tradizione, in realtà a quel tempo era un po’ il tuttofare della comunità, colui che aggiustava, riparava, sistemava ogni cosa, mobili, utensili, case. Anche noi dovremmo imparare l’arte di Giuseppe. Dopo gli incidenti, gli scontri, le liti, quando qualcosa dentro si rompe o si blocca nel nostro rapporto con gli altri, dovremmo avere la pazienza e la delicatezza di riparare i guasti, tentare di rimediare agli inconvenienti, cercare di ricucire, rimettere insieme. Soprattutto dovremo resistere alla tentazione di fare come si usa oggi con le cose che non funzionano bene: buttare via. Dovremmo resistere alla tentazione di gettare le persone, scartarle, ignorarle, dichiarare che non c’è più niente da fare.

Ma soprattutto nel mettere nel presepe la statuina di Giuseppe dovremmo pregarlo perché aggiusti tutto ciò che non funziona. Non nel presepe, ma nella nostra vita di credenti, nella nostra vita di uomini.

07 dicembre 2008

Seconda domenica di Avvento - Il presepe 2

Domani è l’Immacolata, e allora oggi nel presepe metteremo la statuina di Maria. Il Vangelo della Natività non riporta neanche una parola della Madonna. E neanche di Giuseppe. Loro due nel presepe custodiscono il silenzio. Avvolgono il Bambino nel silenzio, ed è questo il loro modo di custodirlo.
L’evangelista Luca è quello che ci parla di più di Maria. E usa spesso questa frase: “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Noi viviamo in un tempo in cui l’ultima notizia cancella tutto ciò che è accaduto solo pochi minuti prima. Abbiamo la memoria corta, l’ultima emozione cancella ogni altro sentimento. E in questo modo tutto ci scivola addosso, niente ci rimane, ma soprattutto finiamo per non capire più niente, per essere sballottati qua e la come una foglia secca nella corrente di un fiume tumultuoso.
Invece occorre custodire, avvolgere nel silenzio il mistero. Bisogna leggere gli avvenimenti alla luce della fede. Aprirsi progressivamente (e tante volte anche faticosamente, tra molte incertezze e tanti dubbi) alla rivelazione e alla comprensione. I “valori” vanno prima di tutto custoditi nel profondo dell’anima, riscaldati da un cuore. Senza una fase di raccoglimento, di meditazione, di interiorità non ci può essere racconto, annuncio. In fondo sia il “riferire” dei pastori che il “serbare in cuore” de Maria fanno parte di una stessa esigenza missionaria. Si tratta di essere attivi nella contemplazione e contemplativi nell’azione. Contempl-attivi, secondo una formula di alcuni anni fa.
Ma c’è un’altra cosa. Maria che offre il Bambino all’adorazione dei pastori è una patena. La Vergine ha letteralmente “messo al mondo” il proprio Figlio. Perché lo ha donato al mondo, agli uomini, ai legittimi destinatari. Maria nel presepe è ostensorio e patena. Compie una specie di liturgia eucaristica, ci dice, senza bisogno di parlare: “Questo è il mio Figlio che è per voi ...”.
A Betlemme, ossia nella “casa del pane” (perché questo è il significato di Betlemme), Maria offre il proprio Figlio per la fame degli uomini.

01 dicembre 2008

Mosè e il faraone


La storia di Mosè viene raccontata nei primi libri della Bibbia (Esodo, Deuteronomio, Numeri). Poi praticamente il suo nome scompare, viene scritto solo una volta nel Siracide, che però per gli ebrei non è un libro canonico, scritto in epoca prossima al cristianesimo. In effetti solo col cristianesimo si torna a nominarlo, basti pensare che nel N.T. è citato ben 80 volte. Questo fatto però non toglie che la sua figura sia fondamentale nell’ebraismo. Non viene nominato direttamente perché lui si identifica col suo popolo, con la Legge, il Pentateuco, che la tradizione vuole scritta direttamente da lui.

È un uomo che è passato da un’esperienza ad un’altra nella sua vita. Ha vissuto avvenimenti grandi, dolorosi e veramente sconvolgenti. È passato, e ha fatto passare il suo popolo, da un’esistenza ad un’altra. È l’uomo che è legato con tutta la sua vita all’iniziativa del passaggio di Dio.
Tutta la sua vita è stata all’insegna del viaggio. Da appena nato ha affrontato il viaggio sul Nilo, poi il viaggio verso il deserto per sfuggire al faraone, poi il viaggio nel deserto come pastore di suo suocero. Ha poi affrontato il viaggio di ritorno in Egitto per concludere col grandioso e penoso viaggio con tutto il suo popolo dall’Egitto alla Terra Promessa.
Ma nella sua vita ha avuto una serie di viaggi ben più importanti: quelli interiori. Nato ebreo, cresciuto nell’elite culturale e politica egiziana (che in quell’epoca era il massimo) fino a giungerne ai vertici più alti, abbandona tutto per il suo popolo nel vano tentativo di farsene l’eroe e il capo puramente politico. Scacciato da questi si rifugia nel deserto dove sceglie la solitudine e il nascondimento. Qui avviene l’incontro con Dio (il Roveto Ardente). E infine il ritorno dal suo popolo come intermediario tra questo e Dio.
Molto bello, e da meditare, il riassunto della sua vita fatto da Stefano in At 7,20-43, in cui, rifacendosi ad una tradizione precedente, divide la vita di Mosè in tre tappe di quarant’anni (40 in Egitto, 40 in Madian e 40 a servizio di Israele).

Il faraone e Mosè.

Ho scelto questo brano perché penso che del roveto ardente o del passaggio del Mar Rosso ne abbiate già sentito parlare molto. Inoltre non mi soffermo ad analizzare le varie piaghe, in quanto materia molto vasta e controversa. L’incontro tra i due viene descritto nei cap. dal 5 all’11 dell’Esodo.
Dal testo il faraone ci appare come un uomo intelligente, abile, perspicace, in fondo una persona attraente: ascolta, discute, entra in dialogo con Mosè e Aronne. Inoltre non solo sa trattare, ma cerca di capire, di venire incontro, di capire la situazione degli altri, sa anche riconoscere i propri torti.
Però è anche un uomo condizionato dalla sua posizione, dai suoi privilegi, dal suo essere faraone, e questo in fondo è il suo dramma. Lui sarebbe anche disposto a lasciar partire gli ebrei, ma non può perché andrebbe contro troppi interessi. Alla fine ritira il suo ‘sostegno’ altrimenti crollerebbe l’intero sistema egiziano. In fondo è prigioniero del dovere, della sua carica.
Nella figura del faraone si riassumono tutte quelle forme che ci condizionano e ci risucchiano, senza la quali agiremo in altro modo. Sono condizionamenti che non avvertiamo. Viviamo tranquilli , ma poi capitano certe occasioni in cui questi condizionamenti ci fanno dire e fare cose che non avremmo pensato. Si tratta di vere chiusure, il più delle volte inconsce per noi, ma spesso chiaramente visibili da parte degli altri.
A questi poi si aggiungono i condizionamenti di gruppo che ci fanno giudicare in base a pregiudizi comuni, in base a opinioni comunemente accettate. Arriva il momento in cui ci troviamo a dire: “Oltre non si può andare, siamo arrivati al limite”. Ma qual’è questo limite invalicabile? Quello del privilegio, del benessere, oppure quello che seguace di Cristo crocifisso?
Non dimentichiamo che però questi condizionamenti non li vediamo. Sono solo le occasioni che ce li dimostrano, facendo apparire quelle zone d’ombra che non siamo capaci (o non vogliamo) prendere in considerazione.

Mosè invece è lo slancio della libertà, della volontà di capire le cose, di decidere. È il suo desiderio, di fronte al roveto ardente, di vedere, di capire. Rappresenta il desiderio di andare a fondo nelle cose, di rimetterle in discussione. Il nostro anelito alla libertà può sembrare una piccola cosa, ma è un anelito pericoloso, perché mette in moto tante cose. Ed è un dono che nella Scrittura viene chiamato “pneuma”, che significa spirito, cioè la capacità di mettersi di fronte alle cose e domandarsi: “Perché agisco così, perché reagisco così?”
A questo dono si aggiunge quello del Pneuma, lo Spirito di Dio che incessantemente fa di tutto per liberarci
e per ispirare il nostro desiderio di autenticità, il nostro desiderio di liberarci da tutti i condizionamenti. È lo Spirito che ci pone di fronte alle cose con animo non rigido ma libero.
Mosè, toccato da questo Spirito, non agisce più come la prima volta con la violenza (quando uccise l’egiziano), ma con coraggio va più volte dal faraone, anche se questo è sempre più adirato. Mosè crede nella forza della parola, anche se avverte che il faraone è sempre più ostinato. E ci crede perché sa che non è la sua di parola, ma quella di Dio. È Dio che opera mediante la sua parola, e per questo continua a dirgli: “Va da faraone e digli ...”. Dio agisce con la parola e la persuasione, anche quando le circostanze sembrano totalmente contrarie.
Ma oltre alle parole, fin dall’inizio abbiamo da parte di Mosè anche dei segni. All’inizio sono segni ingenui, semplici che vengono proposti appunto come segni, ma che il faraone, proprio perché non vuole rinunciare al suo essere faraone, cerca di riprodurre al fine soprattutto di tranquillizzarsi. Ma Dio attraverso Mosè parla con segni sempre più duri e molesti, sempre più veri e propri castighi.
Ma qual’è il castigo fondamentale, quello a cui tutti gli altri si riducono? È l’incapacità di amare, l’incapacità di realizzare effettivamente l’amore di Dio, soprattutto quello verso il prossimo. Perché l’amore verso Dio può essere facile; difficile è quello verso gli altri, che consiste nel rispondere alle vere esigenze, alle vere situazioni di disagio dell’altro, anche quando l’altro non merita il mio aiuto, anzi lo demerita. E dobbiamo aggiungere che c’è anche un castigo finale. Difatti alla fine il faraone si chiude, rimane faraone perché vuole così, vuole conservare i suoi privilegi, senza rinunciare a niente, senza mettere niente in discussione, e così viene travolto dal mare dei Giunchi. Di fronte a Dio può venire il momento in cui restiamo induriti nella nostra incapacità, nella nostra volontà di non amare. Dopo tanti rifiuti restiamo irretiti in questa incapacità che diventa definitiva. È un castigo che parte prima di tutto da noi stessi che ci siamo chiusi alle parole e ai segni che il Signore permetteva nella sua misericordia. Quindi l’indurimento del faraone rappresenta tutti i nostri indurimenti.

