27 marzo 2025

Un Padre troppo buono - 30/3/2025 - IV Domenica Quaresima - Lætare

 
Il ritorno del figliol prodigo
Marc Chagall
Dipinto su tela - 1975

 
Alla fine del prologo al suo Vangelo, Giovanni ci spiega la missione di Gesù: "rivelarci il vero volto di Dio" (cfr. Gv 1, 18). Gesù ci rivela un Dio che è prima di ogni altra cosa un Padre. Ma non un padre arcigno, corrucciato, sempre pronto al giudizio, un padre-padrone insomma.
 
Quello che ci rivela Gesù nel brano di oggi è un Padre che è misericordia, comprensione e incoraggiamento. Un Padre che non aspetta il tuo pentimento per poi perdonarti, ma che col suo perdono spera che tu ti penta. E questo perché «questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»».
È un padre che non costringe ma ti libera, non pretende ma ti attende con infinita pazienza, non si offende ma ti corre incontro, non punisce ma ti abbraccia e bacia, ti restituisce la bellezza dell'abito nuovo, ti dona l'anello della signoria, fa festa per te e con te. Non condanna ma salva, non rinfaccia ma attende, ascolta e accoglie.
 
La conversione non è quindi una questione di volontà o un atto psicologico interiore. La conversione è soprattutto fare l'esperienza di chi è veramente Dio; è smettere di pensare a 'Dio giudice' e iniziare a pensare al 'Padre amoroso e misericordioso'. È iniziare a vivere questo Padre che abbraccia, che bacia e fa festa sempre per il figlio, per tutti i suoi figli, che è come una madre sempre disponibile perché completamente vulnerabile di fronte al figlio delle proprie viscere.
La vera conversione non parte né dal rimorso per il proprio peccato né dall'essere smascherati nella propria pseudo-giustizia, ma può essere solamente il frutto dello Spirito Santo nell'esperienza donata dal Figlio Gesù dell'amore misericordioso del Padre. Conversione non è guardare il proprio peccato, ma avere occhi solo per l'amore di Dio.
 
Però un Dio così non è facile da accettare. Siamo troppo spesso d'accordo col figlio maggiore; pensiamo che, se non ci fosse questa storia del Paradiso... In fondo il peccato sembra molto più divertente della virtù. Siamo talmente presi dal capretto che non abbiamo avuto il coraggio di chiedere, che non ci rendiamo conto che la gioia dell'amore del Padre è la festa più meravigliosa che ci sia, una festa che è di ogni istante di vita.
Un Dio che ci perdona in modo che possiamo renderci conto di aver sbagliato, ci spiazza, è totalmente al di fuori dei nostri schemi mentali.
Chi sa di aver sbagliato riesce ad accettare il perdono gratuito, ma chi si ritiene 'giusto' si scandalizza.
È molto difficile lasciarsi amare. È proprio vero, la conversione più difficile è quella dei 'buoni'.
 
 

 
Letture:
Giosuè 5,9-12
Salmo 33
2Corinti 5,17-21
Luca 15,1-3.11-32
 
 

20 marzo 2025

Dio ama per primo - 23/3/2025 - III Domenica Quaresima

 
... finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime

 
"Dov'è Dio?" è la domanda che, soprattutto di fronte al dolore innocente, ci sorge spontanea. E altrettanto forte è la tentazione di vedere le disgrazie come una punizione di Dio per le nostre colpe.
Gesù prende le difese sia di Dio che delle vittime di disgrazie: non è Dio che arma la mano di Pilato o che abbatte torri. Dio non aggiunge sangue a sangue, non ha colpe da punire.
Dio è lì, è certamente presente in ogni sofferenza. Ma non si frappone fra vittima e carnefice, viene crocifisso con la vittima; non spezza le lance degli uccisori, ne è trafitto insieme; non fa da scudo ai detriti che precipitano, ne viene travolto insieme.
Ne sono certo: Dio si coinvolge, sempre! Potente come l'amore. Impotente come l'amore. Perché può solo ciò che può l'amore. Dio sta nel riflesso più profondo delle lacrime. Si fa confine alle mie lacrime per mezzo della speranza, della risurrezione. Perché ogni istante Dio è crocifisso nei suoi figli sulle infinite croci della terra.
 
«Se non vi convertirete, perirete tutti» La gente va da Gesù a porgli problemi di altri ed è invece richiamata a guardarsi dentro. Nelle varie disgrazie, nei vari sconvolgimenti che succedono, noi leggiamo solo degli eventi storici, eventi di altri, e non un appello alla nostra conversione.
Dov'è Dio? No. La vera domanda risuona fin dall'inizio ed è l'accorato appello di Dio: «Adamo, dove sei?» (Gen 3,9). Se l'uomo non cambia, se non imbocca altre strade, se non si converte in costruttore di alleanza, di libertà, di rispetto per la terra e la vita, questo mondo andrà in rovina perché fondato sulla sabbia della violenza e dell'ingiustizia.
 
L'ultima parabola mostra Dio che viene nella pazienza di un contadino. "Forse l'anno prossimo porterà frutto" in questo 'forse' c'è il miracolo della fede di Dio in noi. Lui crede in me prima ancora che io dica sì. Il tempo di Dio è l'anticipo, il suo amore previene, la sua misericordia anticipa il mio pentimento, la pecora perduta è trovata e raccolta mentre è ancora lontana e non sta tornando, il padre abbraccia il figlio prodigo e lo perdona prima ancora che apra bocca.
L'infinito amore di Dio è anche la sua infinita pazienza. Perché l'amore ha bisogno della pazienza per non lasciar spegnere la fiamma. Un proverbio arabo dice che "il deserto fiorisce nella pazienza", e l'amore è un contadino capace di attendere.
 
