20 febbraio 2025

Amare i nostri nemici - 23/2/2025 - VII Domenica Tempo Ordinario


 

 
 
Ci sono brani del Vangelo che ti fanno capire quanto sei ancora lontano dall'essere realmente un cristiano. Tra tutti questi brani, per me quello di oggi è il più duro. Dopo avermi fatto volare alto la settimana scorsa con le Beatitudini, oggi non solo mi toglie la terra da sotto i piedi, ma mi taglia anche i fili del paracadute.
 
Gesù inizia con un 'voi' generico, così le esortazioni "amate, fate del bene, benedite, pregate", anche se abbastanza ostiche, risultano un po' sfuocate, mi lasciano quasi una fessura per cercare di sfuggirle, un alibi per delegare ad altri questi compiti.
Ma poi Gesù mi guarda negli occhi e passa al 'tu', non mi lascia scampo, è proprio a me che sono rivolte le sue parole. Sono io che devo "porgere l'altra guancia, non rifiutare, dare, non chiedere indietro".
E con questo mi toglie ogni via di fuga, ogni alibi.
Gesù mi chiede un amore concreto, fatto di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché non è vero amore se non c'è un fare.
Nell'equilibrio mondano del dare e dell'avere, Gesù introduce il disequilibrio divino: date senza limiti; amate perfino gli 'inamabili'. Fai tu il primo passo, perdonando, ricominciando, amando senza aspettare d'essere riamato. Fai come fa Dio.
 
Questo Vangelo rischia però di essere un supplizio, una tortura, un volontarismo per tentare cose impossibili. Nessuno può vivere questo Vangelo a colpi di volontà, neppure i più bravi tra noi. Lo si può fare solo attingendo alla sorgente: il cuore di Dio, la vita di Dio. Vita in cui radicarsi. Di cui lasciarsi riempire. Dio di cui essere figli.
 
Gesù non cerca eroi nel suo regno, ma semplici esseri umani. Infatti dice: "ciò che volete per voi, fatelo voi agli altri".
Io imparerò ciò che devo fare ascoltando il mio desiderio. E ciò che più desidero è questo: essere amato, che qualcuno mi benedica, che si preghi per me; desidero che si abbia fiducia in me e mi si perdoni; che mi si incoraggi, si abbia stima di ciò che ho di buono e si ritenga di poco conto ciò che ho di cattivo.
Questo desidero per me, questo cercherò di dare agli altri. Sarà il cammino della mia perfezione.
 
Il filosofo Nikolai Berdyaev scrisse: "All'inizio, Dio disse a Caino: Cosa hai fatto di tuo fratello Abele? Nell'ultimo giorno, dirà ad Abele: Cosa hai fatto di tuo fratello Caino?" Abele risorgerà non per la vendetta, ma per custodire Caino.
La terra sarà nuova quando le vittime si prenderanno cura dei carnefici. Fino a cambiarne il cuore. L'amore è 'ri-creatore'. Quando Abele si farà prossimo al suo uccisore, allora il Regno di Dio sarà davvero prossimo ad ogni cuore d'uomo.
 
 

 
Letture:
1 Samuele 26,2.7-9.12-13.22-23
Salmo 102
1 Corinzi 15,45-49
Lc 6,27-38
 
 

13 febbraio 2025

Chiamata alla felicità - 16/2/2025 - VI Domenica Tempo Ordinario

 
Il monte delle Beatitudini

 
Con il discorso delle Beatitudini, Gesù sviluppa l'annuncio che aveva fatto nella sinagoga di Nazareth. Adesso chiarisce che la "buona notizia" è rivolta soprattutto ai poveri e agli infelici, "che Dio ha un debole per i deboli" (padre Ermes Ronchi).
 
Gesù annuncia che il suo regno è un capovolgimento totale delle nostre aspettative, delle nostre prospettive. È un'inversione ad U della rotta attuale. La sua giustizia si manifesta ristabilendo l'equilibrio rotto dal nostro egoismo, le posizioni vengono rovesciate a favore dei deboli, degli esclusi, delle vittime, di tutti quelli che per la società non contano.
 