Ma il nostro indurimento può verificarsi in due maniere.
- Per ostinazione, che è la forma più tipica, che non è solo quello ad esempio dell’ateo che non vuol credere, o del vizioso che non vuole tirarsi fuori, ma anche quello di chi si crede detentore della verità, che identifica con la propria storia. In questo modo siamo portati ad identificare la nostra storia, anche quella personale, con quello che può essere vero.
- Ma c’è anche l’indurimento per debolezza, che sperimentiamo quando ci accorgiamo che ci sono dei limiti alla nostra capacità di amare, quando sperimentiamo la nostra impotenza pratica a liberarci da noi stessi e ad amare davvero. Allora anche noi abbiamo paura di perdere, e non vogliamo perdere (come il faraone) e vogliamo quindi venire a patti, scendere a compromessi. Il Signore ci fa conoscere i limiti della nostra esistenza ‘faraonica’ e permette che sbattiamo la testa, proprio perché così invochiamo la sua salvezza e riconosciamo l’incredibile sovrabbondanza della sua misericordia.

Pace e benedizione

28 novembre 2008

Prima domenica di Avvento - Il presepe 1


Un presepe senza pastori non è un presepe. In effetti proprio loro sono stati i primi invitati, i primi destinatari della “buona notizia”, portata a loro direttamente dagli angeli. Però nella realtà loro non erano come quelle statuine belle pulite che usiamo noi per i nostri presepi. Anzi!

Nella società ebraica di quei tempi erano considerati, al pari di soldati, marinai, prostitute, usurai, esattori delle imposte, dei pubblici peccatori. A motivo della loro vita errabonda non potevano studiare e quindi osservare la Legge. E quindi erano gente senza legge.

E invece proprio loro, che a causa del loro mestiere, non potevano testimoniare in tribunale, sono chiamati a diffondere la notizia della nascita di Dio in terra, sono chiamati ad esserne i primi testimoni.

Decisamente i modi di Dio non sono i nostri modi. Quando noi dobbiamo diffondere una notizia indiciamo una conferenza, a cui ci preoccupiamo di invitare le persone più importanti, cerchiamo di metterci sotto le luci più forti. Dio invece viene di notte, e chiama solo gli ultimi, i reietti, gli esclusi.

I pastori nel presepe ci dicono che le preferenze di Dio non sono le nostre, che la sua lista degli invitati boccia sonoramente la nostra. Lui gradisce la presenza, ma soprattutto la vicinanza, della gente da niente, degli individui che non contano, di quelli che non hanno le carte in regola perché le carte non le hanno (e in effetti sono i primi sans-papier).

Ci dicono che c’è sempre qualcuno, che noi magari disprezziamo, che è più vicino al Bambino di quanto noi pretendiamo di essere; e questo perché lui è arrivato prima di noi, ha capito meglio le esigenze del Vangelo, e fa la verità, mentre noi ci accontentiamo di conoscerla.

Ma soprattutto ci ricordano il dovere di accogliere i diversi, gli esclusi, gli immigrati, gli extracomunitari.

Quando mettiamo i pastori nel presepe occorre farlo con uno stile penitenziale, domandando perdono per tutti i nostri razzismi, per tutte quelle volte che abbiamo detto, o anche solo pensato, che gli zingari ... i romeni ... i cinesi ... gli arabi ... e via dicendo. Dobbiamo chiedere perdono per tutte quelle volte che abbiamo diviso gli uomini in due: da una parte “noi” i buoni, i giusti, i sani, e dall’altra gli altri, cioè i cattivi, gli sbagliati, i delinquenti.

Pace e benedizione

PS: altre riflessioni sulle statuine del presepe le potete trovare qui.

22 novembre 2008

Giuseppe e i suoi fratelli

La storia di Giuseppe è narrata nel libro del Genesi nei capitoli che vanno dal 37 al 50, cioè in pratica gli ultimi capitoli del primo libro della Bibbia. È il primo dei due figli che Giacobbe ebbe dall’amatissima moglie Rachele. L’altro si chiama Beniamino. In totale Giacobbe ebbe 12 figli.

Riassumo la storia. Giuseppe era un po’ il preferito di Giacobbe. Questo destava la gelosia dei fratelli. Giuseppe fece due sogni secondo i quali prima i fratelli, e poi anche i genitori, l’avrebbero ossequiato, si sarebbero prostrati di fronte a lui. Questi due sogni rappresentano il punto di rottura tra Giuseppe e i fratelli. Quando Giacobbe invia Giuseppe a trovare i suoi fratelli, questi al suo sopraggiungere decidono dapprima di ucciderlo, ma poi, per non macchiarsi del suo sangue, lo spogliano della sua tunica e lo calano in una cisterna vuota. Il giorno dopo lo rivendono ad una carovana che lo porta, in schiavitù, in Egitto. Qui, dopo varie vicissitudini, diviene l’uomo di fiducia del faraone. Nel frattempo scoppia una carestia, che Giuseppe aveva previsto. Grazie alle previsioni di Giuseppe, l’Egitto non risente di questa carestia, ma anzi riesce a vendere il grano. Proprio questa ricchezza è l’occasione perché i fratelli scendano in Egitto. Qui avviene la riconciliazione e il ricongiungimento della famiglia di Giacobbe.
Fin dall’inizio del cristianesimo Giuseppe è stato visto come una figura fortemente anticipatrice di Gesù. E in effetti se avessimo il tempo di analizzare tutta la vicenda di questa persona potremo vedere che le analogie, i rimandi al Cristo sono numerosi e profondi. Questa sera ne vedremo alcuni accenni.

I sogni

Un ruolo molto importante nella vita di Giuseppe l’hanno i sogni. Sia quelli suoi che quelli di altri che lui riesce ad interpretare. Nella Bibbia il sogno è spesso un momento in cui Dio si rivela all’uomo, è quasi una profezia, la manifestazione di una vocazione. In genere vengono descritti due tipi di sogno: i sogni di vocazione (cfr. 1Sam 3, la vocazione di Samuele) e i sogni di protezione (cfr. Mt 2,13-15, il sogno che dica a Giuseppe di fuggire in Egitto con il piccolo Gesù e Maria).
I due sogni fatti da Giuseppe si possono ascrivere ai sogni di vocazione, quelli cioè in cui uno intravede lo sguardo di Dio sulla sua vita.
È interessante notare come Giuseppe nonostante si trovi in una situazione difficile (è amato dal padre, ma proprio per questo è oggetto di rancore da parte dei fratelli) faccia dei sogni che lo mettono al centro: il covone a cui tutti si inchinano, il sistema solare che gli si inchina. I covoni di grano diventeranno una realtà chiave nella vocazione di Giuseppe: non sono soltanto i fratelli che si inchinano a lui, ma sono il cibo che li salverà. E non solo perché darà loro la salvezza corporale, ma anche perché proprio tramite il grano, arriveranno alla comprensione dell’amore del padre e quindi dell’amore come legame dell’intera famiglia. Anche qui è chiaro il legame con Gesù, col grano, col pane, coll'Eucarestia che ci nutre.

Ci potremmo legittimamente chiedere se questi sogni non esprimano forse anche un grande soggettivismo, se non addirittura un certo narcisismo. La chiamata di Dio tiene conto della persona concreta. La chiamata, la vocazione non è mai astratta, né generica, né soprattutto uguale per tutti. Questo significa che il carattere, i talenti, la storia personale, ma anche le tendenze personali (nel caso di Giuseppe un certo narcisismo) non tolgono nulla all’azione di Dio e alla sua chiamata. La chiamata è ricevuta da una persona concreta, dentro la sua storia, all’interno della sua cultura. Il sogno è come una visione momentanea, e che poi avrà bisogno di tutta la vita per vivere. Il sogno è una comunicazione dialogica di Dio, non una visione ideale. Va vissuto all’interno di un dialogo, non come un ideale a cui tendere e adattarsi.
Se si comprende il sogno in termini di percezione della vocazione, quindi dell’amore, la realizzazione passa attraverso la modalità dell’amore, cioè attraverso il sacrificio. Ma un sacrificio che non scegliamo noi. Il sacrificio ci è richiesto dalla vita stessa, dagli altri. Anzi, è l’amore stesso che lo esige. Se non è un sacrificio nell’amore e per amore è una perversione, una devianza patologica. Difatti Giuseppe sognando ha un segno da parte di Dio di una vocazione che si espliciterà solo alla fine della storia, e che in pienezza sarà realizzata da Cristo, che raccoglierà l’umanità dispersa dalla conflittualità, dalle contraddizioni, proprio nel momento in cui sarà innalzato da terra. Gesù come Giuseppe, che diventerà l’elemento unificante dei fratelli grazie al male che loro stessi gli infliggono. La chiamata, come realtà dell’amore, vive il suo primo grande dramma all’interno dei suoi, dei più vicini, che finiscono per rivelarsi come i veri lontani che devono essere avvicinati.
La via di Giuseppe nella realizzazione dei sogni è per lui un cammino pieno di pericoli e di continue morti. Giuseppe morirà molte volte lungo la strada, eppure sarà sempre protetto da Dio. L’amore di Giacobbe, immagine dell’amore di Dio Padre, lo tirerà sempre fuori dalle morti, perché proprio questo è il modo dell’amore.
Si nota una cosa, mentre suo padre Giacobbe, suo nonno Isacco e suo bisnonno Abramo parlavano direttamente con Dio, avevano con Lui un dialogo, a volte anche degli scontri (vedi Giacobbe al torrente Iabbok in Gen 32, 23-33 ), a Giuseppe Dio non parla mai in maniera diretta. Giuseppe all'inizio non sa che i sogni sono messaggi divini. Ma in tutta la storia si vede il suo atteggiamento religioso di fondo, per cui Dio è il primo e l’unico. E alla fine riconoscerà che proprio Lui è l’attore principale della storia (vedi cap. 45). Passo passo si lascia guidare dagli incontri, dagli eventi, in maniera che si dischiude tutta la sua chiamata. Non sa che è Dio che gli manda i sogni, ma dal momento che è nell’amore è disponibile alla comprensione dell’amore.