 

 
Letture:
Esodo 3,1-8.13-15
Salmo 102
1Corinti 10,1-6.10-12
Luca 13,1-9
 
 

18 marzo 2025

"Bello Mondo" di Mariangela Gualtieri

 

Mariangela Gualtieri



Bello mondo

 

In quest'ora della sera
da questo punto del mondo

Ringraziare desidero il divino
labirinto delle cause e degli effetti
per la diversità delle creature
che compongono questo universo singolare
ringraziare desidero
per l'amore, che ti fa vedere gli altri
come li vede la divinità
per il pane e il sale
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede
per l'arte dell'amicizia
per l'ultima giornata di Socrate
per il linguaggio, che può simulare la sapienza
io ringraziare desidero
per il coraggio e la felicità degli altri
per la patria sentita nei gelsomini

 

e per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare
senza uno stupore antico

 

e per il mare
che è il più vicino e il più dolce
fra tutti gli Dèi
ringraziare desidero
perché sono tornate le lucciole
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati
per la bellezza delle parole
natura astratta di Dio
per la scrittura e la lettura
che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo

 

per la quiete della casa
per i bambini che sono
nostre divinità domestiche
per l'anima, perché se scende dal suo gradino
la terra muore
per il fatto di avere una sorella
ringraziare desidero per tutti quelli
che sono piccoli, limpidi e liberi
per l'antica arte del teatro, quando
ancora raduna i vivi e li nutre

 

per l'intelligenza d'amore
per il vino e il suo colore
per l'ozio con la sua attesa di niente
per la bellezza tanto antica e tanto nuova

 

io ringraziare desidero per le facce del mondo
che sono varie e molte sono adorabili
per quando la notte
si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati
per l'attenzione
che è la preghiera spontanea dell'anima
per tutte le biblioteche del mondo
per quello stare bene fra gli altri che leggono
per i nostri maestri immensi
per chi nei secoli ha ragionato in noi

 

per il bene dell'amicizia
quando si dicono cose stupide e care
per tutti i baci d'amore
per l'amore che rende impavidi
per la contentezza, l'entusiasmo, l'ebbrezza
per i morti nostri
che fanno della morte un luogo abitato.

 

Ringraziare desidero
perché su questa terra esiste la musica
per la mano destra e la mano sinistra
e il loro intimo accordo
per chi è indifferente alla notorietà
per i cani, per i gatti
esseri fraterni carichi di mistero
per i fiori
e la segreta vittoria che celebrano
per il silenzio e i suoi molti doni
per il silenzio che forse è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.

 

Io ringraziare desidero
per Borges
per Whitman e Francesco d'Assisi
per Hopkins, per Herbert
perché scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e non arriverà mai all'ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.
Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per gli intimi doni che non enumero
per il sonno e la morte
quei due tesori occulti.

 

E infine ringraziare desidero
per la gran potenza d'antico amor
per l'amor che se move il sole e l'altre stelle.
E muove tutto in noi.

 

Mariangela Gualtieri

 

13 marzo 2025

Dal deserto alla visione - 16/3/2025 - II Domenica Quaresima

Trasfigurazione (vetrata)
église de la Réconciliation - Taizé
(foto J.C.)

 
 
Continua il cammino quaresimale. Dal deserto passiamo alla visione. Dalla domenica del buio delle tentazioni a quella della luce sfolgorante.
In ognuno di noi c'è un seme di luce posto nel nostro intimo più profondo. E questo seme brama di schiudersi, di aprirsi al mondo. Siamo gravidi di luce, ma non solo noi, infatti «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22).
Ogni essere umano è come un'icona non ancora terminata, dipinta però su un fondo d'oro luminoso e prezioso, un cuore di luce: la somiglianza con Dio. Vivere non è altro che la fatica aspra e gioiosa allo stesso tempo, di liberare tutta la luminosità e la bellezza nascoste in noi.
Sul Tabor la forza della luce è tale da confondere Pietro che «non sapeva che cosa diceva». Però sul monte questa luce rimane esterna all'uomo.
 
Perché diventi forza interiore, ci sono da percorrere i due sentieri indicati dal brano.
 
«Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto». Gesù si trasfigura mentre prega. La preghiera ci trasforma, diventiamo ciò che guardiamo con gli occhi del cuore. L'uomo diventa ciò che ama, diventa ciò che prega. Così la preghiera inizia ad illuminare l'anima, per poi illuminare il volto dell'orante. "La luce del Tabor, scintilla impercettibile o fiume di fuoco, ci è ancora e sempre donata, nella Parola, nel Pane e nel vino, nell'amore" (Olivier Clément).
 
La seconda strada è un verbo, ed è il vertice del racconto: «Ascoltatelo». Ascoltarlo col cuore significa venire trasformati. La sua Parola guarisce, fa fiorire la vita, cambia il cuore, è luce nella nostra notte.
 
Spenta la luce della Trasfigurazione, resta Gesù solo, parola definitiva di Dio. Il Padre ha preso la parola per scomparire dietro la parola del Figlio: «ascoltate Lui».
La fede giudaico-cristiana è una religione dell'ascolto: sali sul monte per vedere, e sei rimandato all'ascolto; scendi dal monte, e ti rimane nella memoria l'eco dell'ultima parola: Ascoltatelo. La visione cede all'ascolto.
 
Il mistero di Dio, come quello dell'uomo, è ormai tutto in Gesù. Quel Volto di luce è il punto di arrivo, la meta definitiva del creato. Ma se adesso splende di luce, nell'ultima notte, sul monte degli ulivi, stillerà sangue. Sangue e luce sono inseparabili: la verità risplende non solo sulla montagna dell'estasi, ma nel cuore stesso delle sofferenze degli uomini, della loro morte.
La croce senza la trasfigurazione è cieca; la trasfigurazione senza la croce è vuota. Il cristianesimo è tenere insieme croce e pasqua in un Volto intriso di dolore e bagnato di luce.
Lacrime che scavano solchi di luce nel volto degli uomini e delle donne.
 