Questa nuova gerarchia non viene stabilita con un codice di leggi, ma viene proclamata con delle beatitudini. Il cristianesimo non è una religione del dovere, cioè di quelli che sono bravi, ma è una religione della chiamata alla felicità. Gesù ci dice «beati», mai "bravi".
La beatitudine della Bibbia non è mai un desiderio, un augurio, una promessa. È sempre una constatazione, un rallegrarsi, un felicitarsi da parte di Dio. I destinatari di questo annuncio sono già beati nel momento in cui Dio si rallegra, danza di gioia insieme a loro.
 
Gli affamati, gli afflitti e i perseguitati in fondo sono tutti dei poveri di qualcosa.
Ma Gesù non consacra la povertà come condizione per accogliere il regno di Dio. Pensare questo vuol dire legittimare l'ingiustizia e l'egoismo umano. Neppure dice che la povertà sia moralmente migliore della ricchezza. Il Regno rimane un libero dono del Padre, non conquista dell'uomo. Gesù ci dice: "Beati voi poveri perché Dio è stanco di vedervi soffrire, perché Dio ha deciso di mostrarvi che vi ama" (Jacques Dupont O.S.B.)
Le Beatitudini non ci chiedono di amare la povertà, ma di amare i poveri. L'ideale non è la povertà, ma l'amore. Amore che si deve esprimere nella condivisione, nel trasformare i beni in sacramento di fraternità.
 
E allora, in tutto questo amore, cosa significano quei 4 "guai"?
Dio non maledice, mai! Dio è incapace di augurare il male o di desiderarlo. Quei 'guai' non sono una minaccia, ma un avvertimento: se ti riempi di cose, se sazi tutti gli appetiti, se cerchi solo applausi e il consenso, non sarai mai felice.
I 'guai' sono un lamento, sono la sofferenza di Gesù per quelli che confondono superfluo con essenziale, che sono pieni di sé, che si aggrappano alle cose, e in loro non c'è spazio per l'eterno e per l'infinito, non hanno strade nel cuore. È come fossero già morti.
 
 

 
Letture:
Geremia 17,5-8
Salmo 1
1 Corinzi 15,12.16-20
Lc 6,17.20-26
 
 
PS: So che è Matteo che colloca le Beatitudini su di un monte, mentre Luca le pone in una valle, ma non ho trovato altre foto che non quelle del 'Monte delle Beatitudini'
 
 

06 febbraio 2025

Parole che riempiono la vita - 9/2/2025 - V Domenica Tempo Ordinario

 
Gesù sulla barca
Pedro Cervantes Gallardo - olio su tavola (1949)
chiesa di San Joaquín Garrucha, Almería (Spagna)

 
Nel brano di oggi ci sono due particolari minori che mi hanno fatto riflettere.
 
Il primo è: «lo pregò di scostarsi un poco da terra». Nel momento dello sconforto, dopo una notte passata a sfaticare senza nessun risultato, Gesù si avvicina con estrema delicatezza, non dà consigli, né cerca di minimizzare. Lui prega Pietro.
Mi tocca nel profondo questo Dio che nel momento dello sconforto, del fallimento, non si impone, non mi dice di pregarlo, ma è Lui che prega me! Davanti ai miei fallimenti, ai miei sbagli, ai miei peccati ricorrenti, Lui sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire, di affrontare nuovamente il mare, l'avventura della vita.
È questo il vero volto di Dio che Gesù è venuto a rivelarci. Gesù ci dice che Dio che non è corrucciato, pronto alla punizione per le nostre mancanze, fiscale nell'applicazione della legge. Ci annuncia che il Padre, nel momento dello sconforto, ci prega di "scostarci un poco da terra". Ci annuncia che Dio "sta alla porta e bussa" (Ap 3, 20) e attende che noi gli apriamo l'uscio del nostro cuore.
 
E questo mi porta alla seconda riflessione: «sulla tua parola getterò le reti». Le parole di Gesù sono parole che riempiono la vita, danno profondità a tutto ciò che penso e faccio; riempiono le reti di ciò che amo e la vita di futuro.
Sono parole che cercano di tirare fuori il meglio di me. Non parlano dei difetti e delle mancanze, ma danno nuove prospettive, nuove speranze.
E le nostre parole come sono? Per quanto mi riguarda, purtroppo devo ammettere che le mie sono spesso vuote, distratte. Ma a volte sono anche acide, piene di giudizio, condanna, astio.
Mi pare che più si sono sviluppati i mezzi di comunicazione, e meno comunichiamo. Negli ultimi anni poi, si usano sempre più parole di odio e sempre meno parole di pace. E questo non solo sui social, ma anche nella vita quotidiana, per strada, sul lavoro, tra le nazioni e i popoli.
 