I fratelli non vivono nella logica dell’amore filiale, ma sono sottomessi ad una logica di invidia. Proprio per questo non sono in grado di comprendere la realtà divina dei sogni, che invece, in questo contesto, diventano un incentivo, un motivo in più per odiare il fratello. I sogni sono interpretati da loro solo nel campo psicologico dell’avere, del potere, dell’essere di più o di meno.

Cerco i miei fratelli (Gen 37,16)

Giuseppe vive in casa col padre, mentre i fratelli sono a pascolare le greggi a poco più di 80 chilometri. È una distanza geografica che indica anche una distanza interiore. Il percorso che deve fare Giuseppe per raggiungere i fratelli è in aperta campagna e accidentato. Riuscire ad affrontare questo viaggio è indice di una sicurezza esistenziale come può averla solo uno che è certo a livello esistenziale di essere amato. Ed è lo stesso che capita al Figlio di Dio che si allontana dalla Trinità, dal seno del Padre, per immergersi nel creato, per sprofondare nel male e nella morte.
Giuseppe è il principio di unità della famiglia, proprio perché è il padre che lo manda a cercare i fratelli. E il padre che invia Giuseppe a cercare e trovare i fratelli è una immagine fortemente cristologica.
In questo brano per la prima volta Giuseppe esplicita la sua vocazione. Non si rende ancora conto di cosa significhi, di tutta le implicazioni che queste semplici parole hanno e avranno nella sua vita, ma sta già facendo (anche se inconsapevolmente) i primi passi nella direzione indicata dai sogni. Nell’obbedienza vive la sua identità. E la missione si compie proprio per mezzo dell’essere mandati. Ha avuto i sogni, ma l’inizio della loro realizzazione avviene attraverso il mandato del padre. Se la vocazione, la chiamata, consiste nell’amore del Padre, è impossibile rivelare questo amore attraverso l’affermazione di sé stessi. Neanche se questo principio autoaffermativo viene camuffato sotto l’apparenza di generosità e di altruismo. Questo è difficile capirlo per noi oggi, perché la nostra cultura favorisce più una mentalità di progettazione e di autorealizzazione, dove tutto parte sempre e comunque da noi. Esattamente il contrario della mentalità propria della vocazione, dove si risponde e si segue, e seguendo si serve.
Ma i fratelli non vivono nella logica dell’amore. E difatti appena lo vedono si risveglia in loro l’invidia. Siccome si sono allontanati dall’amore del padre, non riescono più a vedere il loro fratello come figlio dello stesso padre, non riescono a partecipare dello stesso amore, e quindi la passione che li attanaglia è la voglia di impossessarsi dell’amore del padre. E sperano di averlo uccidendo il figlio prediletto. Chi è fuori dell’amore crede di impossessarsi dell’amore tramite la violenza, facendo pressione per essere amato.

21 novembre 2008

Il tempo


Quando esci dall'ospedale dopo una degenza di una decina di giorni vorresti che il sole splendesse. Invece oggi c'era un cielo bigio e triste, e una nebbiolina piuttosto insolita per questa città.

Però va bene anche così. L'importante è essere felici.

Pace e benedizione.

20 novembre 2008

Trieste su Life

Da oggi Google mette a disposizione tutte le foto dell'archivio della rivista Life. Sono andato a curiosare un po' e come logico tra le altre ricerche ho anche dato un'occhiata alla voce "Trieste". Con mia somma meraviglia ho scoperto che per la prestigiosa rivista la città dove vivo, dopo la guerra era in Yugoslavia (in realtà era Territorio libero sotto amministazione anglo-AMERICANA) e che scrivere "W Tito" significava essere anticomunisti e contro Tito (sic!)

Della serie "anche i migliori sbagliano"

Pace e benedizione

03 novembre 2008

.

La vita è cambiamento, evoluzione. Se una cosa (o una persona) non cresce, non cambia, non si evolve, non è più viva, è morta.
Però in genere noi di fronte ai cambiamenti, quando li avvertiamo, reagiamo in due modi differenti. Da una parte ci sono quei cambiamenti che ci spaventano, che ci fanno rivolgere al passato, che ci fanno sperare che niente cambi.
Ma ci sono i cambiamenti che invece ci fanno respirare meglio, ci allargano il sorriso, ci riempiono il cuore di speranza.

In questi giorni mi è tornato alla mente il papà di una mia amica. Il giorno del suo 80° compleanno, al momento del brindisi, con un sorriso che veniva dal profondo del cuore, disse: "Sono molto contento di vivere questa nuova fase della vita"

Ogni cambiamento non è altro che l'inizio di una nuova fase. E dovremmo essere sempre contenti di avere una nuova possibilità.

Pace e benedizione

30 ottobre 2008

Due giorni diversi dal solito

Martedì (28 ott.) mia moglie ed io ci siamo presi una piccola vacanza. Siamo andati a Mantova (qui ci sono alcune foto). Ci avevano detto che è una cittadina molto bella. Il tempo non era dei migliori, anche se ogni tanto il sole faceva capolino fra le nuvole.
Il primo impatto è stato piacevole: arrivare e vederne il profilo che 'sorge' dal laghetto non ha nulla da invidiare, anzi, alle skyline più celebrate (es. New York)
Però nel complesso è stata un po' una delusione. Forse perché le aspettative erano alte. Ci sono piaciute moltissimo la Rotonda di san Lorenzo e la Stanza degli Sposi (gli affreschi sono veramente magnifici).
Però alla sera eravamo contenti di tornare a casa.

Ma il bello è stato ieri (29 ott.). Era il nostro 31mo anniversario di matrimonio. Per festeggiare alla mattina siamo andati a Messa. Per una volta non ho fatto servizio, ma sono stato vicino a lei. Ma il regalo più bello ce l'ha fatto nostro figlio. Non l'aquila di cui parlavo tempo fa, il secondo. È venuto con noi a Messa e ci è stato vicino anche durante la benedizione che è seguita. Lui sono 4-5 anni che non entrava in chiesa. Non crede ed è anche molto critico nei confronti della Chiesa. Quando ce lo disse anni fa aveva le lacrime agli occhi, perché temeva di ferirci, di farci male. Ma concordammo con lui che sarebbe stato altamente ipocrita se, data questa sua convinzione, avesse continuato a venire a Messa solo per farci piacere. Evidentemente il Signore ha per lui una strada diversa da quella che pensiamo noi.

Però questo suo dono ci ha fatto un piacere enorme. Più del regalo materiale che i figli ci hanno fatto, più degli auguri che le persone che erano a Messa ci hanno fatto alla fine, anche se molti oltre a questi ci hanno anche ringraziato per il solo fatto di esserci, per quello che la nostra presenza dava loro.

Pace e benedizione

15 ottobre 2008

L'aquila ha preso il volo

E così il giorno è arrivato. L'aquila ha preso il volo.
Ieri pomeriggio abbiamo caricato la macchina con le sue cose e si è trasferito.

Sopra la tristezza però c'è anche gioia. Una sensazione di orgoglio. Se è vero (ed è vero) che i figli non sono nostri, ma li abbiamo in 'prestito', per crescerli, per insegnargli a volare alto e bene, allora possiamo dire che il nostro compito lo abbiamo fatto. E bene.

Certo di errori ne abbiamo fatti. Di alcuni ce ne siamo resi conto, di altri no. Ma sempre abbiamo cercato di fare del nostro meglio. E soprattutto ci abbiamo messo, oltre che tutte le nostre capacità, tutto il nostro amore.

Se, come diceva il Profeta (o era Tagore?) che i figli sono le frecce che non scocchiamo dal nostro arco, allora adesso questa freccia è partita e sta andando dritta verso il bersaglio. E direi che dalla direzione che ha preso è stato un bel tiro.

Pace e benedizione

07 ottobre 2008

Senza parole (solo con parolacce)

Per lavoro giro abbastanza per la rete. Ricerca di cosa c'è di nuovo nel software e nell'hardware, di soluzioni a problemi informatici, ecc. ecc.
Questa sera però mi sono imbattuto in una notizia che mi ha portato a questo post.

