29 dicembre 2022

Dio ci affida un compito: benedire - 1/1/2023 - Maria santissima Madre di Dio

Maria col Bambino
Villaggio del Pescatore (TS) (foto J.C.)



Sono andati «senza indugio» a vedere quel Dio che avevano sempre pensato alto sopra le loro teste. E l'hanno incontrato nella scomodità di una grotta. Hanno dovuto chinarsi, guardare non nell'alto dei cieli ma nel basso della terra, per poterlo vedere. Deposto in una mangiatoia, immagine che già ci parla di pane donato per la nostra vita.
Hanno scoperto l'immensità nella piccolezza. L'onnipotenza nella debolezza.
E la gioia di questa scoperta l'hanno voluta subito condividere con parole semplici: «riferirono ciò che del bambino era stato detto loro». Le semplici parole che erano custodite nel cuore di una Donna.

I Vangeli non riportano nessun dialogo tra Giuseppe, Maria e Gesù. Non ci sono tracce di colloqui fra i tre. È una comunicazione fatta di sguardi, di gesti, di pensieri. Di cuori che parlano il linguaggio dell'amore, quello che parla al di là delle parole, più delle parole.

Di fronte al mistero di questo Bambino, i pastori non ce la fanno a trattenere lo stupore, Maria non ce la fa a dire parola. L'annuncio detto ai quattro venti dagli umili, la riservatezza della madre. Nessuno può sapere ciò che produce Cristo quando lo s'incontra.

«Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (prima lettura)
«Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo»
Questa è anche la giornata della Benedizione. Il nuovo anno inizia con la benedizione di Dio che si fa uomo, e con l'esortazione da parte di Dio a benedire.
È stupenda, sempre nella prima lettura, l'esortazione di Dio: "voi benedirete". Che lo meritino o no, che ne siano degni o no, voi li benedirete. Dio viene a noi benedicendo, non proclamando dogmi o impartendo divieti. La sua benedizione è energia, forza, ricchezza di vita che scende su di noi, ci avvolge, ci alimenta. Dio chiede anche a noi di benedire uomini e storie, l'azzurro del cielo e il passare degli anni, il cuore dell'uomo e il volto di Dio. È il compito per l'anno che inizia oggi: benedire i fratelli!
Se non impara a benedire, l'essere umano non potrà mai essere felice.

«Il Signore faccia risplendere per te il suo volto» (prima lettura)
La benedizione, data e ricevuta, ci faccia scoprire, nell'anno che viene, un Dio luminoso, un Dio solare, il cui più vero tabernacolo è la luminosità di un volto che emana bontà, generosità, bellezza, pace. Un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce.


(Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)



22 dicembre 2022

Oggi Dio nasce in noi come un bambino - 25/12/2022 - Solennità di Natale


 

A Natale Dio viene a noi come un bambino. Nasce come un bimbo debole e indifeso dal grembo di una donna. Dio si è affidato alle cure a all'aiuto di un padre e di una madre. Da queste persone sperimenterà amore, dedizione, tenerezza. In questo clima crescerà.

Noi possiamo avvicinarci a Dio solamente come una madre si avvicina al suo bambino: con prudenza e tenerezza, con attenzione e amore. Non possiamo agguantare Dio, stringerlo tra le mani per averlo in nostro possesso. Ad un bambino non ci si può avvicinare in modo violento e improvviso, ma solo con calma. Non si può parlare a Dio con parole forti, ma solo con delicatezza e a bassa voce come ad un bambino. Ad un bambino non si fanno discorsi difficili, ha bisogno solo di parole che vengano dal cuore. Così incontreremo Dio solamente se gli apriremo il nostro cuore.

Dio viene nel mondo come un bambino perché vuole liberarci dalla nostra mania di grandezza, dalla nostra mania di essere forti e indipendenti. Qualche anno più tardi sarà Gesù stesso, ormai cresciuto, ad esortarci a divenire come bambini per poter entrare nel suo regno. Perché i bambini sono capaci di meraviglia, sono aperti al nuovo, vogliono imparare. Non solo si abbandonano agli altri, vi si affidano. Sanno vivere totalmente l'attimo presente, basta guardarli quando giocano. Si avvicinano alle persone a cuore aperto, senza secondi fini, senza pregiudizi.

I bambini sono una nuova vita, un nuovo inizio. A Natale Dio pone un nuovo inizio. Lo pone nel mondo e nel nostro cuore. Non siamo più ancorati alle ferite del nostro passato, ai nostri piccoli fallimenti, ai nostri sogni infranti. Possiamo riprendere a sognare. Possiamo ancora ricominciare dall'inizio.

In una predica natalizia il papa Leone Magno disse: "Oggi posso iniziare di nuovo, perché Dio è nato in me come bambino". Come diceva il titolo di una trasmissione televisiva della mia infanzia, "non è mai troppo tardi". Non è mai troppo tardi per iniziare. Il Natale vuole incoraggiarci a scuotere il peso del passato e, consolati dal bambino divino in noi, ad osare un nuovo inizio.

Il mio augurio per il vostro Natale è che vi ricordiate che dentro di voi è nato Dio, che c'è qualcosa di divino nel vostro cuore. E vi auguro che ve lo ricordiate sempre, anche in mezzo al freddo e all'estraneità di questo mondo.


(Messa della notte: Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14)
(Messa del giorno;: Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18)



15 dicembre 2022

C'è un unico comando: AMA - 18/12/2022 - IV Domenica tempo di Avvento


 



«Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati»
Ma cos'è il peccato?
Innanzi tutto il peccato non va considerato come la semplice trasgressione di una legge. La strada dell'uomo verso Dio non è tappezzata da una selva di cartelli con scritto 'fai questo, non fare quello'. Sulla strada dell'uomo c'è un Dio che vuole allacciare rapporti di amicizia, c'è Dio che propone il suo amore.
C'è un'unica proibizione: non amare.
C'è un unico comando: ama!

Ma l'uomo ha imparato fin da subito a dire di no alla richiesta di amicizia di Dio. E fin dalle prima pagine della Bibbia risuona l'angosciata domanda di Dio: "Adamo, dove sei?"
L'uomo non è là dove dovrebbe essere. È questo il peccato.
Nella lingua ebraica il verbo che traduciamo con 'peccare' significa mancare il segno, fallire il bersaglio. Chi pecca fallisce il bersaglio della propria vita, manca il bersaglio della sua felicità. Peccare quindi non è solo fare del male, ma anche 'farsi del male'.
Il peccato è ciò che impedisce la mia realizzazione, è ciò che sfigura la mia identità.
Nel sogno di Dio noi siamo fatti per costruirci nella relazione con Dio e con gli altri. È per questo che ogni peccato, rifiuto della relazione, è un rifiuto di costruirsi, è un rifiuto di crescere e di realizzarsi. È un immobilismo rinchiuso in sé stesso.

Ma come ci salva Gesù da questo?
Il nome 'Gesù' significa 'Dio salva' (letteralmente "Yahweh [è] salvezza"). Ma, in ebraico, il verbo 'salvare' ha la stessa radice del verbo 'allargare'.
Gesù ti salva 'allargando' la tua vita, immettendo ancora più vita nella tua vita. Gesù espande la tua umanità, rende più grande la tua vita.
Sant'Agostino dice che il nostro cuore è un grande sacco, e che per tutta la vita dobbiamo esercitarci ad allargarlo. Gesù mi salva perché fa spazio in me in modo che il mio sacco si allarghi, perché contenga più gioia, più amore, più amici, più libertà.
Lasciando che Gesù venga in noi, il nostro abbraccio si allargherà sempre più, inizieremo ad abbracciare i nostri cari, ma poi riusciremo a stringere nel calore del nostro cuore anche i vicini, poi sempre più gente, fino a che le nostre braccia, come quelle di Dio, abbracceranno tutto il mondo.