È necessario ricollocare le nostre parole alla luce della Parola, lasciare che questa penetri nel nostro cuore, che ci spinga al largo. Solo così anche le nostre parole daranno nuove speranze, e la nostra vita avrà nuove consolazioni.
 
 

 
Letture:
Isaia 6,1-2.3-8
Salmo 137
1 Corinzi 15,1-11
Luca 5,1-11
 
 

30 gennaio 2025

Un incontro tra 'bambini' - 2/2/2025 - Festa della Presentazione del Signore

Presentazione di Gesù al Tempio (particolare)
Vittore Carpaccio - Pala d'altare (1510)
Gallerie dell'Accademia di Venezia

 
 
L'incontro che avviene nel Tempio è un incontro tra fanciulli. Lui è soltanto un Bambino di poche settimane e loro vengono indicati come vecchi: gli occhi di Simeone stanno quasi per spegnersi e Anna è una vedova «molto avanzata in età».
In realtà sono giovani, o meglio, sono riusciti a rimanere giovani.
 
Anche i loro nomi sono significativi: Anna vuol dire "grazia", e Simeone "Jahweh ha esaudito, ha ascoltato". La loro lunga vita è stata intessuta col filo dell'attesa e della speranza. Aspettare significa precisamente sperare: si è capaci di aspettare perché si spera, e la speranza si manifesta nella disposizione all'attesa. Quando uno non si aspetta più niente da nessuno, quando lascia esaurire la provvista di speranza, in quel momento stesso sulla sua vita cala il mantello della vecchiaia.
Più che accumulare esperienze e delusioni, Simeone e Anna hanno accumulato speranza, hanno avuto il coraggio dei propri sogni. Non hanno mai rinunciato alla follia dell'attesa di quell'incontro, al sogno di quel faccia a faccia. Sono rimasti 'creature di desiderio', non si sono lasciati schiacciare dall'abitudine. Gli anni, le solite cose, le solite persone, il solito lavoro, non hanno prosciugato la freschezza che era in loro; la successione monotona dei giorni non ha inaridito il loro cuore.
Ostinatamente, pazientemente, in un mondo vecchio, i loro occhi sono rimasti puntati verso l'avvenire. Dovevano tenersi pronti, non potevano mancare l'appuntamento decisivo, quello che costituiva la ragion d'essere di tutta la loro esistenza.
Ed ora, eccoli lì, al proprio posto, a fare da cerniera tra l'Antico e il Nuovo Testamento.
 
Così, nel Tempio, il Bambino è stato preso in braccio da un fanciullo di nome Simeone e da una ragazzina di nome Anna. Soltanto tra fanciulli ci si intende. Tutta la scena si svolge in un clima di giovinezza, di stupore, pur nell'ambiente austero e 'antico' del Tempio. La Madre stessa è una fanciulla. Dio si concede esclusivamente ai bambini. Il Regno che si inaugura è riservato a loro.
Nel Tempio, un gruppetto di persone ha rinunciato all'esperienza delle cose vecchie e si mostra totalmente disponibile ai tempi nuovi. Si sbarazza del già visto per aprirsi al nuovo. Sono creature che non si sono mai vergognate del loro sogno inaudito. E quel sogno non era altro che il progetto di Dio. Di quel Dio che è sempre 'nuovo' e che ama fare nuove tutte le cose e le persone.
 
«Lo Spirito che era su di lui, gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore». Simeone non poteva morire perché aveva ancora una cosa da vedere, la più importante. Gli mancava ancora un incontro, quello decisivo. Chissà quante persone aveva conosciuto. Eppure gli restava da vedere Uno ...
Lo Spirito gli aveva donato questa certezza, senza però rivelargli la data: i veri incontri, quelli che cambiano tutto nella vita, non stanno scritti sull'agenda.
Perciò Simeone vive di attesa, e quindi di speranza. Lui non guardava indietro, ma puntava i suoi occhi incerti verso il futuro. Quando uno si ritiene ormai arrivato, pensa di aver già visto tutto, diventa irrimediabilmente vecchio. Simeone, a dispetto degli anni, non perde la memoria. Lui conserva la memoria del futuro.
Nel suo caso, però, è il contenuto dell'attesa che dà un senso e determina la qualità della sua vita. Assume un significato nuovo l'invocazione:«Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90, 12).
Si tratta di contare 'verso qualcosa che verrà', non 'da qualcosa già successo'. A mano a mano si avvicina la scadenza, anche se lui non se ne avvede, Simeone diventa sempre più giovane. Dobbiamo imparare a contare non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che ci manca. Contare non quello che abbiamo conquistato, ma quello a cui non siamo ancora arrivati.
 