Anche se il fatto risale a circa un mese fa, mi ha fatto veramente male. E se ha fatto male a me, non riesco a pensare a quel bambino.

Pace e benedizione.

06 ottobre 2008

Povera Italia

In genere quando viaggio in bus nel tratto casa-lavoro, siccome il cicaleggio delle persone mi da fastidio, ascolto musica con il lettore mp3. Oggi invece non ne avevo voglia. Mi è capitato così di sentire una discussione tra alcuni studenti dell'ultimo anno delle superiori. Ce n'era uno che si lamentava della professoressa di italiano perché gli aveva dato un 4. Diceva:
"... ma come, ho passato tutta l'estate a leggere un libro, le varie critiche e quanto riuscivo a trovare, e oggi la str...za mi ha dato 4"
"Ma che libro era?" gli chiede un altro
"Il fu Mattia Pascal di SVEVO" risponde
Al che una terza voce (il dialogo a tre si svolgeva alle mie spalle) dice:
"Ci credo che ti ha dato 4, Il fu Mattia Pascal non lo ha scritto Svevo, ma Pascoli!"

Non so come sono riuscito a non sbottare.

Penso che d'ora in poi anche quando non ho voglia di ascoltare musica, mi metterò comunque gli auricolari!

Pace e benedizione

01 ottobre 2008

Sono due giorni che il tempo è tutto grigio. Anche l'umore della gente (e anche mio) si è lasciato prendere da tutto questo grigiume.

Per riprendere tutti un po' di colore eccovi alcune foto fatte da quest'estate.

Pace e benedizione





30 settembre 2008

La corsa

Questa mattina, andando al lavoro come al solito, ho notato che il traffico, forse perché la mattina presto non è così intenso, era però molto veloce. Tutti, sia in macchina che in due-ruote, sembravano in preda ad una fretta immensa.
E allora ho pensato alle giornate tipo delle persone. Tutti sembrano sempre presi non tanto dalle cose, ma dalla fretta di farle.

Non è che a forza di correre ci siamo dimenticati di dove stiamo correndo?
Tante volte ho l'impressione che per la società non conti cosa fai e qual'è la meta, ma ciò che conta è farlo in fretta.
Siamo talmente presi dal nostro correre che non guardiamo più verso cosa stiamo correndo.
E se non fosse nient'altro che un baratro?

Pace e benedizione

29 settembre 2008

Crisi del settimo anno? Direi proprio di no!!!

Il 30 settembre di 7 anni fa venivo ordinato diacono.

Come sono stati questi 7 anni?

Uno parte con certe idee, con certi modi di concepire il proprio diaconato. Già durante la formazione ci si scontra con la realtà, soprattutto con la propria realtà di esseri limitati e pieni di difetti.
Facendo un bilancio di questi anni, devo dire che sono stati diversi da come li pensavo prima. Ho scoperto che per certe cose che mi attiravano, proprio non ci sono tagliato, ma anche che per tante cose a cui proprio pensavo di non essere adatto, sono invece quelle che mi riescono più facilmente, quelle per cui la gente maggiormente mi cerca.
Ma soprattutto ho potuto scoprire che lo Spirito Santo dato nel Sacramento, dona sempre le capacità di affrontare il tuo compito.

Sono contento di aver acconsentito a questa scelta. Anche se ogni anno che passa si aggiunge qualche nuovo incarico e qualche nuova responsabilità, so di non essere da solo, che Dio mi assiste sia direttamente che per mezzo di Maurizia, del mio parroco e di tutta la comunità, di tutti gli amici che mi sono vicini (chi crede con la preghiera, chi non crede con l'affetto e la simpatia)

A tutti voi il mio ringraziamento e la mia preghiera

Pace e benedizione

26 settembre 2008

Non si è mai preparati (per quanto ci si prepari)

Anche se ce l'aveva già detto ancora prima di laurearsi, anche se ce l'aveva detto quando aveva iniziato a guadagnare, anche se ce l'aveva detto quando aveva trovato un amico con cui condividere le spese, anche se ci aveva detto che oggi sarebbe andato a vedere l'appartamento ..

Anche se pensi che sia la cosa più giusta, anche se pensi che ormai è un uomo, anche se è più alto di te di una ventina di centimetri e pesa oltre 20 chili più di te, anche se tu alla sua età lo portavi a fare camminate in montagna e al mare gli insegnavi a nuotare, anche se adesso guadagna quasi come te ..

Anche se sei contento che questa sera ti abbia telefonato che l'appartamento è Ok e che l'hanno preso in affitto ..

Anche se tutte queste cose e tante altre, perché allora in fondo senti che pezzo di te ti viene strappato via, e senza anestesia? e perché la metà di ottobre (data prevista per il trasloco) sembra così maledettamente vicina?

Per quanto ci si prepari, non si è mai preparati quando un figlio se ne va di casa, quando il passerottino che cullavi si è trasformato in un'aquila e spicca il volo per la vita.

La mia benedizione sia con te, caro Francesco.

23 settembre 2008

Non c'è più ....

Ho eliminato l'insetto/ragnetto/animaletto. Ogni bel gioco dura poco.

Già che c'ero ho nuovamente cambiato l'aspetto. Questa volta con un tema completamente scritto da me.

A tutti voi


Pace e benedizione

18 settembre 2008

Indovinello

C'è una piccola novità
forse è qui, forse è là
Se la pagina tu muovi
sempre li la ritrovi,
Non serve muover le mani,
sarà là anche domani.
Ma che gran dispetto
che mi fa questo .....


A voi la soluzione
;-)

Pace e benedizione

12 settembre 2008

Ripensamenti pastorali

Ogni primo giovedì del mese conduco l'ora di adorazione per le vocazioni. Non la praparo io, ma in piena autonomia un gruppo di laici (mi danno il foglietto con la traccia e le letture solo cinque minuti prima). L'ultima volta il brano che avrei dovuto commentare era Luca 5,1-11, quello con la prima pesa miracolosa e la chiamata dei primi apostoli.
Dovendo improvvisare un commento non è che si abbia la possibilità di andare molto a fondo. Tra le varie cose che ho detto, proprio alla fine mi sono soffermato sulla frase finale in cui "lasciato tutto lo seguirono". Ricordo di aver detto che incontrare Cristo vuol dire lasciare tutto, che per alcuni significa lasciare la propria famiglia per fondarne una nuova, e che per altri significa invece lasciare la propria famiglia per dedicarsi esclusivamente a Dio e ai fratelli. Ma che per tutti significa lasciare anche tante nostre convinzioni, tante nostre idee, tante nostre elucubrazioni, anche su Dio.
E poi ieri sera mi sono ritrovato con un gruppo di adulti che sto preparando per la Cresima. Sono persone che hanno chiesto la Cresima chi per sposarsi, chi per poter fare da padrino di Battesimo. In questi incontri insisto molto sull'amore di Dio.
Però tornando a casa pensavo una cosa: sono di quella generazione che ha fatto catechismo e i sacramenti dell'iniziazione prima del Concilio Vaticano II. Allora si puntava molto sul discorso della rinuncia, sembrava che il cristianesimo fosse la religione in cui la cosa principale fosse di dover rinunciare.
Invece il cristianesimo è la religione dell'incontro con l'Amore. Non si tratta di rinunciare, ma di scegliere ciò che è meglio. Chi di noi, se potesse scegliere tra un pezzo di vetro tagliato a diamante e un diamante vero sceglierebbe il vetro? E chi si sognerebbe, una volta fatta la scelta, di dire (e pensare) che ha dovuto rinunciare ad un pezzo di vetro? non direbbe (e penserebbe) invece che ha scelto un diamante?
In fondo Gesù ce l'aveva detto col discorso del tesoro e della perla. Siamo noi che tante volte e per troppo tempo ce ne siamo dimenticati.
Pace e benedizione

11 settembre 2008

Alcune spiegazioni

Come potete notare ho dato una mano di bianco a questo blog. Il lavoro è appena iniziato.

Una spiegazione sulla foto del titolo:



È stata fatta questa estate una mattina. Il fiumiciattolo che si vede è la Grosne (Borgogna), le macchie biancastre in mezzo all'erba sono delle mucche al pascolo. Mi piace molto la bruma che si vede. Appena spunta il sole si dilegua.

Lì vicino c'era anche un campo di girasoli:



E ci è capitato anche di vedere un tramonto come questo:



Pace e benedizione

09 settembre 2008

Dieci anni fa ..... Lucio Battisti

Dieci anni fa moriva Lucio Battisti. Per quelli della mia generazione è stato un fedele compagno di molti momenti felici. Ci ha aiutato a crescere e a stare insieme.
Grazie Lucio
Pace e benedizione

08 settembre 2008

Un tranquillo week-end di ........ lavoro

Anche se non arriviamo a livello dei preti, per cui la domenica non è un giorno di riposo, ma è il giorno di maggior lavoro, anche noi diaconi non scherziamo ;-)

F., la ragazza di cui avevo già parlato in questo post, una decina di giorni fa, mi ha telefonato per ricordarmi che sabato 6 si sarebbe sposata con il suo L.
Con parole molto belle e toccanti mi invita al suo matrimonio, e mi chiede anche di fare il diacono. Conosco il prete che celebrerà la messa, per cui gli telefono e ci mettiamo d'accordo.
E così sabato mattina, in una chiesetta del Carso triestino, ho "assistito" come diacono al primo matrimonio.
Devo confessare che ero molto commosso anch'io, mi sono molto affezionato a questi due ragazzi, nella loro storia rivedo molte cose della storia di Maurizia e mia.