Che il Signore renda il nostro cuore sempre più spazioso!


(Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24)


08 dicembre 2022

Dio non si scandalizza dei nostri dubbi - 11/12/2022 - III Domenica tempo di Avvento


 




«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro»
Anche per Giovanni arriva il momento del dubbio. È questo un momento comune a tutti i grandi santi, il momento in cui Dio viene a sconvolgere la nostra fede, l'idea stessa che noi abbiamo di Dio.

Giovanni parlava di mietitura e di raccolto; Gesù parla di semina e di seme.
Giovanni parlava di pulizia e di separazione netta tra buoni e malvagi; Gesù parla di accoglienza verso tutti.
Giovanni parlava di scure che abbatte gli alberi che non danno frutto; Gesù parla di pazienza e perdono.
Giovanni lo aveva descritto come fuoco che divora; Gesù si descrive con azioni di misericordia.

Giovanni sente parlare delle opere di Gesù, ma non sono le opere che lui, come la maggior parte degli ebrei, si aspettava dal Messia.
Giovanni aveva visto molto bene il 'quando' e il 'chi'. Ma ha sbagliato completamente il 'come'.
E anche per lui, come per tanti di noi, un Dio che parla e agisce diversamente da come noi lo aspettiamo, ci sconvolge. Viene il dubbio che non sia Dio.

Non è raro che Dio smentisca i suoi profeti, i suoi portavoce. Basta andare a leggere il libro di Giona, o l'episodio del profeta Natan e il re David (2 Sam 7, 1-29), solo per citare due esempi.
Non basta accogliere Dio, dobbiamo anche riuscire ad accogliere un Dio diverso. Diverso dai nostri schemi, dalle nostre idee, dalle nostre abitudini.
Dobbiamo stare attenti a non tirare Dio dalla nostra parte, ma a lasciarsi tirare da Lui dalla sua parte. Dobbiamo accettare un Dio che distrugge il nostro Dio-idolo. Dobbiamo purificare continuamente e con cura la nostra idea di Dio, confrontandola con l'immagine autentica, anche se tante volte sconvolgente, rivelata dal Cristo.

Ma come Gesù non si scandalizza dei dubbi di Giovanni, difatti lo definisce «il più grande fra i nati da donna», così Dio non si scandalizza dei nostri dubbi.
Tante volte il dubbio è il fuoco invocato da Giovanni che ci purifica. Tante volte il dubbio è l'opportunità che il Signore ci offre per far crescere la nostra amicizia con Lui. Tante volte il dubbio è la salita che ti spezza le gambe, ti taglia il fiato e ti lascia senza forze, ma che se stringi i denti e continui, ti porta alla cima dove potrai godere di una vista prima inimmaginabile, quasi paradisiaca, dove il cielo è più azzurro, dove «il sussurro di una brezza leggera» (1Re 19, 12) ti riempirà di forza, di felicità, di pienezza.


(Is 35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11)


01 dicembre 2022

La conversione ti fa partorire buoni frutti - 4/12/2022 - II Domenica tempo di Avvento




Nelle letture di oggi risuonano due voci profetiche molto diverse. Isaia, nella prima lettura, evoca un'armonia del creato completamente riconciliato, di lupo che si accompagna all'agnello. Giovanni il battista, nel Vangelo, invece annuncia di fuoco e di scure.
Giovanni parla di un mondo da costruire.
Isaia di un dono immeritato, più bello anche del sogno più ardito.
Entrambe queste voci risuonano dentro di noi. Viviamo di tutte e due, perché viviamo di opere e di Grazia del Signore, di dramma e di poesia.

Con le parole forti di fuoco e di scure, Giovanni non vuole seminare paura. Sa benissimo che non è la paura che ci libera dal male, non è la paura che farà del leone un mangiatore di paglia (Is 11, 7), non è la paura che farà convivere il lupo e l'agnello.
È un'altra la forza che cambia le persone: è la forza dell'amore. È la forza dell'amore divino che viene in noi. È Dio che viene in noi, entra e ci cresce dentro facendoci crescere anche fuori.

È questo l'annuncio al centro del Vangelo di oggi: «il regno dei cieli è vicino!», cioè Dio è vicino.
Il tempo dell'Avvento è l'annuncio che Dio è vicino. Vicino a tutti come un abbraccio che accoglie in pace e in armonia tutto e tutti, il lupo e l'agnello, il bambino e la vipera, l'uomo e la donna, l'arabo e l'ebreo, il mussulmano e il cristiano, il bianco e il nero.
Questo è il sogno di Dio. E questo sogno ci chiama. Siamo chiamati dal futuro.

Ma c'è anche un altro elemento che è decisivo: «Convertitevi»
Convertirsi è lasciare entrare un pezzetto di Cristo in me, lasciarsi scaldare dal fuoco del suo amore. Fuoco che mi scalda e mi ammorbidisce, che mi plasma sempre più a "immagine e somiglianza" (cfr. Gen 1, 26) di Dio.

Ma cosa significa 'convertirsi'? Nella Bibbia il concetto di peccato è strettamente legato al concetto di 'mancare il bersaglio', di smarrirsi lungo la strada.
Convertirsi non significa perdere tempo in rimorsi o in sensi di colpa, con gli occhi e il pensiero fissi sul passato, ma andare avanti cambiando strada, cambiando pensieri, cambiando azioni.

"Convertiti!" non è un ordine. È un'opportunità. Cambio strada perché nella nuova strada il cielo è più azzurro, ci sono alberi che mi danno più ombra nella calura, ci sono più fratelli che gioiscono con me e per me, che non ridono di me ma con me, che mi soccorrono nelle difficoltà, mi allungano una mano e mi aiutano a rialzarmi quando inciampo e cado.

La poetessa Alda Merini scrisse:
La fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano
che ti fa partorire

La fede, la conversione ti fa partorire frutti buoni!
Quando accogli Dio che ti si avvicina, la tua vita si trasforma e diventa feconda.


(Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12)


24 novembre 2022

Essere aperti alla sorpresa - 27/11/2022 - I Domenica tempo di Avvento





E così inizia di nuovo l'Avvento.
Cerchiamo però di prestare attenzione a questo 'di nuovo'. Facciamo che non sia il solito inizio, ma realmente un 'nuovo' inizio. Nuovo proprio nel senso di vedere ogni giorno come un'altra possibilità, vedere la persona che magari da anni di sta vicina (coniuge, figlio/a, collega, amico/a ecc. ecc.) come una persona nuova. Ripartire dal passato per vivere il presente aperti ad un futuro da costruire insieme.

"Non dobbiamo arrestarci nella nostra esplorazione.
E il terminare del nostro esplorare
sarà arrivare là donde siamo partiti.
E conoscere il luogo per la prima volta
"
(T. S. Eliot: Quattro quartetti - Little Gidding, V)



Ma veniamo alle letture di oggi.
Penso che la chiave di lettura stia in due forme verbali: “vegliate” e “state pronti”. Vegliare e stare pronti perché, come ci dice il Vangelo, non sappiamo né il giorno né l'ora in cui il Signore verrà. Ma ci sarebbe da aggiungere che, come per Maria («Come avverrà questo?» Lc 1, 34), non sappiamo neanche il come tutto ciò avverrà.
Tempo fa con mia moglie si parlava del nostro matrimonio, di come ci fossimo preparati, di quali aspettative e quali sogni avessimo quel giorno, e di come poi, nel corso degli anni, fossero andate le cose: certamente in modo diverso ma soprattutto inaspettato. Ma d'altra parte anche Maria e Giuseppe avevano sperato nella nascita di figli, ma certamente il modo, le circostanze in cui ciò è avvenuto sono state molto diverse da come le avevano immaginate.