E poi c'è Anna, «molto avanzata in età». La sua figura emerge, riposante come un sorriso, come un raggio di sole che squarcia le nubi. Sopraggiunge «in quel momento», giusto in tempo per aprirsi alla meraviglia, per magnificare. Parla, senza essere una chiacchierona.
Non mugugni, ma la lode. Non rimpianti, ma la meraviglia. E anche racconta: «Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme». Anna si fa portatrice della notizia tanto attesa. È una evangelista, portatrice della lieta novella.
 
 

 
Letture:
Malachia 3,1-4
Salmo 23
Ebrei 2,14-18
Luca 2,22-40
 
 

23 gennaio 2025

Dio non pensa a sé, ma a noi - 26/1/2025 - III Domenica Tempo Ordinario

 
Gesù nella sinagoga di Nazareth
(miniatura)

 
Luca ci racconta l'inizio della vita pubblica di Gesù dopo le tentazioni nel deserto. E proprio per farci capire che il momento è di estrema importanza, lo fa con suspense, quasi al rallentatore: «Gesù arrotola il volume,... lo consegna,... si siede... Tutti gli occhi sono fissi su di lui». E a questo punto risuonano le prime parole ufficiali di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Oggi la parola di Isaia diventa carne, si chiudono i libri e si apre la vita. Non più parola scritta, ma respiro vivo, alito che non impone pesi o precetti, ma che dona libertà e pienezza di vita.
 
Nei versi di Isaia letti da Gesù tutta l'umanità viene descritta in quattro aggettivi: 'povera, prigioniera, cieca, oppressa'. Sono i quattro nomi dell'uomo. Adamo è diventato così: povero, prigioniero, cieco, oppresso. Per questo Dio diventa Adamo, per realizzare il progetto di Dio, per portare gioia, libertà, occhi nuovi, liberazione.
La parola chiave del passo letto da Gesù è libertà-liberazione. Nella sua radice greca il termine indica movimento, energia che spinge in avanti, nave che salpa. "Io la vela, Dio il vento" (Norberto Bobbio). Nella sinagoga di Nazareth è l'umanità che si rialza, che riprende il flusso della corrente verso la gioia, la luce, la libertà. Non con la propria forza, ma con la forza del Cristo che viene dentro di noi come un lievito mite e possente che trasforma il nostro egoismo in altruismo, la durezza in tenerezza, la chiusura in accoglienza. Cristo dà un volto al nostro desiderio, al sogno d'amore custodito nel nostro cuore, e lo fa contro tutte le sconfitte, gli inganni, le delusioni.
 
Ma Gesù non si limita a questo, Lui spalanca il cielo e ci presenta uno dei tratti più belli del volto di Dio: «proclamare l'anno di grazia del Signore». Un anno, una storia intera fatta solo di benevolenza, perché Dio non solo è buono, ma esclusivamente, incondizionatamente buono. I primi destinatari sono i poveri. Sono loro i principi del Regno, e Dio sta alla loro ombra: nel Vangelo ricorre più spesso la parola poveri, che la parola peccatori.
 
Una cosa commuove: Dio non mette come scopo della storia se stesso, ma l'uomo. Il Regno che Gesù annuncia non è un Dio che riprende il potere su un'umanità ribelle e la riconduce all'ubbidienza per essere servito, lodato, venerato. il Regno è una storia che non produce più poveri, prigionieri, oppressi; è un uomo gioioso, libero da maschere e da paure, con lo sguardo limpido, incamminato nel sole.
Un sublime capovolgimento. Dio dimentica sé stesso, ma si ricorda solo di noi: non offre libertà in cambio di ossequio, ma ama per primo, ama in perdita, ama anche senza contraccambio.
 