 

 
Letture:
Genesi 15,5-12.17-18
Salmo 26
Filippesi 3,17- 4,1
Luca 9,28-36
 
 

06 marzo 2025

Quaresima: dal deserto delle tentazioni al giardino della Resurrezione - 9/3/2025 - I Domenica Quaresima

 
Le tentazioni di Gesù nel deserto
mosaico (XIII secolo)
Basilica di San Marco, Venezia

 
Inizia la Quaresima, cammino che va dal deserto di pietre e tentazioni al giardino del sepolcro vuoto, fresco e risplendente nell'alba della Resurrezione. Quindi un cammino verso la vita più piena. Dalle ceneri sul capo alla luce che «fa risplendere la vita» (cfr. 2Tm 1,10).
Il deserto e il giardino sono luoghi biblici che contengono un progetto di salvezza integrale che avvolgerà e trasfigurerà ogni cosa esistente, l'umanità e tutte le creature.
La Quaresima non è solamente un percorso di penitenza, è soprattutto un cammino di riconciliazione e comunione; non di sacrifici ma di germogli. L'uomo non è solamente polvere o cenere, ma è figlio di Dio e simile a un angelo (cfr. Eb 2,7) e la cenere posta sul capo non è segno di tristezza ma di nuovo inizio. Siamo invitati alla ripartenza sempre e comunque, anche incominciando dal quasi niente di un pizzico di cenere tra i capelli.
 
Le tentazioni nel deserto sono la prova cui è sottoposto il progetto di Gesù sul mondo e l'uomo, il suo modello di Messia, inedito e stravolgente, e il suo stesso modo di essere Dio. Ma sono anche le tentazioni di sempre di ogni essere umano. C'è un crescendo nelle tre prove: vanno da me, agli altri, a Dio.
 
La prima tentazione: pietre o pane? Una piccola alternativa che Gesù fa saltare. Siamo fatti per cose più grandi; il pane è buono, è nel Padre Nostro, è indispensabile, ma più importanti ancora sono altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni. È l'invito a non accontentarsi, a non ridurre i nostri sogni a denaro o ad oggetti.
 
Poi il tentatore alza la posta. È come se il diavolo dicesse a Gesù: Vuoi cambiare il mondo? Allora usa il potere, la forza, occupa i posti chiave. Sei un illuso se pensi di salvare il mondo con niente, con l'amore, addirittura con la croce! Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane e divertimento, allora ti seguiranno!
Ma Gesù vuole liberare l'uomo, non impossessarsene. Lui sa che il potere non ha mai liberato nessuno. Dio non cerca schiavi ossequienti e osannanti, ma figli che siano liberi, generosi e amanti. Il male del mondo non sarà vinto da altro male, ma dal silenzioso e nascosto lavorio di cuori buoni e giusti.
 
L'ultimo gradino demolisce la fede facendone l'imitazione: "Chiedi a Dio un miracolo". E ciò che sembra essere il massimo della fede, ne è invece la caricatura: non fiducia in Dio ma ricerca del proprio vantaggio, non amore di Dio ma amore di sé, fino alla sfida: Buttati e verranno gli angeli.
Gesù risponde che non verranno gli angeli, ma «la Parola opera in voi che credete» (1Ts 2,13). Dio interviene con il miracolo umile e tenace della sua Parola: lampada ai miei passi; pane alla mia fame; mutazione delle radici del cuore perché germoglino relazioni nuove con me stesso, con gli altri, con il creato e con Dio.
 
 

 
Letture:
Deuteronomio 26,4-10
Salmo 90
Romani 10,8-13
Luca 4,1-13
 
 

27 febbraio 2025

Coltivare il cuore - 2/3/2025 - VIII Domenica Tempo Ordinario

albero pieno di buoni frutti
(foto J.C.)

 
 
C'è differenza tra vedere e guardare. Vedere è cogliere qualcosa con la vista in maniera poco approfondita o involontaria. Guardare invece significa soffermare il proprio sguardo con maggiore attenzione. Chi vede, percepisce. Chi guarda, controlla, studia.
«Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello?» Troppo spesso noi non ci limitiamo a 'vedere' i difetti degli altri, ma osserviamo con attenzione, fissiamo lo sguardo sulle pagliuzze, cioè su sciocchezze, su piccole cose storte. Troppe volte non vediamo i tanti lati positivi di una persona perché siamo troppo occupati a scoprire i suoi difetti, i suoi punti deboli.
 
Gesù ci ricorda che il difetto più grande non è nell'altro, ma in noi, nei nostri occhi, nel nostro sguardo.
Gesù ci dice che lo sguardo di Dio è diverso: Dio guarda con sguardo benedicente.
«Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Il Dio biblico è un Dio felice, che non solo vede il bene, ma lo emana, perché ha un cuore di luce e il suo occhio buono è come una lampada che dove si posa diffonde luce e amore (Mt 6,22).
 
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo». La morale evangelica non è un'etica di perfezione, ma di semi sparsi con abbondanza, di frutti buoni, di mani e cuori aperti per abbracciare. Dio non cerca alberi senza difetti, con nessun ramo spezzato dalla bufera, contorto di fatica, bucato dal picchio o dall'insetto. Per Dio l'albero giunto a perfezione, non è quello senza difetti, ma quello piegato dal peso di tanti frutti gonfi di sole e di succhi buoni. Così, nell'ultimo giorno, che non è tribunale ma rivelazione della verità del nostro vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame altrui, senza pane spezzato, senza sorrisi, senza lacrime asciugate.
 
La vita piena è donare.
Guardiamo gli alberi: non crescono per sé stessi: alla quercia e al castagno,per riprodursi, basterebbe una ghianda, un riccio, ogni trent'anni. Invece ad ogni autunno offrono un mare di frutti, uno spreco di semi, un eccesso di raccolto. È vita a servizio della vita, degli uccelli del cielo, degli insetti affamati, degli esseri umani, della terra.
Anche la persona, per star bene, deve dare, è la legge della vita: deve farlo il figlio con la sua vitalità, il marito col suo amore, la moglie, la mamma con il suo bambino, l'anziano con i suoi ricordi.
"Ogni uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore". La nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, la passione per il bene possibile, per un sorriso possibile, una società dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore. Gesù porta a compimento la religione antica su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge, e poi la linea delle radici buone, del cuore. Cuore da coltivare come un Eden; da condividere come il pane; da custodire con ogni cura perché è la fonte della vita (Prov 4, 23).
 