Attendere non significa sapere tutto in anticipo. Vegliare non vuol dire neutralizzare la sorpresa.
Quando si ha a che fare con Dio bisogna sempre essere aperti alla sorpresa. Oserei dire che se Dio non ci sorprende, allora non è dio ma soltanto una nostra idea, un idolo che ci siamo costruiti.

Perché Dio è spesso misterioso («i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie» Is 55,8), mai totalmente immaginabile, a volte anche bizzarro, mai totalmente spiegabile o comprensibile. Dobbiamo ricordaci che ogni volta che diamo una definizione di Dio, dovremmo aggiungere alla fine "... ma non solo!"
Dobbiamo essere aperti alla sorpresa per non fare come i farisei, che erano convinti di sapere tutto di Dio, ma che non lo seppero riconoscere quando venne in mezzo a loro. E anzi, arrivarono a condannare a morte Dio convinti di fare la volontà di Dio.

Ma soprattutto dobbiamo essere aperti alla sorpresa per poterlo riconoscere quando ci viene a trovare ogni giorno della nostra vita, quando cammina nelle nostre strade, quando si fa presente sotto l'aspetto più inaspettato e impensabile.


(Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44)


17 novembre 2022

Il Regno di Dio avanza per accoglienze - 20/11/2022 - XXXIV Domenica tempo ordinario - Solennità di Cristo Re

Il buon ladrone



Nonostante la recente morte della regina Elisabetta II abbia colpito tutto il mondo, la nostra mentalità fa fatica ad afferrare il concetto di re e di regno. Sono istituzioni che ci sono sempre più estranee.
Invece il punto centrale della predicazione di Gesù è proprio quello di "Regno di Dio".
Ma il Regno di Dio non è un luogo o una situazione o un gruppo di persone. Invece è il fatto che Dio regna e che le potenze che gli sono nemiche (il peccato, la morte, satana) sono vinte. È un regno spirituale.
E anche se sarà pienamente realizzato nel futuro, quando Dio sarà tutto in tutte le cose (cfr. 1Cor 15, 28), è già presente nella persona di Gesù, nella sua predicazione e nelle sua azioni.
E la cittadinanza di questo regno non si ottiene per diritto di nascita, ma viene solo dalla risposta personale, dalla conversione.
Infine, è un regno in cui, se ci saranno dei privilegiati, saranno i 'non aventi diritto': i piccoli, i deboli, i poveri, gli stranieri, tutti quelli che per la società non contano.

Proprio per sottolineare questo significato, quando Gesù si proclama Re in modo solenne, lo fa quando è inerme tradito, passato di mano in mano come un oggetto. Lo fa quando viene dileggiato, sputacchiato, schiaffeggiato, trattato come un re da burla, oggetto di divertimento per la gente e i soldati.

In questo contesto colpisce molto che gli unici due che vedono la realtà regale e divina di Gesù siano un centurione romano (cfr. Lc 23, 47) e un delinquente confesso (che rimane l'unico santo canonizzato direttamente da Gesù).

Quest'ultimo, dà una grande definizione di Dio: "è condannato alla stessa nostra pena". Dio è dentro la nostra sofferenza. Dio viene crocifisso in tutti i crocifissi della storia. Dio entra nella morte perché là entra ogni suo figlio.
Dio ci mostra che il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l'amato.

«egli invece non ha fatto nulla di male» Dio non fa il male, a nessuno, mai. Dio fa esclusivamente bene. 'Dio non può che amare' (fr. Roger).

«ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». E Gesù fa di più, lo porta con sé. Come il pastore con la pecorella smarrita, se lo carica in spalla e lo porta a casa: "sarai con me". Mentre tutto il nostro mondo ragiona per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio avanza per inclusioni, per accoglienze, per abbracci.
- Ricordati di me, prega il peccatore, sarai con me, risponde l'amore.
- Ricordati di me, prega la paura, sarai con me per sempre, risponde l'amore.
Non sarà solo ricordo, ma sarà soprattutto abbraccio che avvolge per sempre, che porta al cuore e nel cuore l'amato per l'eternità.


(2Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43)


10 novembre 2022

Aprire una breccia di speranza - 13/11/2022 - XXXIII Domenica tempo ordinario

Mosè nella rupe
Nostra Signora di Aparecida (Brasile)
(mosaico - Centro Aletti)

 



Il Vangelo di oggi è un filo teso sopra due versanti. Da una parte il versante della violenza, dove sembrano vincere i più forti, i più feroci, dove domina la legge della giungla, dove regna la distruzione. Dall'altra parte il versante della tenerezza che salva: «nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto»

Lo scopo di Gesù non è anticiparci il futuro, dirci cosa e come succederà. Il Vangelo vuole svelarci il senso di quello che succederà. Difatti dopo ogni 'crisi', c'è un annuncio di una svolta, un tornante che apre la nostra vista su nuovi orizzonti, verso cieli aperti. Nel muro di violenza e di paura si apre una breccia di speranza.

Questo esplicito, e a volte implicito, "ma voi..." ripetuto più volte è un invito alla speranza, a resistere a tutto quello che sembra vincere nel mondo. È un'esortazione a non rassegnarsi, a non arrendersi. Il Vangelo sprona ad un tenace, umile e quotidiano lavoro dal basso, chiama a prendersi cura della terra e delle sue ferite, degli esseri umani e della loro lacrime, a "scegliere sempre l'umano contro il disumano" (p. David Maria Turoldo)
«Quando dunque accadranno queste cose?» Il quando è adesso. Perché è 'adesso' che il mondo è fragile, è 'adesso' che la convivenza tra gli uomini è difficile, è 'adesso' che l'amore sembra stia soccombendo. "Ogni giorno c'è un mondo che muore, ma ogni giorno c'è anche un mondo che nasce" (p. Ermes Ronchi). E il cristiano è chiamato a non nascondersi, ma a stare in mezzo al mondo e a prendersene cura. Stare vicino alle croci con perseveranza, non solo se capita, ma come un suo progetto di vita.

«Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» Al di là di tutte le disgrazie, anche al di là della morte, viene un Dio che è il massimo esperto d'amore. Lui ha un'infinita cura per l'infinitamente piccolo. Anche una sola mia fibra gli interessa, anche un solo mio capello per Lui è importante, importante d'amore. Dio ha a cuore tutto l'uomo, nella sua interezza.
Nelle prove, nelle miserie della vita dobbiamo ricordare una cosa: Dio non ci protegge dalla croce, ma nella croce. Le croci le incontriamo, le attraversiamo, ma sappiamo che neanche un nostro capello andrà perduto.