 

 
Letture:
Neemia 8,2-4.5-6.8-10
Salmo 18
1 Corinti 12,12-30
Luca 1,1-4; 4,14-21
 
 

16 gennaio 2025

La logica dell'amore - 19/1/2025 - II Domenica Tempo Ordinario

 
Festa di matrimonio
Marc Chagall
litografia, 1961

 
«Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea». Nonostante tutte le situazioni tragiche che c'erano in Israele, e non solo là, Gesù comincia la sua missione ad una festa di nozze. Deve esserci qualcosa di molto importante, se proprio da questo segno vuole cominciare a compiere i suoi 'segni'. E questo qualcosa è che Dio viene come festa. È il volto nuovo di Dio.
A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse troppo le feste degli uomini. Troppo spesso dimentichiamo che nel dolore Dio ci accompagna, ma Lui non porta, non vuole il dolore. Lui benedice la vita!
Cana è un invito a godere dei momenti di gioia vera: un amore, un'amicizia, la nascita di un figlio, il ritrovarsi; ma anche i piccoli piaceri: un bicchiere di vino buono con gli amici, sentire il corpo sano, incantarsi davanti alla bellezza di un tramonto o di un quadro o di una musica ... In quei momenti c'è dentro il Signore.
Dio gode della gioia degli uomini, la approva, la apprezza, ne è coinvolto. Dio gioisce della mia gioia, come fa un padre con il figlio che ama. Cana ci dice che io sono la gioia di Dio, che io posso dare gioia a Dio.
 
Ma c'è un'altra cosa da notare: Gesù ha procurato del vino a chi, come fa notare il direttore del banchetto, ha «già bevuto molto». È un miracolo che non è all'insegna del necessario, ma del 'di più', oserei dire del superfluo.
Gesù proclama subito che è venuto per portare a tutti l'amore senza limiti del Padre, per festeggiare pienamente la riunificazione familiare tra Dio e tutti i suoi figli. È venuto per proclamare, e vivere, la gioia della festa, il banchetto nuziale del ritrovato amore tra l'umanità e Dio. E ci dà subito la prova che il Signore dona sempre il centuplo, Lui ci ripaga sempre "con una misura traboccante". Lui non ci dona quello che meritiamo (e per fortuna!), ma più di ciò che necessitiamo. È la logica dell'amore: ti amo, e quindi voglio che tu sia felice, voglio per te il massimo della felicità.
 
Il vino, in tutta la Bibbia, è simbolo dell'amore, della festa, dell'alleanza. Se viene a mancare, significa che la vecchia alleanza si trascina stancamente, si va esaurendo, e occorre qualcosa di nuovo, forse un nuovo volto di Dio.
Il vino che viene a mancare è anche esperienza quotidiana: la fede è dubbiosa, il cuore stanco, l'amore è così poco, così a rischio, così raro! Quante volte ci viene a mancare quel vino che dà qualità alla vita, un vino di gioia, di passione, di amicizia, di entusiasmo, di vitalità, di energia che rinfranca il cuore!
Cana ci suggerisce due cose per ritrovare quel vino.
Prima cosa: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Sono le ultime parole di Maria nel Vangelo. Prime e ultime sue parole rivolte a uomini. «Fate» il suo Vangelo. Non solo ascoltate e annunciate, ma «fate», rendetelo gesto e vita quotidiana. Fate e si riempiranno le anfore vuote della vita, perché più Vangelo vuol dire più vita.
Seconda cosa: «Riempirono le anfore fino all'orlo». Al Signore posso portare solamente della semplice acqua. E lui la vuole tutta, fino all'orlo. Ho solo un po' d'amore, forse stanco, forse senza luce. Non importa: quando le sei anfore della mia umanità, dura come la pietra e povera come l'acqua, saranno offerte a lui, colme fino all'orlo di tutto ciò che è umano e mio, sarà lui a trasformare questa povera acqua nel migliore dei vini, immeritato e senza misura.
 
Andare realmente a Cana significa incontrare il Padre di Gesù (e mio), il Dio magnifico e libero, attento alla gioia dei suoi figli più ancora che ai loro meriti e alla loro fedeltà.
 