E poi ieri sera c'è stata in cattedrale l'ordinazione di 5 nuovi diaconi. Cattedrale strapiena, serata afosa, sotto i paramenti (per fortuna non ero di servizio per cui non avevo anche la dalmatica, che in cattedrale e formato trapunta!) ero in un lago di sudore. Anche qui è stato molto toccante vedere questi amici (perché in questi anni di preparazione tali siamo diventati) accompagnati dalle mogli che dicevano il loro si.

Tornando a casa Maurizia mi faceva notare una cosa: in due giorni, con un matrimonio e un'ordinazione avevo ripercorso la mia vita.

Direi che, come al solito, lei aveva capito tutto molto prima di me.
Queste due giornate sono state la degna prosecuzione di quanto vissuto in vacanza. Quei giorni mi erano serviti per riprendere in mano la mia vita che per tantissimi motivi sentivo mi stava "sfuggendo", stava perdendo il suo centro.
Questi due giorni sono stati un ulteriore dono.
Pace e benedizione.

Chiedo scusa

Mi rendo conto che ultimamente ho un po' trascurato questo blog. Scrivo poco e anche la grafica è un po' trascurata. Per non parlare poi dell'elenco dei link.... alcuni non ci sono più, altri nuovi amici andrebbero aggiunti e non l'ho ancora fatto.
Spero tra poco di avere un po' di tempo, e soprattutto di testa, per mettere mano al tutto e sistemare un po' di cose.
Pace e benedizione

31 agosto 2008

Nuovi diaconi a Trieste

Domenica prossima, 7 settembre, alle 19.00 nella Cattedrale di s. Giusto il nostro vescovo ordinerà diaconi:

Pierluigi Paluzzano
Vinicio Centi
Salvatore D'Angelo
Piero Pesce
Giorgio Tamplenizza


A loro, alle loro mogli e ai loro figli la mia preghiera in questa settimana prima dell'ordinazione

Pace e benedizione

30 agosto 2008

Libri e bevande

Ci sono libri che vanno 'bevuti' tutti di un fiato, come un boccale di birra dopo due ore di allenamento sul tatami. E ci sono libri che invece vanno centellinati sorso a sorso, come un bicchiere di vino rosso ben invecchiato, in cui ogni sorso va gustato e assaporato fino in fondo, fino a quando ogni sapore, ogni odore, ogni sentore non sia finito e non si sia pronti, anche spiritualmente, per il sorso successivo.

Il fatto di essere un libro-birra o un libro-vinorosso non dipende dalla qualità del libro. Ci sono delle birre sublimi e delle birre che servono solo a stimolare la minzione. Come ci sono dei vini sublimi e dei vini che sono proprio imbevibili.
Dipende dal libro in sé stesso, da come è stato scritto, ma anche da come lo leggiamo.

Uno degli ultimi libri-birra sublime che ho letto è "La sovrana lettrice". Oggi invece ho appena finito un libro-vinorosso che rasenta la sublimità: "L'eleganza del riccio".
Non raggiunge, a mio avviso, la sublimità per la visione di fondo della vita dell'autrice che traspare qua è la, ma soprattutto nella parte finale. Rimane però un libro stupendo, da assaporare sorso a sorso.

Pace e benedizione

27 agosto 2008

Le "quote-stranieri" a scuola, e poi?

Da bambino lessi una frase, mi pare di Pico della Mirandola, che diceva: "Un uomo vale tante persone quante lingue parla". Lì per li, detta da uno che si dice che parlasse circa 22 lingue, mi sembrò un po' una smargiassata, un vantarsi. Però poi, più tardi, quando iniziai a studiare una lingua straniera, ne scoprii la profonda verità. Una lingua non è solo un modo di dire una cosa, una lingua è un mondo, una cultura, una storia. Una lingua è un modo differente di pensare e di sentire (nel senso dell'inglese feel).
Non ho la fortuna di aver il dono delle lingue. Parafrasando un vecchio ebreo di uno sketl posso dire che parlo 4-5 lingue tutte in italiano (raccontino narrato da Moni Ovadia).
Però mi ha sempre affascinato l'altro. Uno straniero è sempre un mondo diverso, inesplorato e mai totalmente conoscibile. È per questo che mi è sempre piaciuto viaggiare. Mi è sempre piaciuto andare sì nelle grandi città, ma soprattutto nei piccoli paesi. In questi è ancora possibile un contatto umano, uno scoprire l'altro nella sua diversità (e svelare la propria diversità), non per giudicarla, ma per accoglierla, per esserne arricchiti. E per arricchire l'altro con la nostra diversità.
Sarà per questo che chi mi affascina più di tutti è il Totalmente Altro?
Ricordo ancora con molta riconoscenza una chiacchierata fatta con un pescatore greco in un paesino (4-5 case) della Calcidicia. Nessuno dei due parlava la lingua dell'altro, ci si arrangiava con i gesti, con qualche parola di inglese, qualche di francese, qualche di tedesco. Ma soprattutto con la voglia di comunicare e di incontrarsi. Dopo due ore di questo dialogo, mi ha invitato al matrimonio della figlia la domenica seguente.
Oppure l'incontro col contadino bavarese (non parlo tedesco) fatto anche questo in una lingua improvvisata da noi per l'occasione. Mi ha rivelato tante di quelle cose sui tedeschi (ma forse sarebbe meglio dire sui bavaresi) che non avrei appreso in centinaia di libri.

Questa lunga premessa mi è venuta in mente quando ho letto, e sentito alla radio, che c'è qualche mente che si ritiene acuta, che vorrebbe limitare il numero di stranieri nelle classi. La scuola dovrebbe insegnare a crescere, insegnare che non si finisce MAI di imparare, di scoprire. E solo aprendosi a ciò o a chi non si conosce, che si può imparare.

Quando impareremo che gli stranieri possono essere un arricchimento per tutti noi? quando impareremo che una persona sbaglia indipendentemente da dove è nata?

22 agosto 2008

Le Olimpiadi e i Padri del deserto

In questi giorni 'olimpici' capita spesso di sentire interviste riguardo a vari sport che non siano il calcio. Tra tutte le parole sentite e lette, una cosa mi ha colpito. La fatica e l'abnegazione che questi atleti hanno affrontato per questi 4 anni. In vista di questo traguardo hanno rinunciato a tantissime cose. Per molti la loro medaglia era già essere lì.

Mi è venuto in mente quello che dicono molto spesso i Padri del deserto: 'bisogna avere un cuore indiviso'. Focalizzare la propria vita, la propria volontà, il proprio cuore su di una meta. Per riuscire, ogni nostra azione deve essere focalizzata alla meta.

Aveva ragione Paolo a paragonare la fede con le gare sportive. Il principio è lo stesso.

Si tratta di trovare 'l'unico necessario' e dirigervi tutta la propria vita.

Pace e benedizione

15 agosto 2008

Il sole sorge sempre (e a volte 2 volte)

Ho lavorato per anni (e fino a quando non ha chiuso, ma questa è un'altra storia) in una raffineria. Turnista. In questi anni ho imparato ad apprezzare realmente l'aurora e l'alba, insomma, il sorgere del sole. Dopo una notte passata a lavorare era letteralmente l'inizio del riposo: tra poco sarebbe arrivato il cambio, una meritata doccia, poi a casa, una buona colazione e infine a dormire.
Dopo una notte di lavoro il sorgere del sole non è più solo uno spettacolo poetico (tipo quello che da giovane andavo a vedere in cima ad una montagna o in riva al mare) ma soprattutto una vera e propria liberazione, una rinascita.

È allora che ho imparato il vero senso della frase biblica: "Sentinella, quanto manca al mattino?" Ancora oggi quando la leggo ne sento tutta l'ansia e la tensione.

In questo periodo dell'anno in cui le giornate si stanno accorciando (ma lo stesso capita in primavera, quando si allungano) quando esco di casa la mattina per andare a lavorare il sole è appena sorto. Lo sento che mi scalda il viso mentre cammino per le strade ancora deserte o quasi. Ma mentre risalgo la strada verso il lavoro, ecco che si nasconde dietro la collina. Quando arrivo è ben bene nascosto.

Dopo aver acceso il mio computer, aver controllato che i server siano tutti a posto, scendo a fumarmi una sigaretta. E così mi posso godere il sole che sorge per la seconda volta (almeno per me)

Pace e benedizione

06 agosto 2008

Avventure bancarie

Le vacanze sono finite, ma non le ferie, per cui approfitto di questi giorni per poter fare con calma tutta una serie di cose che portano via un po' di tempo e che quindi non sempre è possibile fare quando sono a lavorare.

Una di queste cose è stata il cambio di banca. Ero cliente di una banca da una trentina d'anni, ma ultimamente non ero per niente soddisfatto. Interessi sempre uguali (praticamente 0), spese sempre più alte, soddisfazione sempre più lontana dallo zero e con un meno davanti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il fatto che mi hanno perso 330 euro, e prima di sapermi dire che fine avevano fatto è passata una settimana. E per riaverli dovrò aspettare un mese/40 giorni. E l'errore è stato loro!

E così mi sono guardato un po' in giro. Ieri assieme a Maurizia ci siamo recati nella banca in cui abbiamo aperto il nuovo conto. Pensavo che in circa 10-20 minuti avremmo fatto tutto. Invece oltre un'ora! Ma quello che mi ha meravigliato è che adesso per aprire un conto è necessaria una laurea. Richiesta del numero telefonico di casa, del cellulare (senza cellulare niente carta bancomat), dell'indirizzo e-mail (senza email niente web-banking e quindi spese maggiori), del cognome da signorina di mia madre (non ricordo neanche più perché), un numero infinito di firme. Ma soprattutto una caterva di numeri di codice da ricordare, ognuno con una funzione diversa (numero del conto, della carta di credito, del bancomat, dell'accesso web, del codice web, del codice per i pagamenti web, per i prelievi web, e non mi ricordo neanche più per cos'altro).