(Ml 3,19-20; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19)


03 novembre 2022

Amare con la pienezza di Dio - 6/11/2022 - XXXII Domenica tempo ordinario

Battistero del Duomo di Padova (affresco)



A ben guardare i sadducei, con la loro domanda volutamente provocatoria, involontariamente esprimono una esigenza profondamente umana: la sete di eternità, l'esigenza che, attraverso i figli, qualcosa di noi ci sopravviva.
E Gesù ci dice che lo stesso bisogno di fecondità ce l'ha Dio. Quest'ansia umana è diventata anche ansia divina ed è per questo che afferma "sono figli di Dio perché sono figli della resurrezione".
Dio e gli uomini hanno lo stesso bisogno di dare la vita a figli da amare. Dio è Padre perché ha dei figli che sono vivi per sempre.
È questo il seme, la radice della resurrezione.

Un'altra cosa però traspare dalla domanda: i sadducei concepiscono il Paradiso come una durata senza fine di tempo. E questa visione è anche di tanti cristiani. Spesso si pensa al Paradiso più come ad un prolungamento del presente che come alla forma stessa della vita di Dio; più come ad una sottrazione di vita («non prendono né moglie né marito») che come ad un'addizione senza fine e misura di vita. Essere in cielo significa partecipare della vita di Dio, è il superamento dei limiti dell'amore.
Ecco perché non si sposeranno, perché il matrimonio non sarà più necessario. Quello che rimarrà sarà l'amore. Non si sposeranno ma ameranno, e lo faranno senza più misura o limiti, perché ameranno con la pienezza di Dio. Nessun gesto d'amore andrà perduto o dimenticato, ma invece verrà portato alla massima grandezza.

«Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Loro appartengono a Dio, ma anche Dio appartiene a loro. È così forte il loro legame che Dio si presenta con il nome dei suoi amici, di coloro che ama. Dio più forte della morte, ma anche così umile da sentire i suoi amici come parte integrante di sé.
Ed è perché sono parte di sé che li farà risorgere, che ci farà risorgere. Perché è solo con la nostra resurrezione che può essere "Padre per sempre".
Dire resurrezione equivale a dire Dio. La fede nella resurrezione non è il frutto del mio desiderio di esistere oltre la morte, della mia sete di eternità, ma ci dice il bisogno di Dio di donare la vita, di custodire tutte le vite "all'ombra delle sue ali" (cfr. Sal 17, 8).

Noi diciamo che l'uomo è un 'essere mortale'. Ma Gesù ci dice invece che l'uomo è un essere 'natale', che esiste per la nascita, che nasce continuamente, che nascerà per sempre. Il nostro pellegrinaggio non va verso la morte, ma va dalla morte verso la vita.


(2Mac 7,1-2.9-14; Sal 16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38)


27 ottobre 2022

La salvezza è in uno sguardo - 30/10/2022 - XXXI Domenica tempo ordinario

Gesù e Zaccheo
Cappella Collegio Internazionale del Gesù - Roma
(dipinto - Centro Aletti)



Tutto il brano del Vangelo di oggi ruota attorno al 'vedere':
- Zaccheo cerca di vedere, ma non ci riesce perché la folla glielo impedisce (intenzionalmente?);
- si arrampica su di un albero per vedere;
- però più che vedere, viene visto;
- la folla vede 'male' prima, ma anche dopo: «vedendo ciò, tutti mormoravano»;
- e infine c'è Gesù, che vede 'diverso'.

Gli abitanti di Gerico avevano l'occasione di vedere spesso Zaccheo. Ma cosa vedevano in lui? Per loro lui era l'odioso esattore delle imposte, il ladro, il collaboratore dei romani. Decisamente un 'poco di buono'. E secondo loro, sarebbe stato per sempre così. Di lui vedevano solo gli aspetti peggiori.

Invece lo sguardo di Gesù è diverso. Non si accontenta della crosta dei difetti. Lui la rompe e va in profondità. E proprio dove la 'gente' non era mai andata a 'vedere', Lui trova un Zaccheo altro, uno che doveva ancora venire alla luce. Un Zaccheo inedito.
Il vero Zaccheo.
Lo sguardo di Gesù è uno sguardo che dona vita, è creatore. È uno sguardo che non si ferma alla superficie, al già conosciuto. Non si rassegna al 'poco di buono', ma si ostina a cercare, a portare alla luce il 'molto di buono', il meglio che è in ogni persona.
È uno sguardo rivelatore, perché manifesta all'uomo le sue possibilità. Non guarda al tuo passato, vede solo il tuo futuro, e se ne prende cura.
Tu, Dio, nascondi il nostro passato nel cuore di Cristo e del nostro futuro te ne prendi cura. (fr. Roger)

In fondo, con uno sguardo, Gesù ha rovesciato non solo la vita di Zaccheo, ma anche la nostra idea di Dio.
Con uno sguardo, Dio ha detto a Zaccheo :"ho fede in te". Gesù ha creduto in Zaccheo quando tutti gli altri l'avevano condannato. Ed è da questa fede di Dio, che è nata la fede di Zaccheo.

Non importa quali e quante mascalzonate abbiamo fatto nella nostra vita, non conta il peso delle nostre miserie o il numero dei nostri fallimenti. Ogni volta che Dio ci guarda, ci dice "ho fede in te, so che puoi fare qualcosa di diverso". Quando scendiamo dall'albero delle rassegnazioni, dei rimorsi, delle paure, troviamo una voce e uno sguardo che non ci rinfacciano le nostre mancanze, ma ci donano le nostre possibilità.
"Avere fede significa credere in Uno che crede in noi" (Alessandro Pronzato)


(Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10)


20 ottobre 2022

Non si è 'giusti' se si disprezzano gli altri - 23/10/2022 - XXX Domenica tempo ordinario

Il pubblicano e il fariseo (affresco, XIV secolo)
Nartece del Monastero patriarcale di Peć, Kosovo




Dopo aver spiegato la necessità di una preghiera fiduciosa e insistente (Vangelo di domenica scorsa), Gesù ci dice qual è l'atteggiamento da tenere nella preghiera. E lo fa con una storia 'esemplare'. Questa si svolge nella cornice sacra del tempio, cioè nella casa di Dio, e usa la tecnica del contrasto tra i due personaggi.

Da una parte abbiamo il fariseo, cioè l'osservante scrupoloso della legge, il praticante fedele. La persona pia per antonomasia.
E lui prega nella posizione giusta secondo le norme giudaiche: in piedi, a testa alta, le braccia sollevate al cielo. Anche il suo inizio è perfetto, difatti attacca con la preghiera più bella, quella di ringraziamento e di lode.
Ma subito dopo tutto il teatrino che ha messo in piedi crolla miseramente, completamente. Anche se i suoi occhi sono rivolti al cielo, il suo sguardo è concentrato solo su sé stesso.
La sua è una preghiera atea, perché il fariseo è talmente pieno di sé che nel suo animo non c'è il minimo spazio per Dio. Anche se in quel momento Dio gli parlasse, lui è talmente preso dal rimirare i suoi meriti, che non lo sentirebbe. Come fa notare Rinaldo Fabris "Dio è la copertura di un io ricco che strumentalizza il rapporto religioso per la propria esaltazione. L'uomo che si nasconde dietro questa preghiera non aspetta nulla da Dio, non ha nulla da chiedere, egli fa solo mostra di sé, dei suoi diritti, del suo credito davanti a Dio".
Il fariseo si è messo davanti ad uno specchio e ha chiamato 'dio' l'immagine che ha visto. Difatti in tutto il suo discorso ha usato sempre e soltanto la prima persona singolare. Per lui non c'è altra persona che non sia lui stesso.