 

 
Letture:
Isaia 62,1-5
Salmo 95
1 Corinti 12,4-11
Giovanni 2,1-11
 
 

09 gennaio 2025

Dio ti dice: sono felice di te! - 12/1/2025 - Battesimo del Signore

 
Battesimo di Gesù (particolare)
Giotto - affresco
Cappella degli Scrovegni (Padova)

 
Se leggiamo senza idee precostituite il brano di Luca ci accorgiamo che il Battesimo di Gesù è solo un inciso marginale. Il punto importante del racconto, anzi, i punti, sono altri.
 
Il primo è il cielo che si apre: «Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì». Il cielo si apre come una breccia nelle mura, come le braccia agli amici, all'amato o all'amata, ai figli. Il cielo si apre sotto l'urgenza dell'amore di Dio, un amore così grande e prorompente da squarciare persino il cielo, e nessuno lo rinchiuderà mai più.
 
Il secondo punto è «discese sopra di lui lo Spirito Santo».
'Spirito' è soffio che genera vita,dal primo respiro di Dio che accese la fiamma della vita nel grumo di argilla che è Adamo, ma ancora prima, quando «aleggiava sulle acque» (Gen 1, 2) covando l'origine della vita. 'Santo' significa sostanzialmente di Dio. Quindi «scese lo Spirito Santo» si può tradurre così: "Scese la vita di Dio", soffio di primavera, alito che ravviva la fiamma smorta, che raddrizza la canna piegata.
 
E infine la voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento». Quella voce, al Giordano, proclama a Gesù tre cose che ripete anche ad ogni nostro battesimo.
"Figlio" è la prima: Dio è forza di generazione, e come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo. Abbiamo Dio nel nostro sangue, nel nostro DNA.
"Amato": prima che tu sia, prima di ogni merito e al di là di ogni demerito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio il tuo nome per Dio è 'amato'. "Tu ci hai amati per primo, o Dio, e noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera Tu ci ami per primo" (Søren Kierkegaard).
"Mio compiacimento" è la terza parola, e contiene l'idea di gioia, è come se Dio dicesse: 'figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice'. Si realizza quello che Isaia aveva intuito, cioè l'esultanza di Dio per me, per te: «come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5)
 
Se ogni mattina potessimo ripensare questa scena e...
- vedere il cielo azzurro che si apre sopra di noi come un abbraccio;
- sentire il Padre che ci dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento;
- sentirci come un bambino che, anche se viene sollevato da terra, si abbandona felice e senza timore fra le braccia dei genitori;
questa sarebbe la più bella e più profonda esperienza quotidiana di fede.
 
 

 
Letture:
Isaia 40,1-5.9-11
Salmo 103
Tito 2,11-14;3,4-7
Luca 3,15-16.21-22
 
 

06 gennaio 2025

I doni dei Magi - 6/1/2025 Epifania del Signore

 
Adorazione dei Magi
particolare di bassorilievo (1457)
opera dei maestri Antelami
via degli Orefici 47 - Genova

 
Volevo condividere questo brano sul brano del Vangelo di oggi:
 
La fede non è ciò che doni, ma quello di fronte a cui pieghi le ginocchia. Sarebbe opportuno smetterla, almeno per qualche tempo, di cianciare e ricamare sui doni dei Magi.
Loro, prima di offrire doni, hanno fatto qualcos'altro: «si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono...» (Mt 2, 11). Inutile notare che il "poi" solitamente viene dopo. Che l'apertura dei forzieri viene dopo l'apertura del cuore, è la conseguenza di qualcos'altro, è il risultato di ciò che hanno visto adorando.
In realtà, soltanto attraverso l'adorazione tu riesci ad aprire gli occhi, riconoscere l'Unico Signore, e intuire così ciò che Lui vuole da te (che, magari, non ha niente a che vedere con quello che avevi pensato di darGli).
Se ti preoccupi principalmente dell'offerta, rischi di presentarla a un idolo, e non a Dio.
Fede è questione di ginocchia, prima che di mani.
Nel vero rapporto di fede, non è importante ciò che porti tu, ma quello che vai a ricevere.
Come se il Signore dicesse: Metti giù, per favore, la tua mercanzia, lascia lì tutta quella roba preziosa a cui tieni tanto. Presentami piuttosto le mani vuote.
Mettiti ben in testa: sei invitato a ricevere, più che a portare.
I Magi sono partiti per andare a ricevere.
Sorge spontanea una domanda: nel viaggio di ritorno erano alleggeriti o carichi?
Forse le due cose insieme.