 

 
Letture:
Siracide 27,5-8
Salmo 91
1 Corinzi 15,54-58
Luca 6,39-45
 
 

20 febbraio 2025

Amare i nostri nemici - 23/2/2025 - VII Domenica Tempo Ordinario


 

 
 
Ci sono brani del Vangelo che ti fanno capire quanto sei ancora lontano dall'essere realmente un cristiano. Tra tutti questi brani, per me quello di oggi è il più duro. Dopo avermi fatto volare alto la settimana scorsa con le Beatitudini, oggi non solo mi toglie la terra da sotto i piedi, ma mi taglia anche i fili del paracadute.
 
Gesù inizia con un 'voi' generico, così le esortazioni "amate, fate del bene, benedite, pregate", anche se abbastanza ostiche, risultano un po' sfuocate, mi lasciano quasi una fessura per cercare di sfuggirle, un alibi per delegare ad altri questi compiti.
Ma poi Gesù mi guarda negli occhi e passa al 'tu', non mi lascia scampo, è proprio a me che sono rivolte le sue parole. Sono io che devo "porgere l'altra guancia, non rifiutare, dare, non chiedere indietro".
E con questo mi toglie ogni via di fuga, ogni alibi.
Gesù mi chiede un amore concreto, fatto di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché non è vero amore se non c'è un fare.
Nell'equilibrio mondano del dare e dell'avere, Gesù introduce il disequilibrio divino: date senza limiti; amate perfino gli 'inamabili'. Fai tu il primo passo, perdonando, ricominciando, amando senza aspettare d'essere riamato. Fai come fa Dio.
 
Questo Vangelo rischia però di essere un supplizio, una tortura, un volontarismo per tentare cose impossibili. Nessuno può vivere questo Vangelo a colpi di volontà, neppure i più bravi tra noi. Lo si può fare solo attingendo alla sorgente: il cuore di Dio, la vita di Dio. Vita in cui radicarsi. Di cui lasciarsi riempire. Dio di cui essere figli.
 
Gesù non cerca eroi nel suo regno, ma semplici esseri umani. Infatti dice: "ciò che volete per voi, fatelo voi agli altri".
Io imparerò ciò che devo fare ascoltando il mio desiderio. E ciò che più desidero è questo: essere amato, che qualcuno mi benedica, che si preghi per me; desidero che si abbia fiducia in me e mi si perdoni; che mi si incoraggi, si abbia stima di ciò che ho di buono e si ritenga di poco conto ciò che ho di cattivo.
Questo desidero per me, questo cercherò di dare agli altri. Sarà il cammino della mia perfezione.
 
Il filosofo Nikolai Berdyaev scrisse: "All'inizio, Dio disse a Caino: Cosa hai fatto di tuo fratello Abele? Nell'ultimo giorno, dirà ad Abele: Cosa hai fatto di tuo fratello Caino?" Abele risorgerà non per la vendetta, ma per custodire Caino.
La terra sarà nuova quando le vittime si prenderanno cura dei carnefici. Fino a cambiarne il cuore. L'amore è 'ri-creatore'. Quando Abele si farà prossimo al suo uccisore, allora il Regno di Dio sarà davvero prossimo ad ogni cuore d'uomo.
 
 

 
Letture:
1 Samuele 26,2.7-9.12-13.22-23
Salmo 102
1 Corinzi 15,45-49
Lc 6,27-38
 
 

13 febbraio 2025

Chiamata alla felicità - 16/2/2025 - VI Domenica Tempo Ordinario

 
Il monte delle Beatitudini

 
Con il discorso delle Beatitudini, Gesù sviluppa l'annuncio che aveva fatto nella sinagoga di Nazareth. Adesso chiarisce che la "buona notizia" è rivolta soprattutto ai poveri e agli infelici, "che Dio ha un debole per i deboli" (padre Ermes Ronchi).
 
Gesù annuncia che il suo regno è un capovolgimento totale delle nostre aspettative, delle nostre prospettive. È un'inversione ad U della rotta attuale. La sua giustizia si manifesta ristabilendo l'equilibrio rotto dal nostro egoismo, le posizioni vengono rovesciate a favore dei deboli, degli esclusi, delle vittime, di tutti quelli che per la società non contano.
 
Questa nuova gerarchia non viene stabilita con un codice di leggi, ma viene proclamata con delle beatitudini. Il cristianesimo non è una religione del dovere, cioè di quelli che sono bravi, ma è una religione della chiamata alla felicità. Gesù ci dice «beati», mai "bravi".
La beatitudine della Bibbia non è mai un desiderio, un augurio, una promessa. È sempre una constatazione, un rallegrarsi, un felicitarsi da parte di Dio. I destinatari di questo annuncio sono già beati nel momento in cui Dio si rallegra, danza di gioia insieme a loro.
 
Gli affamati, gli afflitti e i perseguitati in fondo sono tutti dei poveri di qualcosa.
Ma Gesù non consacra la povertà come condizione per accogliere il regno di Dio. Pensare questo vuol dire legittimare l'ingiustizia e l'egoismo umano. Neppure dice che la povertà sia moralmente migliore della ricchezza. Il Regno rimane un libero dono del Padre, non conquista dell'uomo. Gesù ci dice: "Beati voi poveri perché Dio è stanco di vedervi soffrire, perché Dio ha deciso di mostrarvi che vi ama" (Jacques Dupont O.S.B.)
Le Beatitudini non ci chiedono di amare la povertà, ma di amare i poveri. L'ideale non è la povertà, ma l'amore. Amore che si deve esprimere nella condivisione, nel trasformare i beni in sacramento di fraternità.
 