E dall'altra parte c'è il pubblicano. Per i devoti è il peccatore per definizione, fa un mestiere infamante, è sinonimo di ladro, truffatore, collaborazionista con l'occupante romano.
Lui se ne sta in disparte. Non alza gli occhi al cielo, Non alza le mani verso l'alto. Invece le usa per battersi il petto.
Ma il suo discorso è tutto alla seconda persona singolare. Anche se ha gli occhi bassi, il suo sguardo è rivolto al 'tu' di Dio. Lui si aspetta tutto dal Signore, riconosce di essere peccatore, di non avere neanche scusanti. Ma sa anche che per non esserlo più ha necessità dalla misericordia di Dio. Non ha niente da offrire, e quindi si aspetta tutto da Dio.
Non critica gli altri per sentirsi, almeno un po', meno peccatore. Lui conta unicamente sulla grazia del Signore.

La differenza tra i due è che il fariseo si serve di Dio per essere ammirato. Il pubblicano ha necessità di Dio per ripartire, per ricominciare.
Il pubblicano è tornato a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo, Dio non si merita, neanche con l'umiltà, ma perché, come una vela che si gonfia di vento, si apre a Dio che lo riempie con la sua misericordia. Che in realtà è la sua unica e vera onnipotenza.


(Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14)


13 ottobre 2022

Riaprire sentieri verso Dio - 16/10/2022 - XXIX Domenica tempo ordinario

La vedova e il giudice
(icona di Paolo Sedrani)


Gesù ci porta a scuola di preghiera da una povera vedova. Come tantissime altre volte Lui porta ad esempio gli ultimi della società, i reietti, i disprezzati, i calpestati dalla vita e dagli altri.
Lui in questa donna, fragile ma indomita, ci indica la tenacia con cui riaprire i sentieri verso Dio. Ci insegna come chiedere e cosa chiedere: «Fammi giustizia!». Questa vedova domanda giustizia a chi fa giustizia, cioè dice al giudice di essere vero giudice, di essere sé stesso, di recuperare la sua funzione e la sua dignità.

Pregare è chiedere a Dio di darci sé stesso. Tutta la prima parte del Padre Nostro, non è altro che chiedere Dio a Dio: "donaci te stesso!" Il mistico medievale Meister Eckhart diceva: "Dio non può dare niente di meno di sé stesso, ma dandoci sé stesso ci dona tutto".

È per questo che abbiamo «necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai». Non perché la risposta si fa attendere, ma perché la risposta è infinita. Dio è un dono che non ha mai fine. Camminare con Lui significa scoprire sempre nuovi sentieri, nuovi cammini, nuove possibilità negli altri e in noi stessi.
La preghiera è molto di più del gridare verso il cielo, è mescolare la forza di Dio con la nostra forza.
Pregare è anche riaprire sentieri, perché il sentiero verso il tuo fratello se non lo percorri spesso, si riempie di rovi e cespugli, e alla fine scompare.

Bisogna però fare attenzione. Pregare sempre non significa recitare sempre delle preghiere. Una vita di preghiera non si misura con il numero delle preghiere dette. Non vuol dire ripetere più possibile formule o invocazioni. Significa avere la coscienza che la nostra vita è immersa in Dio, che siamo circondati, immersi nel suo amore.
Pregare è come voler bene: se tu ami qualcuno, lo ami sempre, indipendentemente da cosa stai facendo.

Ma Dio esaudisce le nostre preghiere? Dio ci ama, però, come disse Dietrich Bonhoeffer, "Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse". E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo. Perché il più grande dono, il vero esaudimento della preghiera, è di aumentare la nostra comunione con Dio, e questo porta frutti superiori ad ogni nostra attesa e ad ogni nostra richiesta.
Il nostro compito non è di interrogarci sul ritardo di Dio, ma di aiutare l'alba del Regno compiendo gesti di luce e di amore.


(Es 17,8-13; Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8)


06 ottobre 2022

Ogni miracolo è solo l'inizio di una storia - 9/10/2022 - XXVIII Domenica tempo ordinario

 

Cristo e il lebbroso (part.)
Cripta chiesa di san Pio da Pietrelcina - San Giovanni Rotondo
(mosaico - Centro Aletti)



«Appena li vide» Subito, in fretta, senza quasi lasciarli parlare. Ma non è la fretta di chi cerca di sbolognare subito una rogna, di chi cerca di allontanare una persona inopportuna, molesta.
È la fretta dell'amore: "affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto!" diceva il poeta e prete polacco Jan Twardowski. È la fretta di Maria che va da Elisabetta (Lc 1, 39). È la fretta di Dio che si china sulle sofferenze umane, pronto a consolare e asciugare le nostre lacrime (Ap 7, 17 e 21, 4). È la fretta del Padre che corre incontro al figlio che torna camminando a capo chino. È l'amore che previene, che riesce a sentire la sofferenza dell'amato perché è la sua stessa sofferenza.

«E mentre essi andavano, furono purificati». Non aspettano il miracolo per mettersi in cammino, ma con il loro camminare aiutano il miracolo. Il futuro inizia col primo passo, la promessa si realizza nel divenire. "La Provvidenza conosce solo uomini in cammino" (san Giovanni Calabria). Lungo il cammino, passo dopo passo, la guarigione si fa strada dentro di loro. Dio vuole servirsi dei nostri passi, fatti solo sulla fiducia nella sua Parola, per compiere i suoi miracoli, per donarci la salute, la gioia della guarigione.

E Dio, che ha provato il dolore della loro malattia, prova la gioia della guarigione dei dieci lebbrosi. Di tutti e dieci. E nove di loro ascoltano le parole di Gesù, le eseguono alla lettera.
Uno invece disubbidisce. Non va a presentarsi ai sacerdoti, ma torna indietro. "A volte bisogna andare contro la legge per esserle fedeli in profondità" (Dietrich Bonhoeffer). E Gesù lo loda.
Penso che a Dio facciano piacere, più che i ligi applicatori della legge, questi innamorati di Lui e della vita, che seguono il cuore, che fanno della legge la rampa di lancio per i loro slanci d'amore, che cantano la vita e vivono il canto.

Dieci sono stati guariti, uno solo è stato 'salvato'. Ogni miracolo è una storia incompiuta, un inizio di storia. Perché l'essere umano è più del proprio corpo. Ha bisogno di più, di una sorgente di vita, di quella fonte inesauribile che è Dio.
E allora capiamo che lo straniero disprezzato che torna, non è salvato perché è tornato a ringraziare. Viene salvato perché è entrato in comunione. Ha riallacciato la relazione con il proprio corpo, con il cielo, con Dio: gli ha abbracciato i piedi e ha cantato alla vita.


(2Re 5,14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19)


22 settembre 2022

Ogni povero è amico di Dio - 25/9/2022 - XXVI Domenica tempo ordinario

 

Illustrazione dall'Evangeliario di Echternach (*)



Per molti, troppi, secoli questa parabola è stata usata dai potenti, e purtroppo anche da tanti uomini di chiesa, per tenere 'rassegnati' e sottomessi i poveri e gli indigenti: i poveri devono solo lasciare che i ricchi finiscano in pace il loro banchetto e abbiano la loro sepoltura, così poi, in Paradiso, avranno la loro rivincita.
Niente di più lontano dal senso biblico di 'rassegnazione'. Mai nella Bibbia si invita a rimandare all'al di là la soluzione alle ingiustizie del presente. La fede è anche indignazione, denuncia delle disuguaglianze, lotta contro le ingiustizie. Il giudizio di Dio non è rimandato all'ultimo giorno, ma inizia e va proclamato nel presente, oggi.
Cerchiamo quindi di capire meglio cosa ci vuole comunicare questa parabola.