E non è finita qui. Oggi ho dovuto tornare per la chiusura del conto con la vecchia banca.
E domani dovrò tornare per la ultime firme per la carta di credito (devono passare 48 ore dalla richiesta).

In tutto questo tempo, mentre aspettavo mi guardavo un po' attorno. Nella filiale avevano collocato un terminale in modo da permettere ai clienti di controllare i loro conti senza fare fila agli sportelli. ad un dato momento c'era una signora sull'ottantina che armeggiava senza capirci granché. È dovuta intervenire un'impiagata per spiegarle, passo-passo, come utilizzarlo.

Quello che mi chiedo è se ormai anche per aprire un semplice conto in banca al giorno d'oggi bisogna per forza essere 'tecnologizzati'. Una persona senza telefonino (e ne conosco parecchi che non ce l'hanno, alcuni proprio per scelta ideologica) e senza accesso internet (e con la situazione italiana non è così raro) non può avere un conto corrente se non a prezzo più alto e servizi ridotti? Non è che piano piano stiamo diventando dipendenti dalle macchine? Matrix avanza?

Pace e benedizione

05 agosto 2008

La collina

Sono arrivato la prima volta sulla collina nell'agosto del 1972 portato da un amico. Ricordo che tornando a casa dicevo che era una bella esperienza, ma in fondo non così eccezionale come veniva decantata. Insomma, devo ammettere che era un po' deluso.
Fu però nei mesi successivi che mi resi conto di quanto quella settimana mi era penetrata in fondo al cuore. L'anno dopo vi tornai, ma non solo per una settimana. In effetti tornai a casa un po' di mesi dopo.

Da allora ci sono tornato numerose volte, ma ancora oggi, quando la strada, dopo la S che passa la vecchia ferrovia, là dove la valle della Grosne si allarga e sulla destra si inizia a vederla, il cuore batte più forte e un nodo sale dallo stomaco alla gola. A volte penso che Ulisse quando ha scorto Itaca all'orizzonte abbia avuto la stessa sensazione.

In tutti questi anni ho avuto il caso di conoscervi alcune persone famose, ma soprattutto la fortuna di conoscere tante persone che riuscivano a vivere la loro fede, in Dio o nell'uomo non importa, in maniera totale e profonda, nel silenzio e nel nascondimento di una vita apparentemente normale.

Sono molto legato alla collina. Tornarvi è come tornare a casa, è un riaffondare le proprie radici nel terreno fertile ricco di humus e di fresca acqua, è un ritrovare nel fondo del proprio cuore quell'unità che i vari accadimenti della vita avevano incrinato e coperto di polvere e ferite.

E anche se ormai ho capito che non è la mia strada i vivere lì tutti i giorni, non posso fare a meno, appena ne ho la possibilità, di tornarvi anche solo per qualche giorno. E al ritorno mi sento rinato.

Pace e benedizione

24 luglio 2008

Un regalo prima di partire

Se Dio vorrà dopodomani partiremo per le ferie. Destinazione "seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino".

A tutti voi auguro, dopo un anno di lavoro e fatica, non un periodo vuoto, ma un periodo pieno di tempo da dedicare a ritemprare lo spirito. Del tempo per riscoprire la propria interiorità, per riscoprire le persone che vi circondano. Del tempo per allontanarvi dalle tensioni della società e recuperare le forze in modo da riprendere ad andare contro la corrente.

E siccome "andare contro il vento non è difficile lo sai, lo è senza un saluto caso mai" vi saluto con questo regalo:



Pace e benedizione

17 luglio 2008

Chi sceglie chi?

Mi piacciono i libri, mi piace sceglierli in libreria, guardarli, sfogliarli, leggere le note di copertina. A volte compro i libri perché una recensione mi ha incuriosito, oppure perché un amico me ne ha parlato, o perché precedenti opere dell'autore mi sono piaciute. Insomma, in genere sono io che scelgo i libri da leggere o da rileggere.

Ma a volte ho come l'impressione che siano i libri a scegliere me.

Sto attraversando un periodo un po' particolare. L'altra sera stavo mettendo nella libreria i libri che avevo letto recentemente, e intanto pensavo a quale libro avrei preso per quella sera. Diciamo che il mio umore mi orientava verso un romanzo o comunque qualcosa di leggero.
Mi capitò invece fra le mani un libro che avevo già letto molte volte, ma che non era assolutamente né leggero né un romanzo. E soprattutto non era quello il posto in cui doveva essere (la libreria è divisa per zone tematiche). E anche se lo ricordavo praticamente tutto (o forse proprio per questo) decisi che quella sera lo avrei riletto.
Giunto quasi alla fine rimasi sbalordito. Proprio nelle pagine finali la descrizione di un fatto che anche se non c'entrava minimamente con quello che sto vivendo, gettava una nuova luce, dava un senso, apriva una via d'uscita ad una situazione che ne sembrava priva.

Questo fatto mi ha fatto ricordare come sono entrato in contatto con un altro libro che ha cambiato letteralmente la mia vita. Ero entrato in libreria cercando 'qualcosa da leggere'. Mi aggiravo tra gli scaffali guardando titoli e copertine, quando mi capitò questo libro. La copertina non era per niente attirante. Lo sfogliai e lessi qualche paragrafo qua e là. Ne avevo sentito parlare, ma non mi attirava. Lo rimisi giù. Continuai il mio bighellonare, sfogliare, cercare. Ma mi ritrovai almeno altre tre o quattro volte quel libro tra le mani. Siccome non trovavo proprio niente alla fine mi stufai e lo comprai. Quando un paio di giorni dopo finii di leggerlo la mia vita iniziò a cambiare. Non sono più lo stesso.

A volte sono proprio i libri a scegliere noi, e non viceversa.

Pace e benedizione.

08 luglio 2008

Firmate!

Vi invito ad andare qui e firmare questa petizione per far chiudere un sito di pedofili.

Grazie a tutti.

Pace e benedizione

07 luglio 2008

Ripetita juvant?

Chi ha fatto gli esercizi di s.Ignazio avrà ben presente, forse, le varie 'tecniche' per affrontare le 'desolazioni' e le tentazioni.
Una di queste dice di parlarne con una persona spirituale (in particolar modo con la propria guida).
Quello che ti tieni dentro un po' alla volta lievita. E man mano che cresce ti impedisce di discernere con chiarezza, a poco a poco ti soffoca, ti toglie la pace interiore.
È una cosa che ho ben presente, che ho ripetutamente detto migliaia di volte.

E allora perché ogni volta che capita a me me ne dimentico regolarmente?

Pace e benedizione

19 giugno 2008

È solo questione di luce

Ieri pioveva oggi, c'è il sole.
E la città è diversa:
la fontana che ieri era grigia e triste oggi è brillante, iridescente e allegra;
le foglie delle piante, ieri pendule e gocciolanti, oggi sono diritte e spandono gioia;
le case che ieri erano tristi oggi sorridono all'aria tersa;
il mare che ieri era color ardesia oggi è una distesa di turchesi e smeraldi che luccicano


Ma anche le persone sono diverse, non più musi lunghi e seri, occhi bassi e fronti aggrottate. Oggi tutti sorridono, guardano in alto e camminano leggeri, quasi danzando al ritmo di una musica che nessuno sente ma tutti avvertono.
E anche le ragazze sono più belle.

Che sia solo questione di luce?

Pace e benedizione

18 giugno 2008

Un foglio di carta molto pesante

Giorni fa circolava in rete questo video molto realistico (anche se pare sia un falso). Ho letto molti commenti. Vanno dal divertito, al meravigliato, allo psicologico, al sociologico, e non possono mancare considerazioni sull'ambiente di lavoro.

Nessuno però si è messo nei panni di questo poveretto.

A me invece ha fatto venire in mente quel proverbio arabo che ammonisce: "È l'ultimo filo di paglia quello che spezza la schiena al cammello", ma anche quello napoletano che dice: "Cento niente hanno ucciso 'o ciuccio". La prima cosa che mi è venuta in mente è: "ma quanti fogli di carta gli hanno già buttato per terra?"

Quante volte ci meravigliamo se una persona 'scoppia' per una cosa da niente, senza sapere quanti di questi 'niente' ha già sulle spalle. Aver a cuore qualcuno vuol dire anche tener conto di questo, sapere che i nostri niente, messi sulle spalle di un altro, hanno il loro peso.
Non dimentichiamoci mai almeno di domandar scusa per i nostri niente.

Pace e benedizione

11 giugno 2008

Diaconi (5)

La considerazione sull'essere il diacono un ponte tra clero e fedeli, apre a una precisazione.

La domanda che più spesso ci viene fatta, non è “Cos’è un diacono?”, ma “Cosa può fare un diacono?”.

Se ci mettiamo nella prospettiva di cosa un diacono può, o non può, fare, ci poniamo sotto un punto di vista errato. Perché diciamolo in tutta sincerità: sotto questa visuale i diaconi non servono a niente, non sono necessari.

Per amministrare battesimi e benedizioni, per celebrare matrimoni e funerali ci sono già i presbiteri che lo fanno da sempre. Dire che oggi i preti sono pochi non giustifica assolutamente il ripristino del diaconato permanente. Inoltre la santificazione del mondo è compito specifico di tutti i laici, non c’è assolutamente bisogno di membri del clero per questo (anzi).