E allora, in tutto questo amore, cosa significano quei 4 "guai"?
Dio non maledice, mai! Dio è incapace di augurare il male o di desiderarlo. Quei 'guai' non sono una minaccia, ma un avvertimento: se ti riempi di cose, se sazi tutti gli appetiti, se cerchi solo applausi e il consenso, non sarai mai felice.
I 'guai' sono un lamento, sono la sofferenza di Gesù per quelli che confondono superfluo con essenziale, che sono pieni di sé, che si aggrappano alle cose, e in loro non c'è spazio per l'eterno e per l'infinito, non hanno strade nel cuore. È come fossero già morti.
 
 

 
Letture:
Geremia 17,5-8
Salmo 1
1 Corinzi 15,12.16-20
Lc 6,17.20-26
 
 
PS: So che è Matteo che colloca le Beatitudini su di un monte, mentre Luca le pone in una valle, ma non ho trovato altre foto che non quelle del 'Monte delle Beatitudini'
 
 

06 febbraio 2025

Parole che riempiono la vita - 9/2/2025 - V Domenica Tempo Ordinario

 
Gesù sulla barca
Pedro Cervantes Gallardo - olio su tavola (1949)
chiesa di San Joaquín Garrucha, Almería (Spagna)

 
Nel brano di oggi ci sono due particolari minori che mi hanno fatto riflettere.
 
Il primo è: «lo pregò di scostarsi un poco da terra». Nel momento dello sconforto, dopo una notte passata a sfaticare senza nessun risultato, Gesù si avvicina con estrema delicatezza, non dà consigli, né cerca di minimizzare. Lui prega Pietro.
Mi tocca nel profondo questo Dio che nel momento dello sconforto, del fallimento, non si impone, non mi dice di pregarlo, ma è Lui che prega me! Davanti ai miei fallimenti, ai miei sbagli, ai miei peccati ricorrenti, Lui sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire, di affrontare nuovamente il mare, l'avventura della vita.
È questo il vero volto di Dio che Gesù è venuto a rivelarci. Gesù ci dice che Dio che non è corrucciato, pronto alla punizione per le nostre mancanze, fiscale nell'applicazione della legge. Ci annuncia che il Padre, nel momento dello sconforto, ci prega di "scostarci un poco da terra". Ci annuncia che Dio "sta alla porta e bussa" (Ap 3, 20) e attende che noi gli apriamo l'uscio del nostro cuore.
 
E questo mi porta alla seconda riflessione: «sulla tua parola getterò le reti». Le parole di Gesù sono parole che riempiono la vita, danno profondità a tutto ciò che penso e faccio; riempiono le reti di ciò che amo e la vita di futuro.
Sono parole che cercano di tirare fuori il meglio di me. Non parlano dei difetti e delle mancanze, ma danno nuove prospettive, nuove speranze.
E le nostre parole come sono? Per quanto mi riguarda, purtroppo devo ammettere che le mie sono spesso vuote, distratte. Ma a volte sono anche acide, piene di giudizio, condanna, astio.
Mi pare che più si sono sviluppati i mezzi di comunicazione, e meno comunichiamo. Negli ultimi anni poi, si usano sempre più parole di odio e sempre meno parole di pace. E questo non solo sui social, ma anche nella vita quotidiana, per strada, sul lavoro, tra le nazioni e i popoli.
 
È necessario ricollocare le nostre parole alla luce della Parola, lasciare che questa penetri nel nostro cuore, che ci spinga al largo. Solo così anche le nostre parole daranno nuove speranze, e la nostra vita avrà nuove consolazioni.
 
 

 
Letture:
Isaia 6,1-2.3-8
Salmo 137
1 Corinzi 15,1-11
Luca 5,1-11
 
 

30 gennaio 2025

Un incontro tra 'bambini' - 2/2/2025 - Festa della Presentazione del Signore

Presentazione di Gesù al Tempio (particolare)
Vittore Carpaccio - Pala d'altare (1510)
Gallerie dell'Accademia di Venezia

 
 
L'incontro che avviene nel Tempio è un incontro tra fanciulli. Lui è soltanto un Bambino di poche settimane e loro vengono indicati come vecchi: gli occhi di Simeone stanno quasi per spegnersi e Anna è una vedova «molto avanzata in età».
In realtà sono giovani, o meglio, sono riusciti a rimanere giovani.
 
Anche i loro nomi sono significativi: Anna vuol dire "grazia", e Simeone "Jahweh ha esaudito, ha ascoltato". La loro lunga vita è stata intessuta col filo dell'attesa e della speranza. Aspettare significa precisamente sperare: si è capaci di aspettare perché si spera, e la speranza si manifesta nella disposizione all'attesa. Quando uno non si aspetta più niente da nessuno, quando lascia esaurire la provvista di speranza, in quel momento stesso sulla sua vita cala il mantello della vecchiaia.
Più che accumulare esperienze e delusioni, Simeone e Anna hanno accumulato speranza, hanno avuto il coraggio dei propri sogni. Non hanno mai rinunciato alla follia dell'attesa di quell'incontro, al sogno di quel faccia a faccia. Sono rimasti 'creature di desiderio', non si sono lasciati schiacciare dall'abitudine. Gli anni, le solite cose, le solite persone, il solito lavoro, non hanno prosciugato la freschezza che era in loro; la successione monotona dei giorni non ha inaridito il loro cuore.
Ostinatamente, pazientemente, in un mondo vecchio, i loro occhi sono rimasti puntati verso l'avvenire. Dovevano tenersi pronti, non potevano mancare l'appuntamento decisivo, quello che costituiva la ragion d'essere di tutta la loro esistenza.
Ed ora, eccoli lì, al proprio posto, a fare da cerniera tra l'Antico e il Nuovo Testamento.
 