Innanzi tutto c'è una particolarità: in tutto il vangelo di Luca questa è l'unica parabola in cui uno dei protagonisti ha un nome. È un nome peraltro comune nell'ebraismo (significa "Dio aiuta", "Yahweh viene in soccorso"). Ma soprattutto è il nome di un amico carissimo di Gesù (Gv 11, 5). È un nome che sa di affetto e vicinanza, che ha il sapore di cene condivise nella gioia e nella semplicità (Lc 10, 38), che ha l'odore del nardo (Gv 12, 3). È un nome che sa di resurrezione (Gv 11, 38-44).
Il povero ha il nome dell'amico perché ogni povero è amico di Dio, così come ogni povero dovrebbe avere, per me, il nome, e il posto, di un amico.

Il ricco invece non ha nome. Per i semiti il nome esprime la realtà della persona, la sua storia e la sua missione. Il ricco non ha nome perché non ha realtà,non ha storia, non ha missione. Ha costruito la sua vita sul vuoto, sulle cose e alla fine è divenuto 'cosa'. Ha perso il vero senso della vita, perché non si può vivere per «fare lauti banchetti» tutti i giorni.
Lui si è isolato, separato dalla vita. La ricchezza l'ha imprigionato nell'egoismo. La sua sarà anche, all'apparenza, una prigione dorata, ma sempre prigione è. Impegnato a guardare nel suo piatto ricolmo non vede il povero che sta alla sua porta. I cani vedono meglio di lui!
La sua è una vita apparentemente piena. Ma in realtà è vuota. Piena di cose, ma a ben guardare sono cose inutili. Se queste facciate posticce, queste maschere, cadessero non rimarrebbe niente, se non un'estrema solitudine e mancanza di senso. Una disperazione. Cioè un inferno, e non nell'al di là, ma già qui sulla terra.

La morte non è un ribaltamento di quello che succede qua adesso, ma è il presente che viene 'fissato' nell'eternità.
Il ricco si accorge che ha bisogno degli altri (Abramo e anche Lazzaro) quando è dall'altra parte, quando ormai non è più in tempo. Lui si preoccupa degli altri (i suoi cinque fratelli) in ritardo.
Ma questa impossibilità non è dovuta ad una 'punizione' da parte di Dio. Anche se all'inferno il ricco rimane sempre un «figlio» (è così che lo chiama Abramo). Il fatto è che non è la morte che converte, ma la vita!

«Hanno Mosè e i profeti», hanno il grido dei poveri, che sono la parola e la carne di Dio («tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» Mt 25, 40). Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato. Non c'è apparizione o miracolo o preghiera che conti quanto il loro grido: "Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa." (San Vincenzo de' Paoli).

Con questa parabola "Gesù non cerca di spaventarci con un inferno futuro o di consolarci con un paradiso futuro. Piuttosto intende mostrarci come il Cielo cammini là dove risuona la Parola di Dio che permette ad un uomo di trovare il proprio fratello" (Alphonse Maillot)


(Am 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31)


(*)Pannello superiore: Lazzaro alla porta dell'uomo ricco.
Pannello centrale: L'anima di Lazzaro è trasportata in Paradiso da due angeli; Lazzaro nel petto di Abramo.
Pannello inferiore: L'anima del ricco è trasportata da due diavoli all'inferno; il ricco è torturato nell'inferno


15 settembre 2022

La scoperta degli altri - 18/9/2022 - XXV Domenica tempo ordinario


Sagrada Familia - Barcellona (Spagna)
Particolare dell'interno (foto J.C.)



A un primo sguardo sembra quasi che Gesù lodi la disonestà, che ammiri questo amministratore disonesto che cerca di rimediare ad una irregolarità per mezzo di altre irregolarità. È forse per questo che la parabola viene omessa nella forma breve?

Battute a parte, per capire questo brano bisogna andare al centro, al motivo dominante, senza lasciarsi 'distrarre' dagli elementi secondari, di sfondo.

Innanzi tutto c'è da dire che la lode di Gesù non è rivolta all'amministratore disonesto o alla sua disonestà, ma alla furbizia di cui ha dato prova, cioè Gesù loda la capacità di tirarsi fuori da una situazione difficile. Dio ci ha donato un cervello ed è contento se lo usiamo. Usare la propria capacità di ragionare, la propria fantasia, ragionare con la propria testa è già un rendere grazie al Signore.
Il Signore ama le persone che di fronte a situazioni nuove non si chiudono dietro ad un 'si è sempre fatto così', ma usano le proprie capacità per leggere i segni dei tempi, per capirli, per dare nuove risposte e scoprire nuove strade.

Ed è quello che ha fatto questo amministratore, ha fatto una scoperta decisiva: ha scoperto gli altri. Fino a quel momento in pratica non si era accorto della loro esistenza, aveva pensato esclusivamente a sé stesso, ai propri interessi. E adesso scopre la realtà dei rapporti personali, dell'amicizia oserei dire. Continua ad usare ingiustamente della proprietà altrui, ma adesso non lo fa a suo vantaggio, ma a vantaggio degli altri.
La sua salvezza passa attraverso questa sua apertura agli altri.

Questo deve essere ben chiaro a tutti noi. Come Chiesa dovremmo sempre ricordarci che elezione non vuol dire privilegio, ma servizio. Non dobbiamo 'appropriarci' dei beni del Signore, ma li dobbiamo 'dilapidare' a vantaggio dell'umanità. Anche noi, come Chiesa, dovremmo fare come l'amministratore, che ammette di non essere capace di maneggiare la zappa, e ammettere che non possiamo fare altro mestiere che perdonare, usare misericordia, compatire (nel senso di patire insieme), aprire, liberare.

Ma anche come semplici cristiani la parabola ci insegna ad essere 'irregolari', ma in altra maniera, cioè a vantaggio del prossimo. Dovremmo imparare a minimizzare le colpe degli altri, cancellarne le offese, non ragionare in termini di diritti o di chi ha ragione ma in termini di dono, di amore. Dovremmo imparare ad aprire le mani per donare, per regalare gioia, speranza.

Certo, i nostri conti col Signore saranno sempre in rosso, ma Lui troverà quello che ci manca negli altri.


(Am 8,4-7; Sal 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13)


08 settembre 2022

Siamo 'importanti di amore' - 11/9/2022 - XXIV Domenica tempo ordinario

Suo padre lo vide

Cattedrale di Santo Domingo de la Calzada (Spagna)

Portone (bronzo - Centro Aletti)




Quello che emerge dalle tre parabole del Vangelo di oggi, è che Dio ha un modo molto diverso dal nostro di tenere la contabilità. Lui non è disposto ad accettare neanche un piccolo segno meno. Qualsiasi sottrazione per Lui è inaccettabile. Non si accontenta delle 99 pecore, non si rassegna ai due euro (più o meno il valore di una delle monete citate da Luca) mancanti. E fa di tutto per ritrovare ciò, ma sarebbe meglio dire 'chi', era perduto. Per lui il gioco vale sempre la candela, non esiste limite allo sforzo per trovare ciò che manca alla pienezza del suo amore.