Quindi rimanendo sul discorso di cosa può fare un diacono non si ha giustificazione al ripristino del diaconato. Se si rimane su questo versante ha ragione chi vede in questo passo un tentativo di clericalizzazione del laicato.

Il discorso invece cambia radicalmente se lo affrontiamo dal punto di vista del ricreare unità, dell’essere al servizio della comunità per un sempre più forte legame tra clero e laici.

Nel 1965, il decreto conciliare «Christus Dominus» (n. 16) dice: «I vescovi cerchino di conoscere a fondo le loro necessità (dei fedeli) e le condizioni sociali nelle quali vivono, ricorrendo, a tale scopo, a tutti i mezzi opportuni, e specialmente alle indagini sociologiche». I preti hanno una conoscenza veramente profonda dei fedeli, ma a loro manca in genere tutta una serie di rapporti con le persone più lontane dalla chiesa. Chi invece con queste persone ha un contatto continuo è proprio il diacono che si trova, proprio perché lavora, a stretto contatto con loro.

Viviamo in una società in cui per la maggior parte delle persone il clero è fatto da persone che vivono nel loro mondo, non hanno conoscenza se non indiretta dei problemi della ‘gente comune’. Il fatto di avere il collega che fa parte del clero, può e deve essere occasione di riavvicinamento di queste persone.

Pace e benedizione

04 giugno 2008

Il nucleare

A circa 130 km in linea d'aria da TS c'è la centrale nucleare di Krsko (Slovenia). Oggi si è verificato un incidente e la stanno spegnendo. La UE dice che non ci sono state fughe di materiale radioattivo. Spero solo che non sia come a Chernobyl, dove all'inizio dicevano che non c'era pericolo. Solo che ancora oggi i funghi raccolti nel nord-est hanno un tasso di radioattività doppio del normale.

Pace e benedizione

03 giugno 2008

Nausea

In questo periodo, come sempre all'inizio dell'estate, mi assale una nausea da computer. D'altra parte è anche logico, pensando che è il mio strumento di lavoro.
Ho semplicemente bisogno di un po' di ferie!!!
Pace e benedizione

26 maggio 2008

Diaconi (4)

Ma alla luce di tutte le cose dette nei precedenti post (servizio di unità nella carità, unione col vescovo, autonomia nel mandato) come si colloca oggi il diacono?
Una prima indicazione ci viene da un fatto. Tutti i documenti insistono che il diacono permanente si deve mantenere col suo lavoro, che non può chiedere nessun compenso per l’opera che svolge.

Qui è necessario aprire un inciso. I documenti ufficiali stabiliscono quanto detto sopra, però aggiungono anche che in caso ad un diacono venga affidato un incarico che non gli concede la possibilità di avere un lavoro, la diocesi presso cui è incardinato, e che gli ha affidato questo incarico, deve assicurargli uno stipendio che permetta a lui e alla famiglia di vivere in modo decoroso. Solo che la convenzione Italia-CEI, quella che ha stabilito il Fondo per il sostentamento del clero, dà la possibilità di ‘stipendiare’ solo i preti. Quindi una diocesi che dovesse pagare un diacono dovrebbe farlo di tasca propria e non potrebbe ricorrere a detto fondo (anche se i diaconi sono clero). All’estero la situazione è un po’ diversa, dipende da stato a stato. In Inghilterra tutti i diaconi ricevono un compenso per il lavoro svolto in parrocchia proporzionato al servizio che fanno e al tempo che passano in servizio. In Francia invece ricevono un rimborso spese a seconda del tipo di servizio che svolgono.

Il fatto quindi di lavorare come tutte le persone, oltre ad avere, almeno nella maggioranza, una famiglia, ci pone realmente come ponte tra il clero e il popolo. È proprio su questo versante che proprio il nostro essere costruttori di unità può trovare il campo privilegiato.

Pace e benedizione

Pensieri sparsi

In questo ultimo tempo non è che avessi avuto molto tempo da dedicare al blog.
Prima il 730, che anche se non compilo più io (da anni vado al CAF) mi mette sempre in agitazione e apprensione: ho preso tutte le carte? non avrò dimenticato niente? saranno tutte giuste le carte che ho preparato?
Qui ho fatto la prima scoperta (spiacevole) il CAF mi aveva mandato l'elenco di tutte le possibili detrazioni. Scopro che se l'anno scorso ho cambiato televisione posso portarla in detrazione. Caso vuole che l'unica televisione di casa, dopo circa 15 anni di servizio, proprio l'anno scorso abbia esalato l'ultimo respiro. Vado a cercare lo scontrino (e la ricevuta del canone RAI). Ma la detrazione è solo per televisioni dai 26 pollici in su. Io avevo preso una da 20 pollici. Meno male che c'era un governo di sinistra!!!
Altra cosa: avevo anche un po' di ricevute di donazioni fatte a onlus. Le ho sempre scaricate. Da quest'anno se la donazione è stata fatta in contanti non si può più detrarre. Solo le donazioni fatte con bonifico bancario sono deducibili. Un bel regalo alle banche da parte del governo Prodi.

Quest'anno dovevo compilare anche la dichiarazione di mio padre. Le sue carte le ho io, tutte insieme e in un posto. C'era anche una ricevuta da oltre 3000 euro per protesi acustica, quindi deducibile. Non la trovo più! Ho passato tre giorni a ribaltare la casa, spostare mobili, passare e ripassare le sue carte una a una almeno 5 volte. NIENTE, LA FATTURA NON C'È PIÙ. Per fortuna la ditta che gli aveva fornito gli apparecchi me ne ha stampata subito un duplicato. E sì che mi ricordo ancora la busta in cui era e che avevo fatto attenzione a metterla bene via proprio perché non vada persa.

Infine, ti rendi conto che inizi ad invecchiare quando un tuo ex alunno muore, e non per un incidente.

Pace e benedizione

23 maggio 2008

AVVISO

Sul solito sito potete trovare la settima e ultima scheda sulla Seconda lettera di Paolo a Timoteo.
Inoltre c'è anche una piccolissima bibliografia.

19 maggio 2008

I diaconi (3)

Il termine "diacono" deriva dal greco e significa "servo". Oggi questo vocabolo ha un'accezione un po' negativa, ma 2000 anni fa non era così. Il servo non è lo schiavo. Il servo era colui che aveva la piena fiducia della persona presso cui prestava il suo servizio. Era un uomo libero, molto spesso un liberto. Il più delle volta il servo era la persona che curava gli interessi del padrone, e ne era anche il confidente. Aveva autonomia nelle scelte.
Possiamo dire, usando una terminologia moderna, che il padrone dettava la linea di politica economica e sociale, e il servo la applicava nel concreto. Più che un puro e semplice esecutore di ordini si potrebbe vagamente paragonare ad un amministratore delegato che riceve dagli azionisti il mandato di curare i loro interessi facendo scelte autonome (e rispondendone di persona).

A risentirci alla prossima.
Pace e benedizione

15 maggio 2008

Condividere il sogno

La parola ebraica per ‘pane’, lechem, si scrive con tre lettere (lamed-chet-mem). Il pane, nella tradizione ebraica, deve essere intinto nel sale, melach, che si scrive con le stesse tre lettere ma disposte diversamente. E queste tre lettere sono anche quelle della parola ‘sogno’, chalom.

Mangiare è condividere un sogno! Condividere un sogno significa la capacità di trasmettere e di offrire all’altro una scintilla di futuro … e di speranza!

14 maggio 2008

Cara amica di un tempo che fu

Avevo caricato nel lettore mp3 il doppio live dei Nomadi. E oggi, mentre andavo a lavorare in bus ho sentito questa canzone. Non è la prima volta che la sento, ma oggi mi sei tornata in mente.
Era quasi 40 anni fa, e tu eri la più bella di tutta la scuola, tutti noi ragazzi, in piena tempesta puberale, eravamo innamorati di te. E dopo un paio d'anni ti ho conosciuto, e mi hai confidato che il tuo essere bella lo sentivi come un peso, era per te una sofferenza.
Ma poco dopo, non un incidente, ma una malattia ti ha portato via in tre giorni.
Quello che fa più male è che non ricordo più il tuo nome, ricordo solo dei capelli biondi e un sorriso.
"vorrei pensare che come allora sorridi".
Ciao cara amica di un tempo che fu.
Grazie per essermi stata amica, anche se solo per poco. Grazie per avermi insegnato che la bellezza esteriore può essere una sofferenza.

13 maggio 2008

Alla fermata del bus

Una bella giornata di sole, 26-27 gradi. Nonostante la stanchezza non ho voglia, una volta finito l'orario di lavoro, di tornare a casa. Un colpo di telefono a casa e l'appuntamento è fissato alla fermata in comune del mio bus col suo. Meta successiva un caffè in quel baretto in città vecchia con i tavolini sulla piazzetta a zona pedonale.
Io arrivo prima. E come faccio quando sono allegro, invece di pensare ai fatti miei, guardo le persone che passano (ed essendo in centro alle 16 passate passano molte persone) e dalle facce, dai vestiti, dagli atteggiamenti (modo di camminare, espressione, ecc.) mi immagino delle storie.

Quella coppia anziana che cammina mano nella mano, naso all'aria sono sicuramente dei turisti. Ammirano quei palazzi che noi 'indigeni' a furia di averli sotto gli occhi neanche vediamo più. Poi lui si rivolge a lei in inglese. Staranno senz'altro festeggiando il loro anniversario di matrimonio con una crociera sulla Queen Elizabeth II che è arrivata oggi.

Invece quei due giovani, anche loro parlanti l'idioma di Albione, saranno appena arrivati con un volo Rayanair.