Così, nel Tempio, il Bambino è stato preso in braccio da un fanciullo di nome Simeone e da una ragazzina di nome Anna. Soltanto tra fanciulli ci si intende. Tutta la scena si svolge in un clima di giovinezza, di stupore, pur nell'ambiente austero e 'antico' del Tempio. La Madre stessa è una fanciulla. Dio si concede esclusivamente ai bambini. Il Regno che si inaugura è riservato a loro.
Nel Tempio, un gruppetto di persone ha rinunciato all'esperienza delle cose vecchie e si mostra totalmente disponibile ai tempi nuovi. Si sbarazza del già visto per aprirsi al nuovo. Sono creature che non si sono mai vergognate del loro sogno inaudito. E quel sogno non era altro che il progetto di Dio. Di quel Dio che è sempre 'nuovo' e che ama fare nuove tutte le cose e le persone.
 
«Lo Spirito che era su di lui, gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore». Simeone non poteva morire perché aveva ancora una cosa da vedere, la più importante. Gli mancava ancora un incontro, quello decisivo. Chissà quante persone aveva conosciuto. Eppure gli restava da vedere Uno ...
Lo Spirito gli aveva donato questa certezza, senza però rivelargli la data: i veri incontri, quelli che cambiano tutto nella vita, non stanno scritti sull'agenda.
Perciò Simeone vive di attesa, e quindi di speranza. Lui non guardava indietro, ma puntava i suoi occhi incerti verso il futuro. Quando uno si ritiene ormai arrivato, pensa di aver già visto tutto, diventa irrimediabilmente vecchio. Simeone, a dispetto degli anni, non perde la memoria. Lui conserva la memoria del futuro.
Nel suo caso, però, è il contenuto dell'attesa che dà un senso e determina la qualità della sua vita. Assume un significato nuovo l'invocazione:«Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90, 12).
Si tratta di contare 'verso qualcosa che verrà', non 'da qualcosa già successo'. A mano a mano si avvicina la scadenza, anche se lui non se ne avvede, Simeone diventa sempre più giovane. Dobbiamo imparare a contare non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che ci manca. Contare non quello che abbiamo conquistato, ma quello a cui non siamo ancora arrivati.
 
E poi c'è Anna, «molto avanzata in età». La sua figura emerge, riposante come un sorriso, come un raggio di sole che squarcia le nubi. Sopraggiunge «in quel momento», giusto in tempo per aprirsi alla meraviglia, per magnificare. Parla, senza essere una chiacchierona.
Non mugugni, ma la lode. Non rimpianti, ma la meraviglia. E anche racconta: «Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme». Anna si fa portatrice della notizia tanto attesa. È una evangelista, portatrice della lieta novella.
 
 

 
Letture:
Malachia 3,1-4
Salmo 23
Ebrei 2,14-18
Luca 2,22-40
 
 

23 gennaio 2025

Dio non pensa a sé, ma a noi - 26/1/2025 - III Domenica Tempo Ordinario

 
Gesù nella sinagoga di Nazareth
(miniatura)

 
Luca ci racconta l'inizio della vita pubblica di Gesù dopo le tentazioni nel deserto. E proprio per farci capire che il momento è di estrema importanza, lo fa con suspense, quasi al rallentatore: «Gesù arrotola il volume,... lo consegna,... si siede... Tutti gli occhi sono fissi su di lui». E a questo punto risuonano le prime parole ufficiali di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Oggi la parola di Isaia diventa carne, si chiudono i libri e si apre la vita. Non più parola scritta, ma respiro vivo, alito che non impone pesi o precetti, ma che dona libertà e pienezza di vita.
 
Nei versi di Isaia letti da Gesù tutta l'umanità viene descritta in quattro aggettivi: 'povera, prigioniera, cieca, oppressa'. Sono i quattro nomi dell'uomo. Adamo è diventato così: povero, prigioniero, cieco, oppresso. Per questo Dio diventa Adamo, per realizzare il progetto di Dio, per portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione.
La parola chiave del passo letto da Gesù è libertà-liberazione. Nella sua radice greca il termine indica movimento, energia che spinge in avanti, nave che salpa. "Io la vela, Dio il vento" (Norberto Bobbio). Nella sinagoga di Nazareth è l'umanità che si rialza, che riprende il flusso della corrente verso la gioia, la luce, la libertà. Non con la propria forza, ma con la forza del Cristo che viene dentro di noi come un lievito mite e possente che trasforma il nostro egoismo in altruismo, la durezza in tenerezza, la chiusura in accoglienza. Cristo dà un volto al nostro desiderio, al sogno d'amore custodito nel nostro cuore, e lo fa contro tutte le sconfitte, gli inganni, le delusioni.
 
Ma Gesù non si limita a questo, Lui spalanca il cielo e ci presenta uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l'anno di grazia del Signore». Un anno, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente, incondizionatamente buono. I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che la parola peccatori.
 
Una cosa commuove: Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l'uomo. Il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su un'umanità ribelle e la riconduce all'ubbidienza per essere servito, lodato, venerato. il Regno è una storia che non produce più poveri, prigionieri, oppressi; è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, con lo sguardo limpido, incamminato nel sole.
Un sublime capovolgimento. Dio dimentica sé stesso, ma si ricorda solo di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ma ama per primo, ama in perdita, ama anche senza contraccambio.
 
 

 
Letture:
Neemia 8,2-4.5-6.8-10
Salmo 18
1 Corinti 12,12-30
Luca 1,1-4; 4,14-21
 
 

16 gennaio 2025

La logica dell'amore - 19/1/2025 - II Domenica Tempo Ordinario

 
Festa di matrimonio
Marc Chagall
litografia, 1961

 
«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea». Nonostante tutte le situazioni tragiche che c'erano in Israele, e non solo là, Gesù comincia la sua missione ad una festa di nozze. Deve esserci qualcosa di molto importante, se proprio da questo segno vuole cominciare a compiere i suoi 'segni'. E questo qualcosa è che Dio viene come festa. È il volto nuovo di Dio.
A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse troppo le feste degli uomini. Troppo spesso dimentichiamo che nel dolore Dio ci accompagna, ma Lui non porta, non vuole il dolore. Lui benedice la vita!
Cana è un invito a godere dei momenti di gioia vera: un amore, un'amicizia, la nascita di un figlio, il ritrovarsi; ma anche i piccoli piaceri: un bicchiere di vino buono con gli amici, sentire il corpo sano, incantarsi davanti alla bellezza di un tramonto o di un quadro o di una musica ... In quei momenti c'è dentro il Signore.
Dio gode della gioia degli uomini, la approva, la apprezza, ne è coinvolto. Dio gioisce della mia gioia, come fa un padre con il figlio che ama. Cana ci dice che io sono la gioia di Dio, che io posso dare gioia a Dio.
 