Per Dio, ognuno di noi ha un valore unico, ognuno di noi è irripetibile, insostituibile. Ciascuno di noi per Dio è prezioso, importante. "Importante di amore" diceva Pierre Talec. Cioè è 'importante' di ricerca senza sosta, di preoccupazione, di sollecitudine, di attesa infinita, di ansioso ma paziente scrutare dalla finestra.
Dio non si rassegna ad essere impoverito anche di una sola di una delle sue creature. Nel suo cuore un figlio perduto, anche fosse il peggiore degli uomini, rappresenta un danno irreparabile che non può essere riparato, una ferita profonda che non si può rimarginare in nessuna maniera. Solo il recupero di quel minuscolo ma incalcolabile tesoro la può far smettere di sanguinare e richiudere.

L'uomo può cessare di essere figlio, può fare a meno del padre, può fuggire lontano.
Ma Dio non si rassegna, non riesce a stare senza l'uomo. E impazzisce di gioia, obbliga tutti a far festa appena la sagoma di chi è andato via in malo modo si intravede all'orizzonte. E non gli importa del perché è tornato, né se sia pentito o meno. L'unica cosa che importa è che sia tornato, che sia di nuovo a casa.

E tornando a casa il figlio riceve un dono grandissimo. Non riceve delle cose (quelle le ha avute quando se n'è andato), ma riceve dei 'simboli' (i sandali, il vestito e l'anello) che indicano a lui, ma anche a tutta la famiglia e al mondo, che la sua dignità di figlio gli è stata pienamente restituita.

È quello che succede anche a noi nel sacramento della Riconciliazione. Anche a noi viene restituita la nostra piena dignità. Ma non solo. Anche noi, come il figlio fuggito, restituiamo a Dio qualcosa che gli avevamo rubato, qualcosa che Lui cercava disperato: la nostra comunione con Lui.
Confessarsi vuol dire ricevere e dare, accogliere e restituire. La gioia è di tutti e due.
Quando ci confessiamo, dobbiamo ricordare che non stiamo solamente portando a Dio i nostri peccati. Soprattutto noi gli stiamo riportando la nostra presenza. Gli stiamo restituendo la possibilità della festa; la possibilità di essere Padre "ricco" di un figlio.


(Es 32,7-11.13-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32)


01 settembre 2022

Il "più" dell'amore di Dio - 4/9/2022 - XXIII Domenica tempo ordinario

Cristo Pantocratore
Santuario del Cristo Re a Zouk-Mosbeh (Libano)
(mosaico - Centro Aletti)


Le parole di Gesù sembrano dure, difficili, addirittura inumane. Però se andiamo al di là della prima impressione, se le cogliamo nella loro essenza, scopriamo che sono stupende. Di primo acchito sembrano che ci inchiodino alla croce, ma in realtà ci chiamano alla resurrezione, ad una vita più piena e più felice.

Noi pensiamo che l'amore per Dio ci debba portare ad una 'sottrazione' nei nostri amori umani. Ma Gesù usa una parola precisa: "più". Gesù non fa sottrazioni, Lui fa solo addizioni!
A noi, che sentiamo sempre le parole del serpente che ci invita a diffidare di Dio, sembra quasi che Dio si metta in competizione con i nostri cari, che ci chieda di rinunciare a loro per poter accogliere Lui.
Ma l'accento delle parole di Gesù non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. Non indicano un punto di partenza, indicano una meta. In pratica Gesù ci dice: "Tu sai quant'è bello amare tuo padre, tua madre, il tuo coniuge, i tuoi figli, quanto ti fa bene e ti rende felice. Ecco, io ti dono qualcosa di più, qualcosa che rende il tuo amore ancora più bello, qualcosa che ti fa stare ancora più bene, che ti rende ancora più felice",
Dio non toglie niente, anzi. Lui aggiunge il suo amore al nostro amore, accoglie il nostro amore per amare ancora di più le persone, il mondo.

«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». Attenzione: 'portare la croce' non significa 'sopportare' le sofferenze e le difficoltà della vita. Non è un sopportare passivo, ma un 'prendere' attivo.
Perché la croce è il riassunto della vita di Gesù, quindi 'portare' la croce significa vivere una vita che assomigli a quella di Gesù, fare le sue scelte, preferire chi lui preferiva. Cioè vivere una vita come la sua, che sapeva amare come nessun altro.
Prendere la croce vuol dire prendere l'amore, perché se no non vivi, e prendere anche la parte di dolore che ogni amore porta con sé, perché se no non ami.
Perché Dio non ci salva dalla croce, ma nella croce, non protegge dal dolore ma nel dolore, non dalla tempesta ma nelle tempeste della vita.

Essere figli di Dio non vuol dire essere figli di una sottrazione, ma di un'addizione, di un qualcosa di molto di più. I credenti non sono uomini e donne diminuiti, ma sono uomini e donne che hanno più amore, più libertà, più consapevolezza. "Il cristiano è un essere umano finalmente promosso a uomo" diceva don Primo Mazzolari.
Il cristiano non è uno che crede di amare il cielo perché non ama nessuno sulla terra. È invece uno che ha scoperto che il vivere il Vangelo rende più belle le esperienze belle che facciamo sulla terra.


(Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 1,9-10.12-17; Lc 14,25-33)


25 agosto 2022

Un Dio 'capovolto' - 28/8/2022 - XXII Domenica tempo ordinario

Il Banchetto Celeste
Catacomba di San Callisto - Roma


Questo brano del Vangelo è tutto un gioco di sguardi. Gli invitati osservano Gesù e Gesù osserva gli invitati. Ma sono sguardi molto diversi. Gli invitati osservano per cogliere in fallo. Gesù per trovare la strada per aprire i cuori all'amore di Dio («non sono venuto per condannare, ma per salvare» Gv 12,47).

Gesù nota che i farisei sono anche loro, dentro di sé, pieni di ambizione. Non si accorgono però che il loro zelo per Dio, a poco a poco, si è trasformato in ricerca della propria affermazione. E allora Gesù cerca di correggerli citando un brano del libro dei Proverbi che loro dovrebbero conoscere bene: «Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: "Sali quassù", piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante» (Prov 25,6-7).
Non dice questo per umiliarli né tanto meno per dettare un nuovo galateo, ma per ricordare, a loro come a noi, che l'ultimo posto non va scelto per umiltà o modestia, né tanto meno per 'farsi vedere'. Va scelto per amore: mi metto ultimo perché tu venga prima di me, tu abbia il meglio prima di me!

L'ultimo posto non è umiliante, è il posto di Dio. È il posto per chi vuole agire come Gesù, che è venuto per servire e non per essere servito. Gesù ci ricorda che il Dio che ci svela, è un Dio 'capovolto', che non se ne sta su nei cieli ad aspettare che noi arriviamo fino a Lui, ma che scende fin sotto i nostri piedi per poterci, da sotto, sollevare fino al suo Regno.

Gesù ci invita, come diceva don Tonino Bello, a "opporre ai segni del potere il potere dei segni". Il linguaggio dei gesti lo capiscono tutti, perché è una lingua che va da un cuore ad un altro cuore. E certi gesti ribaltano totalmente la nostra scala di valori, creano una vertigine, un'inversione di rotta nella nostra storia, aprono la strada per un nuovo modo di abitare la terra. Sono veramente la primizia del Regno.

Ecco perché quando accogli chi non viene accolto, chi viene calpestato, «sarai beato perché non hanno da ricambiarti». La vera gioia la trovi quando fai le cose non per interesse, ma per generosità.
L'uomo per star bene deve dare. È la legge della vita. Perché è anche legge di Dio.
È il segreto delle beatitudini: Dio regala gioia a chi produce amore.