Quel giovane abbronzato, elegante, occhiali scuri, che parla al cellulare è senz'altro un qualche bancario che sta dando ulteriori istruzioni per qualche investimento da centinaia di migliaia di euro.

Ma ecco, quella ragazza che si avvicina a capo chino, lo sguardo basso. Sicuramente il suo ragazzo la sta facendo soffrire.

E quelle due dodicenni, una con microgonna (più una cintura alta che una gonna) e l'altra col velo islamico, che camminano ridendo di cose conosciute solo a loro, sono due compagne di scuola che si godono un pomeriggio senza compiti.

E poi c'è la vecchietta col bastone che torna a casa dopo un paio d'ore in città con le amiche, magari al caffè, o a vedere delle vetrine e commentare i prezzi sempre più alti e la moda sempre più assurda.

E il nonno col nipotino. E facce allegre. E facce tristi. E camminari spediti. E passi stanchi.

E poi arriva il suo bus. E tutto passa in secondo piano. Una dissolvenza incrociata dalle persone a una persona.

E nonostante siano 31 anni di matrimonio mi sembra di vederla per la prima volta. È sempre quella magnifica ragazza.


11 maggio 2008

Comunità

La parola ebraica che indica la 'comunità' ha al suo interno le lettere della parola 'futuro'.

Questo dà lo spunto ad alcune considerazioni che si possono applicare a tutte le comunità, non solo a quelle religiose o alle parrocchie.

Una comunità è tale quando è fatta da persone che condividono un progetto per il futuro. Senza questa volontà di avvenire non c'è comunità. Non è sufficiente stare bene insieme, perché la comunità non resisterà alla prova del tempo. Le persone col tempo cambiano, e colui che oggi è simpatico domani può diventare insopportabile. Se è solo la simpatia a tenerci insieme la comunità si sfascia.
È solo la tensione verso il domani, verso un avvenire condiviso, che ci fa superare le differenze individuali, le caratteristiche personali. Ma non solo ce le fa superare, ma ce le fa accogliere come un arricchimento per tutti, ci fa accogliere l'altro nella sua persona, nella sua diversità. Il suo essere diverso da me non rappresenta più una minaccia, ma una occasione di ricchezza e di crescita comune. L'altro diventa un dono. E io divento un dono per gli altri.


Pace e benedizione

08 maggio 2008

I diaconi (2)

Chi parla molto dei diaconi nei suoi scritti è Ignazio di Antiochia. In tutte le sue sette lettere scritte (qui potete trovare i testi di queste lettere, anche nella versione in greco)durante il viaggio a Roma per affrontare il martirio ne parla. Eccone un esempio:
"Non sono diaconi di cibi e di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio. Occorre che essi si guardino dalle accuse come dal fuoco. Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa." (Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Tralle)

Colpiscono due affermazioni "non sono diaconi di cibi e di bevande" e "senza di loro non c'è Chiesa". Queste due frasi sono indice che in pochi anni (Ignazio morì nel 107) la riflessione sulla Chiesa e sui ministeri si era molto sviluppata.

In tutte le sue lettere mette molto l'accento sull'importanza dei diaconi per la Chiesa. C'è da dire che comunque allora la situazione era molto diversa da quella attuale (dice anche che la Messa senza vescovo, presbiteri e diaconi non si può celebrare, cosa che al giorno d'oggi sarebbe impossibile), ma quello su cui insiste molto è lo stretto rapporto che ci deve essere tra il vescovo e i diaconi. È questo un punto che sulla carta è basilare ancora oggi (è sottolineato anche dal rito dell'ordinazione). In effetti Ignazio indica i diaconi, e non i presbiteri, come i più stretti collaboratori del vescovo.
Oggi la situazione è molto cambiata. Secoli di abbandono del diaconato permanente hanno contribuito a far si che il rapporto vescovo-diaconi non sia più quello descritto da Ignazio. Le situazioni sono diverse da diocesi a diocesi, in dipendenza anche dalla diversità individuale e caratteriale dei singoli vescovi, ma in genere si nota anche che nel corso degli anni il ruolo dei diaconi e il loro rapporto col vescovo è migliorato, sta diventando più profondo.

Comunque in tutti i documenti, anche i più recenti, sottolineano che il ripristino del diaconato permanente non viene fatto per sopperire in una qualche maniera al diminuire delle vocazioni presbiterali, ma trova la sua motivazione proprio in quelle parole di Ignazio che ho riportato sopra "senza di loro non c'è Chiesa"!

Mi rendo conto che queste righe non chiariscono cosa sia oggi il diacono, ma voglio lasciare spazio ad altri post.

Pace e benedizione

03 maggio 2008

I diaconi

Innanzi tutto una premessa: queste proposte sono solo miei idee e miei riflessioni personali.

Ma veniamo all'argomento del post.

L'istituzione dei diaconi viene da questo passo del libro degli Atti degli Apostoli (6, 1-6):

"In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani."

Ad una prima lettura ai diaconi è riservato "il servizio delle mense", che normalmente si intende come il servizio della carità attiva verso i più bisognosi e i meno abbienti.
Io penso che questo della carità debba essere il cuore dell'essere 'diacono' (anche se in realtà è il cuore dell'essere cristiano tout-court), ma che il compito del diacono non deve e non può essere limitato a questo.
L'istituzione dei diaconi nasce da una situazione di disagio che ha portato ad una divisione. Come detto chiaramente i diaconi vengono istituiti per riportare l'unità in una comunità divisa. E d'altra parte nei versetti subito seguenti a questi proposti si narra proprio di Stefano che dibatte questioni teologiche e dottrinali, e nel cap. 8 c'è la storia di Filippo che va a predicare in Samaria.
Quindi fin da subito dopo la loro istituzione, i diaconi non si sono limitati a fare opere di carità nel senso comunemente inteso, ma hanno anche predicato e testimoniato con la vita (che in fondo sono pure esse stesse opere di carità).
Per concludere questa prima riflessione quindi direi che il servizio dei diaconi dev'essere un servizio di unità svolto nella carità.

Alle prossime puntate.
Pace e benedizione.

28 aprile 2008

Per tutte le donne

A tutte le "Marie" che

aspettano un lui che non ha detto quando tornerà
sperano che lui almeno una volta le torni a guardare come un tempo
tremano per un figlio che cresce
soffrono in un letto d'ospedale
non trovano un lavoro per il solo fatto di essere donne




Pace e benedizione

27 aprile 2008

Bambini e bambine

Oggi nella nostra parrocchia un gruppo di 41 bambini ha fatto la Prima Comunione.
Prima della Messa ero con loro in attesa del parroco, cercavo di tenerli un po' buoni, di placare il comprensibile nervosismo, di aiutare le catechiste a mettere a posto gli ultimi dettagli.
Ad un certo punto mi avvicino a due bambine e queste mi dicono, con aria scandalizzata: "Questi ragazzi! Almeno oggi potevano mettersi, che so .... un paio di mocassini! E invece guardali, tutti in scarpe da ginnastica!!!!!"
Non so come sono riuscito a rimanere serio.
E poi questo pomeriggio, prima di uscire a fare quattro passi con mia moglie, ero li che mi allacciavo le scarpe e avevo davanti agli occhi quelle di uno dei miei figli: erano tutte da ginnastica!!! E allora mi sono ricordato della mattina e sono esploso in una risata irrefrenabile.
Comunque è proprio vero che fino ad una certa età bambini e bambine sono due mondi completamente alieni l'uno all'altro.
Pace e benedizione

25 aprile 2008

La verità

Sto rileggendo un bel libro: un commento ebraico al decalogo. Nella prefazione (scritta da un cattolico) trovo queste belle parole sulla verità:

"Gregorio Magno usa una celebre frase:"La Scrittura cresce con chi la legge". La ricerca della verità, la sua pienezza colta nella Parola di Dio non deve farci mai dimenticare che le nostre parole sono sempre penultime. La "verità" è disseminata perché la si possa cercare lontano da rigidi steccati. La verità è un ponte gettato nel frammento della storia, delle nostre storie. La pienezza della verità che i cristiani proclamano attraverso il mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo non viene messa in discussione da chi ci propone una ricerca diversa.
I ponti sono strutture gettate tra sponde diverse perché ci si possa incontrare."

Pace e benedizione

P.S.: per chi fosse interessato ecco gli estremi del libro:
Marc-Alain Ouaknin
Le dieci parole
Paoline

Una persona importante

Sono ormai 20 anni da quando te ne sei andato, caro C., ma il tuo ricordo è ancora vivo. Eri una persona con tanti difetti, ma con una qualità che li sovrastava tutti, e di molto: un cuore enorme.

Ricordo ancora come fosse ieri il giorno in cui ci siamo conosciuti, il nostro guardarci, scrutarci di sottecchi con un misto di timore e di ironia. Poi nel corso degli anni ho imparato a conoscerti, a apprezzare la tua generosità, il tuo prenderti a cuore fino in fondo le persone, anche se viverti vicino non sempre era facile.

E poi un giorno te ne sei andato, lasciando un vuoto in tutte le persone che ti hanno amato.

In questi giorni di ricordi, vorrei dedicarti questa canzone, che tante volte abbiamo cantato dopo uno di quei pasti che organizzavi così bene, che erano una festa. Mi hai insegnato ad amarla, e da allora non riesco più ad ascoltarla senza pensare a te e senza sentire la tua mancanza, ma anche la tua presenza. La Callas la canta meglio di noi, ma nessuno riuscirà mai a metterci dentro quello che ci mettevi tu.



Arrivederci, "Vecchia zimarra".