Ma c'è un'altra cosa da notare: Gesù ha procurato del vino a chi, come fa notare il direttore del banchetto, ha «già bevuto molto». È un miracolo che non è all'insegna del necessario, ma del 'di più', oserei dire del superfluo.
Gesù proclama subito che è venuto per portare a tutti l'amore senza limiti del Padre, per festeggiare pienamente la riunificazione familiare tra Dio e tutti i suoi figli. È venuto per proclamare, e vivere, la gioia della festa, il banchetto nuziale del ritrovato amore tra l'umanità e Dio. E ci dà subito la prova che il Signore dona sempre il centuplo, Lui ci ripaga sempre "con una misura traboccante". Lui non ci dona quello che meritiamo (e per fortuna!), ma più di ciò che necessitiamo. È la logica dell'amore: ti amo, e quindi voglio che tu sia felice, voglio per te il massimo della felicità.
 
Il vino, in tutta la Bibbia, è simbolo dell'amore, della festa, dell'alleanza. Se viene a mancare, significa che la vecchia alleanza si trascina stancamente, si va esaurendo, e occorre qualcosa di nuovo, forse un nuovo volto di Dio.
Il vino che viene a mancare è anche esperienza quotidiana: la fede è dubbiosa, il cuore stanco, l'amore è così poco, così a rischio, così raro! Quante volte ci viene a mancare quel vino che dà qualità alla vita, un vino di gioia, di passione, di amicizia, di entusiasmo, di vitalità, di energia che rinfranca il cuore!
Cana ci suggerisce due cose per ritrovare quel vino.
Prima cosa: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Sono le ultime parole di Maria nel Vangelo. Prime e ultime sue parole rivolte a uomini. «Fate» il suo Vangelo. Non solo ascoltate e annunciate, ma «fate», rendetelo gesto e vita quotidiana. Fate e si riempiranno le anfore vuote della vita, perché più Vangelo vuol dire più vita.
Seconda cosa: «Riempirono le anfore fino all'orlo». Al Signore posso portare solamente della semplice acqua. E lui la vuole tutta, fino all'orlo. Ho solo un po' d'amore, forse stanco, forse senza luce. Non importa: quando le sei anfore della mia umanità, dura come la pietra e povera come l'acqua, saranno offerte a lui, colme fino all'orlo di tutto ciò che è umano e mio, sarà lui a trasformare questa povera acqua nel migliore dei vini, immeritato e senza misura.
 
Andare realmente a Cana significa incontrare il Padre di Gesù (e mio), il Dio magnifico e libero, attento alla gioia dei suoi figli più ancora che ai loro meriti e alla loro fedeltà.
 
 

 
Letture:
Isaia 62,1-5
Salmo 95
1 Corinti 12,4-11
Giovanni 2,1-11
 
 

09 gennaio 2025

Dio ti dice: sono felice di te! - 12/1/2025 - Battesimo del Signore

 
Battesimo di Gesù (particolare)
Giotto - affresco
Cappella degli Scrovegni (Padova)

 
Se leggiamo senza idee precostituite il brano di Luca ci accorgiamo che il Battesimo di Gesù è solo un inciso marginale. Il punto importante del racconto, anzi, i punti, sono altri.
 
Il primo è il cielo che si apre: «Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì». Il cielo si apre come una breccia nelle mura, come le braccia agli amici, all'amato o all'amata, ai figli. Il cielo si apre sotto l'urgenza dell'amore di Dio, un amore così grande e prorompente da squarciare persino il cielo, e nessuno lo rinchiuderà mai più.
 
Il secondo punto è «discese sopra di lui lo Spirito Santo».
'Spirito' è soffio che genera vita,dal primo respiro di Dio che accese la fiamma della vita nel grumo di argilla che è Adamo, ma ancora prima, quando «aleggiava sulle acque» (Gen 1, 2) covando l'origine della vita. 'Santo' significa sostanzialmente di Dio. Quindi «scese lo Spirito Santo» si può tradurre così: "Scese la vita di Dio", soffio di primavera, alito che ravviva la fiamma smorta, che raddrizza la canna piegata.
 
E infine la voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento». Quella voce, al Giordano, proclama a Gesù tre cose che ripete anche ad ogni nostro battesimo.
"Figlio" è la prima: Dio è forza di generazione, e come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo. Abbiamo Dio nel nostro sangue, nel nostro DNA.
"Amato": prima che tu sia, prima di ogni merito e al di là di ogni demerito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio il tuo nome per Dio è 'amato'. "Tu ci hai amati per primo, o Dio, e noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera Tu ci ami per primo" (Søren Kierkegaard).
"Mio compiacimento" è la terza parola, e contiene l'idea di gioia, è come se Dio dicesse: 'figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice'. Si realizza quello che Isaia aveva intuito, cioè l'esultanza di Dio per me, per te: «come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5)
 
Se ogni mattina potessimo ripensare questa scena e...
- vedere il cielo azzurro che si apre sopra di noi come un abbraccio;
- sentire il Padre che ci dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento;
- sentirci come un bambino che, anche se viene sollevato da terra, si abbandona felice e senza timore fra le braccia dei genitori;
questa sarebbe la più bella e più profonda esperienza quotidiana di fede.
 