 
d. Alessandro Pronzato
"Tu solo hai parole... - vol. III - Matteo"
Ed Gribaudi (pag. 32)
 
 

 
Letture:
Isaia 60,1-6
Salmo 71
Efesini 3,2-3.5-6
Matteo 2,1-12
 
 

02 gennaio 2025

Diventare figli di Dio - 5/1/2025 II Domenica dopo Natale

 
Basilica della Natività
Betlemme

 
L'inizio del Vangelo di Giovanni è una somma di teologia, filosofia e poesia tutte di altissimo livello. Penso che solamente un mistico riesca a coglierne fino in fondo la profondità e la bellezza. A me vengono in mente solo alcuni sprazzi che vorrei condividere.
 
Il brano inizia con le parole «In principio », sono le stesse parole con cui inizia la Genesi, il primo libro della Bibbia. Sembra quasi che l'evangelista ci voglia dire che l'Incarnazione è la nuova creazione. Dio, che fa nuove tutte le cose, ci dona nuove possibilità.
Dio non accetta la distanza che abbiamo posto tra Lui e noi, non si dà pace per la nostra fuga. E allora decide di venire in mezzo a noi come uno di noi. Lo fa per starci vicino, per aiutarci a rialzarci quando cadiamo, per consolarci e asciugare le nostre lacrime quando soffriamo, per rendere sempre più piena la nostra gioia e la nostra felicità. Lo fa per darci tutta la sua forza e tutto il suo amore per mezzo del suo Spirito.
 
Perché dopo il Natale di Gesù viene il nostro natale, che Giovanni spiega così: «A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio ». C'è tutto il Vangelo in questa frase: è per questo che è venuto, è stato crocifisso ed è risorto, perché gli uomini diventino figli di Dio. Ci troviamo proiettati nel centro luminoso di tutto ciò che è accaduto e che avverrà. C'è in noi non una semplice possibilità o un diritto, ma di più, un'energia, una forza: diventare figli di Dio.
 
In tutte le Scritture e in tutte le culture, figlio è colui che si comporta come il padre, che gli assomiglia e ne perpetua i gesti. Figlio di Dio è colui che assomiglia a Dio nei pensieri, nei sentimenti, nel pane dato, nel perdono sempre regalato. Diventare figli è una concretissima strada infinita.
Il vangelo è pieno di un piccolo avverbio che ci spiega con semplicità in che modo fare questo percorso: è l'avverbio 'come'. È una parola che non sta in piedi da sola, che rimanda ad altro: siate perfetti come il Padre, siate misericordiosi come il Padre, amatevi come io vi ho amato, la tua volontà in terra come in cielo. Come Cristo, come il Padre, come il cielo.
Si apre per noi un orizzonte infinito: non essere mai misura a te stesso, misurati con Dio e con il vangelo. Non ti realizzerai mai se non provi a realizzare Cristo. E tu hai questa infinita possibilità perché Dio stesso te la dona.
 
Ma Dio che cosa fa? Il Padre genera e comunica vita. Sei figlio di Dio quando solleciti negli altri le sorgenti della vita; quando ridesti luce e calore, quando generi pace, sai ridare speranza. Dio è amore; ma come è possibile anche solo assomigliargli? C'è in noi un potere, datoci a Natale, e prima ancora, addirittura "in principio", il Verbo è da sempre, sostanza di tutto il creato, segreto di ogni parola; nulla è stato fatto senza di lui, la luce è nel guscio di argilla del corpo di un neonato, la sua tenda in mezzo a noi.
 
La nascita di Gesù e la sua estrema povertà sono lo specchio di chi sei tu: poverissimo, lontanissimo da casa, irregolarissimo, inadeguatissimo.
L'Incarnazione è l'offerta che Dio ti fa, Lui il vicinissimo, l'innamoratissimo, Lui che fa pazzie per te.
La mangiatoia è la meta del viaggio per scoprire finalmente che anche tutte le tue miserie sono amate da Dio, per contemplare la sua presenza proprio là dove provi vergogna e imbarazzo.
Betlemme è il nuovo punto di partenza, ma questa volta si viaggia in due: Dio ti prende a braccetto e inizia a camminare con te. Per sempre.
 
 

 
Letture:
Siracide 24,1-4.12-16
Salmo 147
Efesini 1,3-6.15-18
Giovanni 1,1-5.9-14