(Sir 3,17-20.28-29; Sal 67; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14)


18 agosto 2022

Una porta fatta su misura per noi - 21/8/2022 - XXI Domenica tempo ordinario

Salita al Sinai - porta di S. Stefano
(foto A. Pronzato)


La porta è stretta non perché sia particolarmente piccola o angusta, ma perché è stata fatta proprio a nostra misura. Il Signore ha fatto per ognuno di noi una porta personalizzata, adatta a noi e a nessun altro.
Ci ha fatto una silhouette, una fotografia in contro luce, e sulla base di questa ha intagliato la nostra porta.
Solo che in quel momento eravamo nudi, senza niente addosso, eravamo solamente noi stessi.
È per questo che la porta è stretta, perché è giusta al decimo di millimetro, ma per passarci dobbiamo lasciare andare tutte le 'cose' che abbiamo accumulato nel corso della nostra vita.

Dobbiamo lasciar andare le cose materiali, cioè le ricchezze e gli oggetti a cui ci siamo legati, ma anche i brandelli di potere e prestigio più o meno gradi che abbiamo raggiunto, tutte le maschere che abbiamo indossato per celare le nostre debolezze e le nostre paure, tutti i ruoli di cui ci siamo rivestiti per prevaricare e scavalcare gli altri.

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze». Dobbiamo lasciar andare anche tutti quelli che riteniamo i nostri meriti. Tutte le Messe, le preghiere, le pratiche religiose fatte solo per 'salvarci'. Dobbiamo aver imparato a passare dal praticare una religione al vivere una fede.
E infine dobbiamo abbandonare anche tutte le nostre 'buone azioni'.

Davanti a Dio ci si deve presentare a mani vuote. Vuote perché abbiamo donato tutto.
Perché solo se abbiamo le mani vuote Lui ce le può riempire di doni, solo a mani vuote possiamo rispondere al Suo abbraccio e abbracciarlo a nostra volta.
Perché Dio, e la salvezza, non si meritano, si accolgono.


(Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30)


11 agosto 2022

Il fuoco della vita - 14/8/2022 - XX Domenica tempo ordinario

Il roveto ardente
Nostra Signora di Aparecida - Brasile
(mosaico - Centro Aletti)



«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra»
Troppo spesso nel corso della storia i cristiani hanno interpretato queste parole come un invito a bruciare i nemici, i peccatori, coloro che non si conformavano al 'pensiero corrente'.
Invece il fuoco che è venuto a portare Gesù è il fuoco dell'amore, il fuoco della vita. "La vita xe fiama" diceva il poeta Biagio Marin. È il fuoco dello Spirito, quelle fiamme che la mattina di Pentecoste si sono posate sugli apostoli e che li hanno resi capaci di portare la Buona Novella in tutto il mondo. È il roveto ardente che lo Spirito accende lungo le strade della nostra vita.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione»
Sembra che ci sia una contraddizione tra questa frase e il Gesù che chiede di amare i nemici (Mt 5,44), di benedire chi ci maledice (Lc 6,28), che ha pregato fino all'ultimo per l'unità, «perché siano una cosa sola» (Gv 17, 11), che ha dato il nome di diavolo, cioè 'divisore', al peggior nemico dell'uomo.
Tutta la vita pubblica di Gesù è stata un segno ci contraddizione, una pietra d'inciampo per i 'benpensanti'. Il suo messaggio, il suo Vangelo, è una sconvolgente liberazione. Liberazione per le donne sottomesse e schiacciate dal maschilismo; per i bambini proprietà dei genitori; per gli schiavi in balia dei padroni; per i lebbrosi, i ciechi, i poveri, gli stranieri.
Dio non è neutrale, ma si mette sempre dalla parte dei più deboli. E Gesù fa di un bambino il modello di tutti, dei poveri i prìncipi del suo regno, dei derelitti e degli emarginati gli invitati al suo banchetto di nozze.
Gesù vuole risvegliare la nostra coscienza, rompere le nostre 'paci' fatte di sopraffazione degli altri, di cancellazione delle voci che non ci piacciono, di negazione delle parole che non ci fanno comodo.
Donarsi, perdonare, non attaccarsi al denaro o alle cose, non voler dominare ma servire, diventa divisione con chi pensa a vendicarsi, salire, dominare, con chi pensa che è vita solo quella di chi riesce a mettere i piedi sulla testa degli altri.

In fondo è questo il fuoco che Gesù vorrebbe fosse acceso: il fuoco del Vangelo che ci fa voce di chi non ha voce, che ci fa lottare per la giustizia, che non ci fa restare passivi, arrendevoli di fronte all'ingiustizia, alla violenza, alla prevaricazione.


(Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53)


04 agosto 2022

Dio è contento di donarci il Regno - 7/8/2022 - XIX Domenica tempo ordinario

Angelo (particolare)
Santa Maria del Campo - Ljubljana-Polje (SLO)
(mosaico - Centro Aletti)



La prima parte del Vangelo di oggi (che purtroppo non viene letta se viene proclamata le versione breve) è quella che mi tocca di più.
Gesù, nel suo viaggio verso Gerusalemme, continua la catechesi rivolta soprattutto ai discepoli, ma anche alla folla.

«Non temere, piccolo gregge». In quattro parole Luca riesce a condensare tutta le tenerezza di Gesù, tutto l'amore di Dio per l'umanità.
Qui c'è tutta la maternità di Dio, tutte le sue viscere che fremono di compassione e d'amore per tutti i suoi figli, per tutti noi.
E questa tenerezza si premura subito di darci una bellissima notizia: Dio è contento di donarci il Regno. Non dobbiamo fare imprese eroiche, sacrifici indicibili, per avere il Regno di Dio, cioè Dio stesso. È Lui che ce lo dona, dobbiamo solo accogliere questo regalo.
E se noi accetteremo questo dono, se ne faremo il nostro tesoro, allora riusciremo a fare tanto bene. Perché il bene che facciamo non è il prezzo da pagare per avere il Regno, ma il segno che abbiamo accolto il dono del Regno.

«Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»
Le cose non sono neutre, se noi mettiamo il nostro cuore nelle cose, un po' alla volta siamo noi che diventiamo 'cosa', che perdiamo la nostra umanità. Non siamo più persone ma oggetti, merce di scambio in mano ai potenti e ai violenti.
Ma se noi mettiamo il nostro cuore in Dio, allora diventiamo sempre più simili a Lui, sempre più capaci di operare come Lui, di amare come Lui. Sempre più persone libere, soprattutto dalle paure.

Ma Gesù ci invita anche ad un'attesa che deve essere vigilante, ma senza essere angosciata. Dio ci vuole attivi, ma sereni, mai agitati.
Si tratta di imparare ad attendere. Letteralmente, attendere vuol dire 'tendere verso', cioè essere proiettati verso una meta, verso un futuro. Dobbiamo essere tesi verso il futuro, ma allo stesso tempo essere testimoni della speranza. Il cristiano è uno rivolto al futuro, ma impegnato nel presente. "L'unica maniera per essere fedeli all'eternità è di essere attuali" scriveva un romanziere francese.
Non si tratta di scegliere tra cielo e terra. Si tratta di permettere che il cielo mandi la sua luce su questa terra. Le «lampade accese» (cioè la fede) che ci sono affidate dal Vangelo, non servono solo ad attendere il Signore, ma anche ad illuminare la 'casa' in cui ci troviamo. A farci vedere meglio, a illuminare le nostre scelte, rendere meno precaria la nostra strada.
Le lampade accese non servono ad illuminare la strada verso il cielo, ma a non smarrirci per i sentieri intricati di questa terra.


(Sir 24,1-4.12-16; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)