 

 
Letture:
Isaia 40,1-5.9-11
Salmo 103
Tito 2,11-14;3,4-7
Luca 3,15-16.21-22
 
 

06 gennaio 2025

I doni dei Magi - 6/1/2025 Epifania del Signore

 
Adorazione dei Magi
particolare di bassorilievo (1457)
opera dei maestri Antelami
via degli Orefici 47 - Genova

 
Volevo condividere questo brano sul brano del Vangelo di oggi:
 
La fede non è ciò che doni, ma quello di fronte a cui pieghi le ginocchia. Sarebbe opportuno smetterla, almeno per qualche tempo, di cianciare e ricamare sui doni dei Magi.
Loro, prima di offrire doni, hanno fatto qualcos'altro: «si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono...» (Mt 2, 11). Inutile notare che il "poi" solitamente viene dopo. Che l'apertura dei forzieri viene dopo l'apertura del cuore, è la conseguenza di qualcos'altro, è il risultato di ciò che hanno visto adorando.
In realtà, soltanto attraverso l'adorazione tu riesci ad aprire gli occhi, riconoscere l'Unico Signore, e intuire così ciò che Lui vuole da te (che, magari, non ha niente a che vedere con quello che avevi pensato di darGli).
Se ti preoccupi principalmente dell'offerta, rischi di presentarla a un idolo, e non a Dio.
Fede è questione di ginocchia, prima che di mani.
Nel vero rapporto di fede, non è importante ciò che porti tu, ma quello che vai a ricevere.
Come se il Signore dicesse: Metti giù, per favore, la tua mercanzia, lascia lì tutta quella roba preziosa a cui tieni tanto. Presentami piuttosto le mani vuote.
Mettiti ben in testa: sei invitato a ricevere, più che a portare.
I Magi sono partiti per andare a ricevere.
Sorge spontanea una domanda: nel viaggio di ritorno erano alleggeriti o carichi?
Forse le due cose insieme.

 
d. Alessandro Pronzato
"Tu solo hai parole... - vol. III - Matteo"
Ed Gribaudi (pag. 32)
 
 

 
Letture:
Isaia 60,1-6
Salmo 71
Efesini 3,2-3.5-6
Matteo 2,1-12
 
 

02 gennaio 2025

Diventare figli di Dio - 5/1/2025 II Domenica dopo Natale

 
Basilica della Natività
Betlemme

 
L'inizio del Vangelo di Giovanni è una somma di teologia, filosofia e poesia tutte di altissimo livello. Penso che solamente un mistico riesca a coglierne fino in fondo la profondità e la bellezza. A me vengono in mente solo alcuni sprazzi che vorrei condividere.
 
Il brano inizia con le parole «In principio », sono le stesse parole con cui inizia la Genesi, il primo libro della Bibbia. Sembra quasi che l'evangelista ci voglia dire che l'Incarnazione è la nuova creazione. Dio, che fa nuove tutte le cose, ci dona nuove possibilità.
Dio non accetta la distanza che abbiamo posto tra Lui e noi, non si dà pace per la nostra fuga. E allora decide di venire in mezzo a noi come uno di noi. Lo fa per starci vicino, per aiutarci a rialzarci quando cadiamo, per consolarci e asciugare le nostre lacrime quando soffriamo, per rendere sempre più piena la nostra gioia e la nostra felicità. Lo fa per darci tutta la sua forza e tutto il suo amore per mezzo del suo Spirito.
 
Perché dopo il Natale di Gesù viene il nostro natale, che Giovanni spiega così: «A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio ». C'è tutto il Vangelo in questa frase: è per questo che è venuto, è stato crocifisso ed è risorto, perché gli uomini diventino figli di Dio. Ci troviamo proiettati nel centro luminoso di tutto ciò che è accaduto e che avverrà. C'è in noi non una semplice possibilità o un diritto, ma di più, un'energia, una forza: diventare figli di Dio.
 
In tutte le Scritture e in tutte le culture, figlio è colui che si comporta come il padre, che gli assomiglia e ne perpetua i gesti. Figlio di Dio è colui che assomiglia a Dio nei pensieri, nei sentimenti, nel pane dato, nel perdono sempre regalato. Diventare figli è una concretissima strada infinita.
Il vangelo è pieno di un piccolo avverbio che ci spiega con semplicità in che modo fare questo percorso: è l'avverbio 'come'. È una parola che non sta in piedi da sola, che rimanda ad altro: siate perfetti come il Padre, siate misericordiosi come il Padre, amatevi come io vi ho amato, la tua volontà in terra come in cielo. Come Cristo, come il Padre, come il cielo.
Si apre per noi un orizzonte infinito: non essere mai misura a te stesso, misurati con Dio e con il vangelo. Non ti realizzerai mai se non provi a realizzare Cristo. E tu hai questa infinita possibilità perché Dio stesso te la dona.
 
Ma Dio che cosa fa? Il Padre genera e comunica vita. Sei figlio di Dio quando solleciti negli altri le sorgenti della vita; quando ridesti luce e calore, quando generi pace, sai ridare speranza. Dio è amore; ma come è possibile anche solo assomigliargli? C'è in noi un potere, datoci a Natale, e prima ancora, addirittura "in principio", il Verbo è da sempre, sostanza di tutto il creato, segreto di ogni parola; nulla è stato fatto senza di lui, la luce è nel guscio di argilla del corpo di un neonato, la sua tenda in mezzo a noi.
 
La nascita di Gesù e la sua estrema povertà sono lo specchio di chi sei tu: poverissimo, lontanissimo da casa, irregolarissimo, inadeguatissimo.
L'Incarnazione è l'offerta che Dio ti fa, Lui il vicinissimo, l'innamoratissimo, Lui che fa pazzie per te.
La mangiatoia è la meta del viaggio per scoprire finalmente che anche tutte le tue miserie sono amate da Dio, per contemplare la sua presenza proprio là dove provi vergogna e imbarazzo.
Betlemme è il nuovo punto di partenza, ma questa volta si viaggia in due: Dio ti prende a braccetto e inizia a camminare con te. Per sempre.
 
 

 
Letture:
Siracide 24,1-4.12-16
Salmo 147
Efesini 1,3-6.15-18
Giovanni 1,1-5.9-14